È tempo di tornare a vivere le radici del cristianesimo

La sfida al Covid-19 si vince anche tornando a vivere le radici della nostra cultura cristiano-cattolica. La pandemia che da un anno segna le nostre vite ha contribuito, in negativo, a dettare i tempi e i modi della società contemporanea, costringendoci ad avere un rapporto “meno umano”. Le mascherine da indossare sempre e lo spazio da mantenere gli uni dagli altri hanno contribuito a rendere le persone distanti. Purtroppo non si tratta di una distanza solo fisica ma, nel tempo, è divenuta anche una distanza spirituale, con la conseguenza ulteriore di staccarsi dalle radici di fratellanza e carità che, insieme alla condivisione cristiana, sono stati i fari della nuova Chiesa improntata sul messaggio di Papa Francesco sin dai suoi esordi comunicativi del 2013, anno della sua elezione al Soglio Pontificio.
Papa Francesco scrive, in questi anni, diverse encicliche, lancia messaggi al mondo cristiano per reagire, oggi più di ieri, al mondo individualista che sta cercando di scalzare il neo-umanesimo della Chiesa di Roma: “Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi” afferma il Santo Padre.
In questa frase si racchiude la forza del vero cristiano, che si compone nella necessità di aprire il proprio cuore, la propria mente, di essere “persone che, in mezzo al frastuono della folla, sanno trovare il silenzio dell’anima in dialogo permanente con il Signore” (come afferma San Josemaría Escrivá in Forgia, 738).
In questo periodo di crisi la Chiesa della Locride prosegue la sua opera: “Guardiamo con fiducia questo tempo, viviamolo in pienezza attraverso la preghiera, lo studio e l’aggiornamento personale” scrive Monsignor Francesco Oliva, vescovo della Diocesi di Locri-Gerace, in un documento inviato ai primi di gennaio del 2021 a sacerdoti e operatori pastorali, famiglie ed educatori. Il presule aggiunge: “Pur tra tante difficoltà continui il nostro rapporto con le comunità, non facciamo mancare la nostra vicinanza con la preghiera e l’Eucaristia quotidiana, prestiamo più attenzione alle povertà ed alle famiglie più bisognose per mancanza di lavoro e di risorse essenziali.”
Ma le parole di Monsignor Oliva sono rivolte anche alla Comunità della Locride: “In questo tempo di pandemia, che fomenta l’incertezza del domani, occorre fidarsi di Dio, non cedere allo scoraggiamento e mai perdere la speranza del futuro.”
Ritornare alle radici della cultura cristiana è ricordare la figura del buon pastore, che è colui che guida il gregge ma che va alla ricerca della pecorella smarrita. Ricordare che si è padri quando si accoglie in casa il figliol prodigo. Ma significa soprattutto essere il buon cristiano, colui che non si addormenta mentre attende il ritorno del padrone perché oggi, per dirla con Don Primo Mazzolari: “È finito il tempo di fare da spettatore sotto il pretesto che si è onesti e cristiani. Troppi ancora hanno le mani pulite perché non hanno mai fatto niente. Un cristiano che non accetta il rischio di perdersi per mantenersi fedele a un impegno di salvezza, non è degno d’impegnarsi col Cristo.”
L’impegno è quello di vivere e festeggiare il senso più intimo e cristiano dei Sacramenti, affinché in quel momento si torni a pensare a Dio, e non ai regali dei parenti o degli amici o al pranzo al ristorante, dove si pensa alla pancia e non all’anima.
Su questo tema specifico il vescovo Oliva ha disposto di ammettere ai Sacramenti della Comunione e della Cresima i giovani “che abbiano una sufficiente preparazione ed abbiano dimostrato disponibilità e desiderio di riceverli, partecipando alle iniziative proposte. Lo si faccia ammettendo all’Eucaristia e/o alla Confermazione in piccoli gruppi, tenendo presente (perché, no!) della disposizione spirituale, preparazione e motivazione degli stessi ragazzi e delle loro famiglie.”
Afferma Monsignor Oliva in un altro intervento: “Estrema prudenza è richiesta sia per ragioni di giustizia, non potendo mettere rischio la vita e la salute dei fratelli, specialmente quelli più fragili ed esposti, sia per una ragione di carità, essendo il rispetto per l’altro, anzi la custodia dell’altro, una traduzione pratica del comandamento dell’amore.”
Basta poco per ritornare alla carità, alla condivisione, al prossimo. Afferma Jacques Maritain: “Un atto, il minimo atto di vera bontà, è, per dire il vero, la migliore prova dell’esistenza di Dio. Ma la nostra intelligenza è troppo ingombra di nozioni da classificare per vederlo; allora noi lo crediamo sulla testimonianza di coloro nei quali la vera bontà risplende in modo da stupirci.”