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Come il Faust con Mefistofele

Stasi X - L’ampiezza del margine di profitto è direttamente proporzionale al rischio. È questa la conclusione a cui Francesco Rossi arriva all’atto della firma del contratto che potrebbe farlo arricchire a patto che accetti di posare il piede su una mina chiamata Stasi.

Di Francesco Cesare Strangio

Paradossalmente quanto più alto è il rischio, tanto più è il profitto. Forse, per la società di Francesco Rossi era finito il tempo di fare gli scassa capanna accontentandosi delle briciole.
I vantaggi che davano i Paesi oltre la Cortina di Ferro, avendo i canali giusti, permettevano il facile raggiungimento della meta. Era come un meccanismo che, se opportunamente oliato, funzionava alla perfezione; anche se a volte si poteva rimanere vittime del paradosso della pagliuzza, con il conseguente blocco del meccanismo. In ogni caso, tutto si risolveva ai danni del mal capitato con una semplice accusa di spionaggio. Lì cascava l’asino!
Il paradosso della pagliuzza non lo preoccupava per niente. Era nella sua indole rispettare i patti fino in fondo. In ogni caso, aveva messo sul conto un probabile incidente di percorso.
Ricordava, come sempre, le parole del nonno Francesco, quando portava alla sua attenzione i suoi filosofici esempi: «Quale pescatore riesce a fare una buona pesca rimanendo comodamente nel suo letto?»
Perveniva sempre alla stessa conclusione: «Non esiste imprenditore che possa realizzare grandi profitti a rischio zero.»
Nel caso dell’organizzazione umana, in particolar modo per quella italiana, solo lo Stato partecipa a rischio zero.
Improvvisamente vide apparire, dal fondo della piazza, la Trabant bianca con a bordo Klöden e Barbara.
Era mezzogiorno esatto, da buoni tedeschi furono puntuali al secondo. Klöden aveva mantenuto la parola data.
Parcheggiarono la macchina e si mossero verso il ristorante.
Klöden aveva con sé una borsa di pelle color nero che teneva nella mano destra. Occuparono lo stesso posto del giorno precedente e subito dopo Klöden aprì la borsa nera, dentro c’erano i contratti per l’importazione del profumo e degli agrumi.
Rossi osservò che i contratti erano scritti in tedesco e in italiano; la cosa che lo fece emozionare notevolmente fu che non ponevano nessun limite alla quantità di merce da importare.
L’evento eccezionale provocò in Rossi un alto livello di emozione tanto che gli fece perdere l’appetito. Mezz’ora prima aveva una fame da lupo tanto che pensava di fare il bis di ogni cosa che gli portassero a tavola.
Barbara gli fece notare che i contratti erano stati controfirmati, oltre che da Klöden, anche dalla Banca Centrale e dal Segretario Generale della SED, Walter Ulbricht. Tutto ciò era a conferma del totale via libera dell’operazione importazione a Berlino Est.
Klöden guardò Rossi diritto negli occhi e, parlando italiano, disse: «Adesso tocca a lei rispettare i patti!»
Con quella frase Klöden disse tutto.
Magistralmente, Rossi non fece trapelare quello stato di notevole euforia. Il comportamento assunto fu quello di un uomo navigato e di grande professionalità.
L’imprenditore, dalla vita, aveva imparato tanto. Sapeva che quando uno cammina nella giungla, per evitare di fare rumore, deve essere ben conscio di dove poggia i piedi.
Nel caso specifico della Germania dell’Est, i piedi potevano poggiare sopra la dirompente mina della Stasi.
Aveva firmato un contratto prossimo a quello che firmò il Faust con Mefistofele. L’ombra impenetrabile della Stasi gli dava una certa serenità, nello stesso tempo gli incuteva una smisurata paura.
Rossi si rese conto di avere siglato un patto di sangue con il demonio. La Stasi era onnipresente e detentrice del potere di morte.
Finito di pranzare, dopo aver fatto quanto formalmente dovuto, Barbara e Klöden se ne andarono. L’italiano passeggiò un po’ nella piazza, sentiva il bisogno di prendere un po’ d’aria prima di andare a fare la pennichella pomeridiana.
Giunto in albergo, la prima cosa che fece fu di chiamare Gaetano per informarlo che aveva chiuso il contratto di fornitura con la DDR. Il socio, dall’altra parte del filo, fu sopraffatto dall’emozione, tanto che le parole gli uscivano a stento. La società aveva in magazzino una notevole quantità di prodotti invenduti. Quell’evento aprì uno spiraglio nella sua memoria che lo portò indietro, al tempo in cui quando dalla Calabria arrivò a Torino.
In quel tempo, le città del Nord cooptavano grandi quantità di persone dalle regioni meridionali.
Gaetano trovò ospitalità presso dei parenti che erano arrivati in quella città pochi anni prima. Lo sistemarono, in via provvisoria, in una stanza nel piano soffitta di un tetro palazzo di Corso Brescia. A quel giaciglio si accedeva tramite un corridoio largo circa un metro con un pavimento in vaniglia colore marrone. In fondo al quel budello si trovava un bagno turco a uso collettivo dell’intero piano.
Erano infinite le volte che doveva stare di guardia in attesa che il servizio igienico si rendesse disponibile per non perdere la priorità.
L’appartamento, se un tale termine si potesse usare, era rifinito alla buona; aveva il tetto sormontato da un perlinato di legno dallo spessore di circa un centimetro attaccato a dei listelli di legno che fungevano da sostegno delle tegole. Sulla parte prospiciente il Corso Brescia, vi erano due piccoli infissi di legno di castagno le cui fessure, durante l’inverno, favorivano il circolo dell’area gelida. Quel via vai del fluido abbassava la temperatura interna, tanto che la differenza con l’esterno era insignificante.

Foto: museopaleontologicomontevarchi.it

Redazione

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