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Costume e Società

La Santa Pasqua tra tradizione e modernità

Di Marisa Romeo

Il lasso di tempo che, ogni anno, va dal Mercoledì delle Ceneri alla Pasqua di Resurrezione coincide con l’inizio della stagione primaverile, che porta una rinascita in Natura e in Spirito nell’uomo.
I giorni della Quaresima sono quelli che veramente segnano la vita dell’uomo, e lo introducono nell’atmosfera della Santa Pasqua, la più grande solennità del Cristianesimo per tutti i credenti.
È una stagione ricca di una tale intensità emotiva che quasi ci fa rivivere, in ogni nostra sofferenza, le pene di Gesù, pene che gli continuiamo a infliggere, ma per le quali raramente siamo in grado di chiedergli perdono.
Per tutto il periodo pasquale, in famiglia, in paese, in parrocchia, si alternano momenti di riflessione, riti, impegni, tradizioni che non vogliamo far morire neanche in queste dolorose condizioni di isolamento parentale, amicale, culturale e umano.
In questo contesto, più che mai, la Santa Pasqua diventa una distensione della nostra anima, della spiritualità che ci contraddistingue, e attraverso i messaggi di questa celebrazione, ci aiuta ad amare il prossimo, e ad accettare gli sputi di disapprovazione degli altri. A questo scopo, nelle famiglie dei piccoli centri della Locride sono orientate tutte le occupazioni di preparazione ai riti religiosi e a quelli gastronomico-dolciari. Certo, ormai si è lontani dalla interpretazione che i nostri nonni davano alla Quaresima. Per loro era veramente un periodo di astinenza e di digiuno, di assoluto perdono. Oggi, invece, e spero che in molte famiglie avvenga, al digiuno si dà l’alto significato di rinuncia a qualcosa per donarla a chi non ce l’ha. È bello rinunciare a un chilo di carne per offrirlo a chi ne ha dimenticato il sapore. Ed è ancora bello regalare un sorriso a distanza, un gesto di solidarietà a chi vive la solitudine come tormento, come abbandono.
È importante capire e far capire ai giovani che Dio si scopre nel cuore e si sperimenta nella vita, indipendentemente da ogni forma di rispettabile religione. Purtroppo, non è facile!
Il Covid-19 ci ha presentato il conto, che diventa sempre più salato, giorno dopo giorno, e quindi anche gli adulti sono costretti a perdere determinate significative funzioni pasquali. Ci resta come Chiesa amica quella partecipata in televisione, anche quando le Omelie più alte, più profonde, sono fatte di silenzi. Nessuno mai dimenticherà la figura di Papa Francesco quel Venerdì Santo dell’anno scorso. In quel suo solitario percorso abbiamo vissuto la Sua e la sofferenza di Gesù, testimoniata dalle emozioni forti e dallo stupore che abbiamo provato. Nulla comunque ci impedisce di alimentare la nostra fede, la nostra speranza, e perché no, la nostra gioia, e quindi in famiglia si cerca di mantenere tutto vivo, e di traslarlo ai giovani, affinché le tradizioni non muoiano.
In tante famiglie, infatti, si vive ancora la continuità del passato, e si fa a gara a preparare “u ‘chiù bellu sipurcu”, con cui adornare, il Giovedì Santo, il Sepolcro di Gesù.
È una tradizione che affascina e crea veramente stupore, soprattutto perché la preparazione è carica di spiritualità. All’inizio della Quaresima, in più piatti fondi o in ciotole, si prepara un letto “i stuppa”, o “i cuttuni” inumidito, su cui vengono adagiati chicchi di diversi cereali: grano, ceci, cicerchie, lenticchie. Subito dopo, le fondine vengono poste in un luogo asciutto, coperte da una grande pentola capovolta o, per chi ce l’ha, da un’antica “cardara”. I semi vanno innaffiati pochissimo, e devono rimanere al buio fino al giorno in cui vengono portate in chiesa al Sepolcro di Gesù. Maturata la crescita, con la partecipazione dei piccoli, i fili vengono leggermente intrecciati e intercalati da petali e fiocchi che li rendono molto più colorati. Al di là, comunque, della bellezza estetica dei piatti, è la devozione che arricchisce la vita di chi crede in questi simboli tradizionali. In famiglia, inoltre, non si trascura nessuna occasione per risvegliare i cinque sensi dei figli, i quali, tra una lezione in didattica a distanza e l’altra, tra una videochiamata e l’altra, tra una comunicazione telefonica e l’altra, fanno pur sempre trapelare un loro stato di sofferenza. Si preparano, perciò, dolci tipici, quali “i viscottina”, “i guti”, con l’impasto dei quali, come una volta, si preparano per i figli piccoli (maschietti) varie forme strane, abbellite con fiocchi di carta dorata: “u parpagagliu”, “u gagliuzzu”, “u cestinu”. Nella parte centrale di ogni “guta” si inserisce un uovo sodo, fermato con ghirigori di cordoncini di pasta. Per le bambine, invece, vengono preparate “a pupa” e “a palumbeglia”. Per la “pupa”, che è una specie di pigotta moderna, viene preparata una leggera struttura con le canne aperte, e poi viene rivestita con la pasta e perfezionata in tutte le parti. In questo caso, l’uovo sodo viene posto sotto la ruota di canna.
Si cerca, insomma, di fare tutto in armonia, come si faceva nelle famiglie di origine, coinvolgendo i figli nel massimo rispetto dell’atmosfera famigliare creata dalla Mulino Bianco…
Anche nei giorni precedenti la Domenica delle Palme la vita in famiglia è frenetica in senso buono. Gli adulti, in genere, con le foglie tenere di palma, preparano intrecci particolari da portare in chiesa, insieme con i ramoscelli di ulivo, simbolo di pace per tutta la umanità. Ma la parte più divertente che unisce la famiglia riguarda la creazione, con le foglie dorate delle palme, di cuoricini da regalare agli amici, da appendere in macchina, da conservare gelosamente tra le pagine dei libri, e di tanti “panareglia” (piccolissimi panieri), e croci con cui adornare semplicemente i rametti di ulivo.
Sono momenti di vita famigliare che, ahimè, tendono a scomparire, ma i giovani, siamo certi, sanno riconoscere, apprezzare e ricordare il passato, convogliandolo verso il futuro. Sono loro la nostra più grande speranza.

Foto: fanpage.it

Redazione

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