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Legge sugli stupefacenti: dalle decisioni delle Sezioni Unite alle norme sulle circostanze

Breve storia della Legge sugli Stupefacenti X - Il problema del reato circostanziato, come stiamo per vedere, continua a essere attuale nonostante il legislatore abbia periodicamente cercato di rivedere la norma. A dimostrazione ulteriormente tale difficoltà, anzi, interviene anche l’emanazione delle norme generali sulle circostanze.

Di Serena Callipari, Davide Barillà ed Enzo Nobile

Prima dell’intervento a Sezioni Unite, diverse sezioni ritenevano che l’articolo 640 bis costituisse un’ipotesi autonoma di reato o valorizzando il criterio topografico (il fatto che esistano due distinti articoli o fattispecie) oppure quello teleologico (il diverso bene protetto dalla norma rispetto alla truffa semplice).
Analogamente, e per come meglio vedremo nel successivamente, sempre le Sezioni Unite, con la Sentenza nº 35.737 del 24/6/2010, ribadivano che, anche a seguito delle modifiche introdotte dalla Legge 21 febbraio 2006, nº 49, articolo 4-bis, il Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, nº 309, l’art. 73, comma 5, configurasse una circostanza attenuante a effetto speciale e non un reato autonomo, anche se la normativa seguita alla declaratoria di illegittimità costituzionale della L. nº 49 del 2006, sancita con la sentenza della Corte Costituzionale nº 32 del 2014, col Decreto Legge 23 dicembre 2013, nº 146, convertito, con modificazioni, dalla L 21 febbraio 2014, nº 10, ha introdotto una fattispecie autonoma di reato, pur mantenendo i medesimi elementi distintivi rispetto all’ipotesi base di cui all’art. 73, (a dimostrazione della discrezionalità del legislatore nella scelta di introdurre circostanze del reato o fattispecie autonome di reato).
Il secondo filone giurisprudenziale, sempre confortato dalle Sezioni Unite, invece, esprime un indirizzo diverso rispetto a quello espresso in precedenza, valorizzando il criterio teleologico o dell’oggettività giuridica, secondo il quale, quando la fattispecie penale tutela un bene giuridico diverso rispetto a quello tutelato dalla fattispecie penale di riferimento, siamo di fronte a un’autonoma figura di reato e non a una circostanza aggravante.
In tale senso, le più significative sono la sentenza Greco del 1982, con la quale si afferma che, per la differenziazione tra circostanze ed elementi costitutivi del reato occorre tener presente il bene giuridico protetto (sezioni unite 11.399/82, deposito 26 novembre 1982, Greco, RV 156.405) e la sentenza Deutsch del 1997 con la quale le Sezioni Unite, dovendo valutare se il contrabbando di tabacco lavorato estero in quantità superiore ai 15 kg, previsto e punito dall’art. 2 della legge 50/1994, costituisse figura autonoma di reato oppure circostanza aggravante del delitto di contrabbando previsto dall’art. 282 DPR 43/1973, utilizzando proprio il criterio dell’oggetto giuridico, giunse alla conclusione che si trattava di un’ipotesi autonoma di reato (Sezioni Unite 119/97, dep. 8 gennaio 1998, Deutsch, RV 209.126).
Anche la giurisprudenza, insomma, non è riuscita a esprimere un criterio idoneo a chiarire, nel silenzio del legislatore, quando siamo in presenza di un reato circostanziato oppure no universalmente accettabile.

Norme generali sulle circostanze

Passando dalle problematiche relative alla individuazione delle circostanze alle regole disciplinanti la loro applicazione e valutazione, vi è da evidenziare che il Legislatore del 1930 ha dettagliatamente previsto sia le regole di imputazione delle circostanze (Articoli 59 e 60 Codice Penale) sia all’elencazione (aperta) delle stesse.
Relativamente all’imputabilità delle circostanze, sia aggravanti che attenuanti, le stesse, secondo l’originario articolo 59 del CP, erano imputabili obiettivamente, cioè: se esistevano, si applicano anche se non erano conosciute; se non esistevano, non si applicano anche se ritenute esistenti.
Pertanto, erano irrilevanti sia l’ignoranza sia l’erronea supposizione della loro esistenza.
Successivamente l’art. 59, comma 1 e 2, CP, veniva modificato a opera della L nº 19/1990 e allo stato attuale esso, pur mantenendo fermo il principio dell’irrilevanza delle circostanze putative, prevede che:

  1. “le circostanze che attenuano la pena sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti” (prova dell’imputazione oggettiva delle circostanze attenuanti);
  2. “le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto se da lui conosciute, ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa” (pr. dell’imputazione colposa delle aggravanti).

Dunque le circostanze aggravanti sono imputate al reo solo in tre casi:

  1. se questi le conosceva;
  2. se le ignorava per colpa, cioè se questi avrebbe dovuto conoscerle; 
  3. se sono ritenute erroneamente inesistenti, per errore determinato da colpa.

Quelle attenuanti, invece, sono valutate in ogni caso.
Tra le circostanze attenuanti, però, fanno eccezione quelle che, a cagione della loro struttura, non possono che essere applicate se conosciute, avendo un contenuto psicologico; tali sono le prime 3 dell’articolo 62 (aver agito in stato d’ira, aver agito per motivi di particolare valore sociale o morale, aver agito per suggestione di folla in tumulto).
In ordine all’imputabilità delle circostanze ci si è posti anche il problema se le regole testé indicate valgano anche per quelle successive, giacché parlare di conoscenza o conoscibilità, per le circostanze aggravanti, implica che la situazione circostanziale debba essere preesistente al fatto di reato, o perlomeno concomitante.

Tratto da L’ingente quantità e il fatto di lieve entità della Legge sugli Stupefacenti; Key editore
Foto:
abcsalute.it

Redazione

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