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Costume e SocietàLetteratura

Gli accordi siciliani e il viaggio verso la Calabria

Di Francesco Cesare Strangio

L’annuncio che gli operai avrebbero avuto una quota dell’azienda in compartecipazione fece calare un silenzio che Gaetano ebbe il coraggio di rompere solo dopo diversi interminabili secondi: «Scusatemi, forse non siete d’accordo con quanto annunciato dall’amministratore?»
A quelle parole tutti si destarono dallo sbigottimento e fecero partire un lunghissimo applauso che durò oltre due minuti.
Quella sera nacque una nuova azienda basata sul principio della cooperazione; il giorno seguente tutto fu legalizzato davanti al notaio.
Della spedizione si occupò personalmente Gaetano, mentre Rossi incominciò a fare un giro di telefonate in Sicilia e in Calabria.
Bisognava iniziare a trattare l’oro arancione. Le quantità da fornire erano tali che un ritardo nell’approvvigionamento avrebbe potuto portare al fallimento dell’operazione di esportazione. Il settore dei profumi, a confronto, non erano altro che quisquilie. L’affare vero erano gli agrumi.
Per esperienza culturale, sapevano che la negoziazione della materia prima non era né immediata, né di facile conclusione. Le regole del mercato del Sud non avevano nulla a che fare con quelle del Nord. Il Sud aveva da sempre un ritmo molto basso, forse a conseguenza della situazione climatica che ha inciso sui tempi e sui modi di fare le cose.
La Naxos Export doveva fare i conti con quella realtà che non era da sottovalutare. Quello che sembrava facile, visto da Milano, non lo era né in Calabria né in Sicilia.
Erano in attesa da dieci giorni di una telefonata da parte dei fornitori siciliani. La lungaggine non giocava a loro favore, tant’è che lo stato d’ansia cresceva come la marea durante la luna piena.
Era il due agosto quando squillò il telefono: dall’altra parte del filo vi era un certo Don Ciccio Paternò, un uomo d’onore della Sicilia.
Don Ciccio andò subito al sodo: «Vussia è sempre interessato ai portogalli del Conte Balsamo?»
«Naturalmente!» rispose Rossi, anche se aveva delle trattative bene avviate in Calabria.
Don Ciccio lo invitò a chiacchierare della cosa presso la tenuta del Conte nella provincia di Palermo.
«Anzi – gli disse il fattore, – perché non venite con la vostra famiglia a trascorrere un po’ di giorni qui con noi, così ne parliamo di persona davanti a un bel pasto a base di lepre?!»
«Per dire il vero – rispose Rossi, – ogni anno scendo a Reggio Calabria e se a voi fa cosa gradita vuol dire che verrò a trovarla per il Ferragosto; in ogni caso v’informo telefonicamente il giorno prima di partire.»
La telefonata dell’agricoltore segnò la svolta della trattativa. Il fatto stesso che lo aveva invitato con la famiglia era un segno evidente che Don Ciccio aveva interesse a chiudere. Si trattava solo di dare inizio alla ritualità della negoziazione in cui regnava sovrano l’antico principio del tira e molla.
Negoziare al Sud richiedeva una grande abilità, cosa che non mancava né a Rossi, né a Gaetano. Al momento di negoziare gli attori recitavano un antico copione sul palcoscenico del teatro dei numeri. Quando si negoziava, s’iniziava a pittare attorno alla questione con grandi giri che partivano da lontano, richiamando fatti e avvenimenti a sostegno del loro dire, che il più delle volte non avevano nulla a che fare e nulla a che vedere con l’oggetto della negoziazione.
Il nuovo contratto impose all’azienda di lavorare anche il mese di agosto, tant’è che tutti accettarono di buon grado di passare da otto a dieci ore di lavoro al giorno.
A Gaetano toccò restare in azienda mentre l’amministratore partì con la GTV per andare a farsi una quindicina di giorni, per modo di dire, di vacanza.
In quel periodo doveva recarsi in Sicilia per chiudere un paio di contratti di fornitura per almeno centomila tonnellate di arance. Non era facile sopperire una tale quantità, ma era fiducioso di farcela.
Lo stesso valeva per la Calabria, dove tuttavia la negoziazione sarebbe spettata a entrambi i soci: negoziare nella zona ionica del cosentino, nei pressi di Corigliano e dintorni, sarebbe stato compito di Gaetano, poiché era ben addentrato per via delle amicizie e della parentela; mentre all’amministratore toccava la Piana di Gioia Tauro.
A quei tempi l’autostrada del sole si fermava a Firenze, per arrivare a Reggio Calabria bisognava percorrere la statale lungo l’Appennino.
Quel lungo serpente d’asfalto metteva a dura prova gli autisti, privandoli persino di uno sguardo fugace per apprezzare le meraviglie di quei posti.
Non era un’impresa da poco, tanto che i tempi si allungavano a dismisura. I rifornitori del carburante erano in ordine sparso e quando toccava attraversare i centri abitati la cosa diventava drammatica.
La tratta di Lagonegro era micidiale, bastava trovare un camion sullo stesso senso di marcia e la storia finiva lì.
Mentre era intento alla guida e assorto nei suoi pensieri, non si avvide del cartello che indicava la Regione Calabria. Era così distratto che non si era reso conto di aver superato il segnale che indicava la fine della Basilicata.
Il viaggio procedeva regolare, pensava di arrivare a Reggio verso sera, quando dietro una curva vide un’auto in bilico su di un precipizio.
Fermò l’auto e corse verso quella macchina. Quando arrivò a pochi passi, notò all’interno un’intera famiglia come pietrificata; un movimento sbagliato e sarebbero andati giù per oltre un paio di centinaia di metri.

Foto: moondo.info

Redazione

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