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Dall’illecita detenzione al Testo Unico sulle sostanze stupefacenti

Breve storia della Legge sugli Stupefacenti V - La legge sul consumo di sostanze stupefacenti in Italiana fu sottoposta a una serie di modifiche per rendere sempre più puntuale la norma ed evitare che spacciatori e consumatori potessero trovarvi delle scappatoie. Il problema non sarebbe stato risolto fino al Testo Unico del 1990.

Di Serena Callipari, Davide Barillà ed Enzo Nobile

La legge nº 1.041 del 1954 introdusse una disciplina organica della materia ma rimasero, comunque, in vigore le fattispecie previste nel codice penale.
Venne disciplinata per la prima volta la rilevanza penale della detenzione di sostanze stupefacenti, prevedendo lo stesso trattamento sanzionatorio delle condotte di produzione e traffico, equiparando il consumatore al produttore e allo spacciatore, prescindendo sia dalla distinzione tra consumatore occasionale e consumatore abituale, sia dalla quantità oggettiva della sostanza detenuta.
Le pene previste vennero sensibilmente inasprite: per le cosiddette droghe leggere la pena era della reclusione da 2 a 6 anni, mentre per le cosiddette droghe pesanti la pena era da 8 a 20 anni, oltre alla multa.
Venne, inoltre, introdotta l’attenuante della lieve entità, con la relativa riduzione della pena sia per le droghe pesanti sia per quelle leggere.
Per quanto riguardava, invece, il piano terapeutico, il Pretore poteva, a seguito di accertamento medico, disporre il ricovero in casa di salute o in ospedale psichiatrico per disintossicare chi, “a causa di grave alterazione psichica per abituale abuso di stupefacenti, si rende comunque pericoloso a sé e agli altri o riesce di pubblico scandalo.”

La legge sulle sostanze stupefacenti del 22 dicembre 1975

La disciplina sanzionatoria della legislazione italiana in materia di stupefacenti si rivelò comunque inadeguata a fronteggiare l’aumento del consumo di droga degli anni ‘60.
L’esigenza di riordinare la materia portò all’adozione della legge 22 dicembre 1975, nº 685, con la quale vennero abrogati gli artt. 446, 447 e 729 Codice penale e la legge nº 1.041 del 1954.
Ma a caratterizzare tale nuova esigenza normativa fu principalmente la necessità di distinguere tra le diverse ipotesi e graduare la pena in funzione della gravità del reato.
Nell’ambito della fattispecie di detenzione di stupefacenti, venne inserita una causa di non punibilità rappresentata dalla modica quantità di sostanza detenuta per finalità di uso proprio non terapeutico.
Il concetto di modica quantità serviva inoltre a differenziare la figura dell’assuntore da quella dello spacciatore.
Nei casi di sussistenza della causa di non punibilità, il detentore-consumatore poteva comunque essere coattivamente sottoposto al ricovero ospedaliero, ovvero a cure ambulatoriali o domiciliari.
La normativa, tuttavia, non forniva una definizione di modica quantità, sicché veniva lasciata ampia discrezionalità al giudice nell’applicazione al caso concreto.
La legge nº 685 del 1975, pur essendo caratterizzata da un approccio nuovo che affiancava alle misure repressive strumenti e programmi di prevenzione e di assistenza socio-sanitaria a sostegno del tossicodipendente, fallì molto presto.
Le ragioni del fallimento furono da molti attribuite proprio alla causa di non punibilità della modica quantità, che aveva contribuito a creare un’area di non punibilità nell’attività di spaccio.
Bastava che il piccolo spacciatore frazionasse la sostanza in dosi riconducibili alla modica quantità per rimanere esente da sanzione penale.
Al fine di rendere più severe le sanzioni in materia, fu quindi adottata la legge nº 162 del 1990 (cosiddetta legge Vassalli-Russo Jervolino), che però non sostituì integralmente la legge del ’75, ma si limitò ad integrarla e ad apportare alcune modifiche.

Il Testo Unico sulle sostanze stupefacenti

L’intera normativa è stata in seguito riordinata con il Testo Unico delle Leggi in materia di stupefacenti (Decreto del Presidente della Repubblica nº 309/1990).
Il Testo Unico rappresentava la svolta verso un sistema di maggior rigore, anche nei confronti del tossicodipendente.
Il trattamento sanzionatorio si basava sulla diversa tipologia di stupefacenti, e in particolare sulla distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti previste in apposite tabelle.
Nell’ottica di limitare l’area della non punibilità della detenzione venne ridotta per legge la quantità di sostanza stupefacente il cui possesso non costituiva reato.
Per il consumatore, detentore di piccoli quantitativi di droga per uso personale (non superiori alla dose media giornaliera fissata in apposito decreto del Ministro della Sanità) vennero introdotte sanzioni amministrative.
Il confine tra rilevanza amministrativa e rilevanza penale della detenzione finalizzata all’uso personale non terapeutico venne attribuito al criterio della dose media giornaliera.
Inoltre, venne introdotta la disposizione del comma quinto dell’art. 73, che prevedeva una circostanza attenuante a effetto speciale applicabile al fatto cosiddetto “di lieve entità”, imponendo così di prendere in considerazione la qualità della sostanza, le modalità e le circostanze dell’azione.
Il T.U., inoltre, conservò le misure di sostegno e cura del tossicodipendente, anche attraverso la scelta di sottoporsi a trattamenti di riabilitazione in comunità di recupero.
L’individuazione per legge della “dose media giornaliera” ebbe, però, vita breve.

Tratto da L’ingente quantità e il fatto di lieve entità della Legge sugli Stupefacenti; Key editore
Foto:
btstudiolegale.it

Redazione

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