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Locri: la città che rendeva felici

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri IX - Il nostro viaggio alla (ri)scoperta della Locri antica entra finalmente nel vivo grazie a un excursus sulla conformazione territoriale della città, che tanta ammirazione aveva ingenerato in due pensatori che rispondevano ai nomi di Aristotele e Platone. E, per strano che possa sembrare, secondo i greci antichi, la struttura dell’antica Locri permetteva agli uomini di raggiungere più facilmente la felicità…

Di Giuseppe Pellegrino

“La pianta di Locri si avvicina alla forma di un quadrilatero allungato, di cui il lato corto Sud-Est, di 850 metri, è parallelo alla linea del mare e ne dista circa 300; in lunghezza, poi, si estende tra la fiumara di Portigliola a Sud-Ovest e i valloni Polisa e Lucifero, a Nord Est, per 2.500 metri su un terreno che comincia pianeggiante e poi sale sino a 150 metri di altitudine, ove il lato Nord-Ovest tocca i colli di Castellace, Abbadessa e Mannella”. Per come dice lo storico Mario Napoli, ne consegue che la polis di Locri aveva tutte le caratteristiche di una Città-Stato medio-grande.
Nel confronto Atene-Italia il sistema urbanistico volgeva in favore di quest’ultima se Platone, nel suo Italia,per come tramandatoci da Vincenzo Cuoco, così riflette, in un presunto dialogo con Aristotele:

Platone mi fa osservare nella politica degli Italiani molte cose che noi o ignoriamo ancora o abbiamo cominciato a studiar da poco. Molte altre si cominciano a introdurre tra noi, che qui vanno in desuetudine. Gli Italiani intendono meglio di noi l’arte di costruire una città. I nostri architetti sanno costruirti un solo edificio. Maestosi templi, ampi e magnifici teatri, qualche portico elegante; tali cose non scarseggiano, per certo, in Atene. Ma Atene, Atene stessa che cosa è mai? Un aggregato di villaggi, gli abitanti dei quali si radunano nei giorni di festa e di comizi e di mercato alle falde del colle sul quale è una rocca, e intorno sonvi una paio di templi, una curia, un foro, un teatro… ma non vi è città.

Continua Platone:

Quando sei in una città nostra, ti pare di essere in un bosco. Ben diverse sono le città d’Italia. Turi è la città più regolare che io abbia mai visto. Taranto, Locri, Crotone, cedono di poco a Turio. Trovi là tutte opere immense, che direste fatte dal gran re, per provvedere alla pubblica nettezza.

Non è eccessivo, al riguardo, se il confronto Locri-Atene deve svolgersi su più fronti, sottolineare che l’Attica era per estensione seconda solo alla Laconia, terra di Sparta. La regione era divisa in tre zone: la costa, la città e l’entroterra. Atene era nata dall’unione di più villaggi in modo disordinato, senza alcuna organizzazione di tipo urbanistico: solo il territorio in sé finiva per dare dei limiti orografici. Infatti, erano le colline il punto di riferimento urbanistico, come il Colonos Agoraios sul quale dominava il Tempio di Efesto, la Collina delle Ninfe (Λόφος των Νυμφών), la Pnice (η Πνύκα) dove si riuniva l’Assemblea, il Museion (το Μουσείον), il Licabetto (το Λυκα-βηττού) e il Filopappo (Λόφος Φιλοπάππου). Queste colline finivano per fare da corona  all’Acropoli, che aveva una altezza di 156 metri, che fu centro religioso e, dopo Pericle, luogo di innumerevoli templi per come ricostruiti dopo la distruzione persiana del 480 a.C.
Si capisce, così, l’ammirazione di Platone per poleis come Turi e Locri, che avevano dei piani urbanistici di tutto rispetto.Turi (anche Turii o Thurii, in greco antico: Θούριοι, Thoúrioi, in latino: Thurium) fu una città d’Italia, forse situata nelle vicinanze dell’antica Sybaris, l’odierna Sibari, in Calabria, sembra in territorio di Corigliano Calabro (anche se molti sono del parere che ciò avvenne invece sulla costa occidentale del Golfo di Taranto). Sorse come colonia panellenica (ovvero formata da greci di tutte le provenienze) ma fu di fatto l’unica fondazione realizzata da Atene nel Mediterraneo occidentale. Caronda gli diede la stessa legislazione di Locri, facendo però dei cambiamenti notevoli, attirando l’ironia di Strabone, che osservava che non avevano migliorato la legislazione locrese, ma semplicemente ne era stata fatta una scopiazzatura poco dignitosa.
Il rifiuto da parte dei Greci di estensioni di territorio di grandi dimensioni era dato dalla concezione che una polis doveva essere amministrata direttamente, ma anche per la ragione che la dislocazioni, di fatto costituivano una barriera al commercio e, in ogni caso, ogni singola polis era quanto a prodotti autosufficiente.
Sommariamente: non è estraneo a questo modo di pensare il concetto di felicità. Per Aristotele la felicità è il fine ultimo dell’uomo. La Felicità intesa come completezza della vita civile e comune di un Uomo. Da non confondere, secondo il Filosofo greco, con il piacere. Tanto che distingueva tra Etica Eudaimonistica (che mira alla felicità) ed Etica Edonistica (che mira al piacere).
In definitiva, la conclusione del Filosofo è che:

La Felicità deriva dall’esercizio di un’attività e visto che la specificità dell’uomo è la razionalità, si può dire che la felicità derivi dall’esercizio della ragione.

Niente è stato inventato dopo dei Greci, neppure la costituzione americana, che fa della Felicità della Nazione un punto inalienabile dei cittadini. Ma anche la nostra Costituzione ne fa riferimento, seppure in modo indiretto.

Foto: storiaromanaebizantina.it

Redazione

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