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Costume e Società

Pensioni sempre più magre? Pensate a una rendita integrativa!

Il calo di 9 punti percentuali del Prodotto Interno Lordo nazionale nell’ultimo anno, oltre agli effetti immediati sull’economia, avrà strascichi anche a medio e lungo termine. Le pensioni erogate dall’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, infatti, vengono calcolate con il cosiddetto metodo contributivo, ovvero in proporzione alla quantità di contributi versati da ogni lavoratore nel corso della carriera lavorativa. In parole povere, più si versa all’INPS quando si lavora, più alta sarà la pensione. Ma, siccome ogni anno i contributi vengono rivalutati in proporzione all’andamento del PIL del quinquennio precedente, se questo subisce un calo (esattamente come avvenuto nel 2020) si rivalutano nel tempo anche i contributi, evenienza che ci fa scorgere all’orizzonte pensioni sempre più magre.
Il modo più efficace di arginare il problema, dunque, è crearsi una rendita personale privata, magari aderendo ai fondi o alle polizze della previdenza integrativa come hanno già scelto di fare 8 milioni di italiani. Si tratta di una particolare categoria di prodotti finanziari che potrebbero costituire per i lavoratori di oggi un vera e propria pensione di scorta e il cui funzionamento assomiglia a quello dei fondi comuni di investimento. Il lavoratore che aderisce alla previdenza integrativa, insomma, versa periodicamente una parte dei propri redditi nel fondo o nella polizza pensionistica, avendo la certezza che questi vengano investiti sui mercati finanziari fino a che non raggiunge l’età pensionabile. Giunta questa data, il capitale accumulato più i rendimenti maturati vengono convertiti automaticamente in una pensione di scorta, che accompagnerà il titolare vita natural durante.
Questo tipo di fondi non è riscattabile prima dell’età pensionabile (salvo in casi straordinari come un periodo di disoccupazione superiore ai 12 mesi, per l’acquisto di una prima casa almeno otto anni dopo l’iscrizione ai fondi, l’insorgere di una invalidità o di gravi condizioni salute, casi in cui, comunque, il capitale maturato può essere riscattato in misura non superiore al 30% o con una penalizzazione da punto di vista fiscale), ma gode di una tassazione agevolata e resta in qualunque caso di proprietà del lavoratore o dei suoi eredi. Ce ne sono di tre tipi: fondi pensione chiusi (o negoziali), fondi pensione aperti e Piani Individuali Pensionistici (PIP). I primi sono creati in base ad accordi tra sindacati e associazioni imprenditoriali e sono riservati esclusivamente a singole categorie di lavoratori dipendenti, i secondi sono venduti per lo più in banca e creati dalle società di gestione del risparmio e i terzi sono delle vere e proprie polizze d’investimento create dalle compagnie assicurative.
Oltre a dover scegliere il singolo prodotto pensionistico, ai lavoratori è data l’opportunità di scegliere anche la linea d’investimento da adottare. Si può optare infatti per linee che investono in strumenti finanziari più volatili nei prezzi, come le azioni, e linee più stabili nei rendimenti, che destinano il capitale ai titoli di stato o alle obbligazioni. Ultimo, ma non meno importante fattore da prendere in considerazione è il livello dei costi. Sul capitale versato dai lavoratori nei fondi e nelle polizze pensionistiche, infatti, le società di gestione del risparmio e le compagnie assicurative trattengono ogni anno una quota in percentuale sotto forma di commissioni di gestione e di altri oneri che, alla lunga, incide sui rendimenti maturati. Valutate con attenzione, dunque, variazioni di prezzo anche piccole che potrebbero, a lungo termine, obbligarvi a cedere una fetta consistente del vostro patrimonio.

Fonte: quifinanza.it

Redazione

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