A loro la parola
Di Augusta Lucilla Spagnolo
Ciò che è dozzinale, che è dato per assunto, si trasforma in qualcosa di ben poco rilevante. La quotidianità è arrivata alla sua forma patologica: se l’assunto e la pratica periodica di una data azione era leggere un articolo, ora la medesima azione assume un habitus differente frazione a uno strumento che siamo soliti sfoderare nei momenti di diletto: quello tecnologico. Conseguentemente, proprio come un disegno da ricostruire, da questa pratica, che sia l’utilizzare un oggetto tecnologico o strumentalmente basato sul web, si passa a un altro aspetto, caratterizzato dall’eclissarsi dell’uomo, che non veicola più idee e ragionamenti e, non veicolandole, non le concretizza. E, fondamentalmente, non si riconduce tutto questo a un silenzio sociale che allunga la sua ombra sulla nostra società e su noi uomini? È un processo autodiegetico: viene dall’interno ma, in quanto habitus, diventa status. E questo status è non dialogare, ma discutere su argomenti di terzi, non curarsi della propria sfera personale ma oscurità. Insomma, vi ricordate quel Grande Fratello di Orwell che concentrava la propria attenzione sulle azioni che i cittadini dei tre continenti svolgevano? Ebbene, noi non parliamo prettamente di un occhio scrupoloso, ma di una Grande Mano, che ci fa indugiare e si pone al di sopra di noi e dalla quale decidiamo di farci tirare dal colletto prima di svolgere un qualsiasi compito. Siamo sostanzialmente asserviti, le nostre opinioni sono in ginocchio, siamo un po’ schiavi, un po’ labili e un po’ pavidi. Ancora più dannosamente siamo recidivi, perciò, inserire una subordinata nel pensare di poter affrontare una difficoltà del genere è arduo, se non assolutamente impossibile.
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