ADVST
Costume e Società

Il serial killer che fotografava la morte

⚠️ ATTENZIONE!
I contenuti che seguono potrebbero urtare la vostra sensibilità.

Tanti uomini hanno sognato di poter viaggiare nel tempo, superando i confini della realtà, per arrivare in una dimensione in cui non esiste né spazio né tempo; è proprio là che stiamo andando, stiamo per fare un viaggio allucinante in un altro mondo che ci trascinerà nel luogo più nascosto e terrificante che esista, tanto che è difficile anche solo ipotizzarlo. È un viaggio che supera i confini della mente, che parte dall’epicentro della psiche di un uomo e supera la realtà terrena, quasi come superare il più profondo degli abissi oceanici oppure come ritrovarsi in una notte polare, così cupa e gelida, da non poterci vivere neanche i mostri degli abissi né i lupi mannari.
Questo viaggio inizia in provincia di Verona, precisamente a Terrazzo, il 3 luglio del 1995; si tratta di un viaggio che, ancora oggi, non è terminato. È la storia di un serial killer, il mostro degli abissi più profondi, il lupo mannaro più spaventoso che sia mai esistito. Ma facciamo un passo indietro: parliamo di un giovane sempre al volante di una bella macchina, sempre elegante, sempre gentile con tutti, un uomo distinto, un uomo dall’aspetto rassicurante. Ma, come noto, l’apparenza il più delle volte inganna! Questa è la storia di un giovane, appartenente a una ricca famiglia di proprietari terrieri, che voleva diventare fotografo ma si ritrovò serial killer, ma è anche la storia di sogni confusi e realtà orripilanti, di ostilità e confessioni. Quest’uomo così gentile e rassicurante si chiama Gianfranco Stevanin: portava a casa le sue vittime con la scusa di scattare delle foto hard, poi praticava sesso estremo fino alla morte delle sue vittime per soffocamento; non solo, i cadaveri venivano mutilati, sfigurati e seppelliti nei terreni di sua proprietà o gettati nell’Adige.
Questa non è la solita storia di ordinaria cronaca nera, serve molto sangue freddo anche solo per leggerla!

La rocambolesca infanzia di Gianfranco Stevanin

Gianfranco Stevanin ha, da tempo, la passione per la fotografia, una passione così grande che gli ha fatto trasformare la sua cucina in un museo della fotografia, ma è anche un museo del sadomasochismo: pieno di fruste, foto hard, borchie, libri di anatomia, peli pubici. Ma chi è precisamente questo giovane fotografo? Gianfranco nasce il 2 ottobre 1960 a Montagnana, un piccolo paesino in provincia di Padova; in tenera età è costretto a entrare in un collegio perché la madre sta portando avanti una gravidanza molto difficile, che si concluderà con un aborto; a 13 anni ha la sua prima esperienza sessuale con una donna sposata e frustrata. Dopo il collegio, Stevanin decide di continuare gli studi frequentando una scuola pubblica; a 16 anni, però accade un evento traumatico e grave, che toccherà per sempre la sua psiche: ha un grave incidente stradale con la moto, da cui si salva per miracolo; si porterà dietro vari strascichi sia di salute, con pesanti attacchi epilettici, sia comportamentali (nella sfera sessuale come nei rapporti con le altre persone); lui stesso ammetterà:

Dopo il trauma sono cambiato, ho dovuto cambiare, sono tornato dall’ospedale e mi sono ritrovato senza amici, senza compagnia; non potevo più fare motocross, il mio sport preferito; ero diventato più tranquillo, misuravo le parole e i fatti; anche mia madre era diventata ancora più protettiva di prima; a scuola non riuscivo a rimanere concentrato a lungo inoltre avevo forti emicranie.

