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Dagli “Invece” a “Urban Voices”: Salvatore Scoleri si racconta

Prima ancora del 1990, fino agli anni 2000 e oltre, tante piazze della Locride e della Calabria ospitavano gli Invece, una parentesi significativa del nostro contesto musicale. Il frontman era Salvatore Scoleri, il quale, con energia passionale, cantava quei versi di amore e odio verso questa terra, attraverso un reggae di denuncia, ma anche di speranza e spensieratezza. Negli anni ha sempre coltivato la sua passione per l’arte di strada, cercando di catturare immagini e sensazioni quotidiane da diversi angoli di mondo. Da questa predisposizione e da questo percorso prende vita un nuovo progetto artistico e musicale, che prova a intercettare e cogliere la poesia e la magia delle voci urbane.
Come, quando e perché nasce il progetto Urban Voices?
Nasce da una manciata di semi che mi porto dentro e che mi urlano la loro volontà di voler germogliare. Il tutto è figlio di un lungo e tortuosissimo percorso artistico e spirituale dove i passi lasciano le orme in 3 continenti del globo. Sul quando mi piace ricordare alcuni istanti di una sera ad Aosta, quando mi ritrovai in una sala prove insieme a due amici: Stefano, ex bassista dei L’orage e Nunzio, un caro amico di vecchissima data. Per la sala bisognava aprire un cancello e scendere giù, sempre più giù, quasi negli inferi di Aosta, per raggiungere un lunghissimo corridoio con decine e decine di garage da un lato e dall’altro. Garage non usati per le macchine, in ognuno dei quali c’era la sala prove di una band. Lì sotto potevi essere a Berlino, a Seattle o in molti altri posti: questa cosa mi piaceva un sacco. Ci andammo per tre volte, anche per prepararci per un live, di tanto in tanto sentivamo le voci di altre band, mentre sopra, al livello della strada, c’era il nefasto ufficio dei vigili urbani, chiuso in quelle ore della notte. Ecco: fu in quel luogo che mi venne in mente il nome Urban Voices. Perché? Un po’ è una esigenza esistenziale, per chi ha collezionato tanti di quei ritratti e paesaggi di vita, al punto da sentire la necessità di esternarli nel contesto di una fotografia musicale. Prima era un leit motiv delle mie esibizioni come artista di strada, ma rischiava di dileguarsi senza lasciare alcuna traccia. Cantare per strada è un po’ come meditare in cima a una montagna, mentre registrare le canzoni è come parlare al microfono a una platea. L’arte è testimone di un periodo, quindi bisogna produrla e stiparla nell’archivio del tempo.
Flowers from the moon, ascoltabile su tutti gli store digitali (Spotify, YouTube e così via), è un disco con uno stile musicale originale e innovativo, ricco di sperimentazioni. Quali musicisti hanno collaborato e quanto ha inciso il loro contributo artistico?
C’è tanto del maestro Platani, che è stato onnipresente in ogni passo della creazione dei pezzi. Di lui è riduttivo dire che ha suonato il basso, le chitarre, la tastiera in un pezzo e le percussioni in un altro. È riduttivo dire che la sua esperienza e la sua meticolosa attenzione nel cercare i suoni, nella fase di editing e nel missaggio sono state risorse preziose come l’acqua in mezzo al deserto. Insomma, c’è quell’oltre mezzo secolo di vita musicale di Peppe Platani nella realizzazione di questo album. Poi, c’è il caro Gabriele Albanese, che ha aggiunto tanta qualità con i suoi sax tenore e contralto e con la sua tastiera, un polistrumentista eccezionale che non smetterò mai di ringraziare. Infine, i cori bellissimi e ispirati di Serena Sinopoli, che è riuscita, in un solo pomeriggio, a entrare mentalmente nei pezzi e lasciare la sua stupenda voce. Nei ringraziamenti generali aggiungo anche il fonico Gianluca Crisafi, un ragazzo d’oro, paziente, intuitivo e professionale. Ognuno ha lasciato un’impronta importante e unica.
Prima di Urban Voices, impossibile dimenticare gli Invece, gruppo ormai sciolto che ha dato tanto al panorama musicale locrideo negli anni trascorsi. Quali ricordi e insegnamenti, di quell’esperienza, custodisci nel cuore e nella mente?
Sugli Invece c’è gran parte del mio cuore, come ben puoi immaginare: una storia lunga 30 anni seppur a singhiozzi di tempo, ma una storia autentica. Direi che ci è successo un po’ di tutto, sia di estremamente triste che di molto bello. Abbiamo cavalcato la fiera bellezza della nostra Calabria e siamo cascati dal cavallo per i suoi problemi eterni, senza mai darci per vinti e senza mai smettere di amarla. Abbiamo provato a lasciare qualcosa con le nostre canzoni, come una carezza invisibile che ti dà il vento tiepido della tarda primavera. Gli Invece rimarranno sempre come il loro nome, cioè l’alternativa a ciò che appare ovvio.
Quanto può incidere l’arte nella ricerca interiore e nella formazione di un pensiero critico autentico?
A questa domanda si potrebbe rispondere scrivendo un saggio, tanto è profonda e vasta. Ma vista la recente scoperta della nanotecnologia, opto per una mini sintesi. La ricerca interiore è come un viaggio verso l’infinito e in continua evoluzione. Quella che a volte chiamiamo saggezza altro non è se non una stazione, una fermata che un individuo è riuscito a condividere con noi. Tuttavia, ciò che noi riusciamo ad assorbire e invocare con l’arte è purezza di pensiero, ma anche desiderio e amore, rabbia e sofferenza, sogni e cruda realtà. Da tutto questo scaturiscono la criticità e la propositività di chi osa inebriarsi del profumo della vita e, di questo stesso profumo, vorrebbe impollinare il giardino che lo circonda.

Giovanni Ruffo

Nato e cresciuto sullo Jonio, con il corpo accarezzato dalla brezza del mare e un potente richiamo spirituale in Aspromonte. Cittadino e straniero ovunque, amante della bellezza immateriale e delle meravigliose ricchezze che madre natura dona ai suoi ospiti. Avventure radiofoniche di musicultura e una passione viscerale per il teatro e la scrittura, terapie dell’anima necessarie per coltivare i princìpi di resilienza e r-esistenza, coniuga la tradizione con l’innovazione, le radici con le ali. Ricerca sprazzi e scorci di poesia nelle crepe, negli anfratti più nascosti, in ogni spigolo di mondo. Ama la diversità e la libertà, intese come opportunità e strumenti di crescita. Detesta i muri dell’indifferenza e crede nei ponti dell’umanità, trovando nelle differenze delle autentiche risorse costruttive e collettive.

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