Per tutti questi enormi cambiamenti Stevanin lascia anche gli studi. Tra il 1978 e il 1983, Gianfranco macchia la sua fedina penale: fa finta di essere stato rapito e chiede ai genitori di pagare il riscatto, finge di avere una pistola in tasca e obbliga una ragazza ad accompagnarlo a una festa, sempre fingendo di avere una pistola in tasca obbliga una ragazza a dargli i suoi gioielli ma, sopra ogni cosa, nel 1983 è il responsabile di un incidente stradale nel quale una ragazza perde la vita, per il quale sarà condannato per omicidio colposo. Ma c’è tanto altro: nel 1989 rapisce e ferisce una prostituta di Verona, Maria Luisa Mezzari, poi lasciata andare; l’aggressore resterà senza nome per circa 5 anni e, quando le autorità capiranno che si tratta di Stevanin sarà troppo tardi!

Un amore sfortunato

Nei primi anni ‘80, Stevanin incontra l’amore della sua vita, Maria Amelia, con la quale ha molti progetti. Purtroppo, Maria si ammala gravemente e i genitori di Gianfranco lo pressano affinché lui smetta di frequentarla; Stevanin li accontenta e abbandona la sua fidanzata: è proprio da questo momento che inizia a scoprire il sesso occasionale: frequentando prostitute e, più di ogni altra cosa, sviluppando un immenso interesse per il sesso estremo. Alle donne che frequenta racconta di essere un appassionato di fotografia: arriverà a collezionare oltre 7.000 foto che lo ritraggono in compagnia di queste donne occasionali, soprattutto mentre fanno l’amore: ma non tutte le ragazze hanno la fortuna di uscire vive dal suo casolare! Chi sono tutte le ragazze che ha fotografato? E da quando Stevanin inizia a essere un serial killer spietato? La prima ragazza sparisce il 15 gennaio del 1994: è Claudia Pulejo, 29 anni, tossicodipendente. Viene attirata nella villa con la promessa di quindici scatole di Roipnol, un potente farmaco usato per le crisi di astinenza; in cambio Stevanin chiede semplicemente il permesso di scattarle alcune foto hard. A novembre dello stesso anno, risale invece la sua ultima vittima, una prostituta austriaca, Gabriele Musger.

La folle notte di Gabriele Musger

È una serata gelida e buia, è la sera del 16 novembre 1994, ci troviamo a Vicenza: Stevanin ha avvicinato la prostituta austriaca Gabriele, chiedendo il prezzo per farsi scattare delle foto, Gabriele chiede in cambio un milione di lire ed esige inoltre che non le sia fotografato il volto. La ragazza ottiene la promessa da Stevanin, sale a bordo della sua Lancia Dedra e arrivano in un casolare: Gabriele trova al suo interno un vero e proprio set fotografico hard. Ci sono cavalletti montati, corde di nylon, bende, e tutto il necessario per legare una persona. La donna inizia a essere titubante e fa un passo indietro, vorrebbe essere riportata al luogo del suo lavoro. Questa indecisione farà scattare nella testa di Stevanin un click, quello della rabbia estrema, che costerà alla ragazza ore e ore di rapporti violenti, giochi erotici estremi; sarà anche costretta a farsi scattare foto pornografiche; la giovane, a un certo punto, scappa, prova a fuggire dalla finestra del bagno, ma Stevanin se ne accorge e la prende con forza; quando la ragazza rifiuta di farsi legare nuda al tavolo, di schiena, con gli occhi bendati per farsi scattare altre foto hard, Stevanin si infuria superando il confine della sua stessa mente: grida, le urla contro, alza la voce così tanto che il suo volto diventa bianco, come se fosse posseduto da una qualche entità maligna, in questo preciso momento prende una pistola e un taglierino e la minaccia. La donna ha una paura che non si può descrivere a parole: trema, non riesce a parlare, è accovacciata per terra, ma è anche una ragazza forte e furba, e questo la porterà ad avere un’intuizione che le salverà la vita. Per farsi liberare, offre 25 milioni a Stevanin, che inizialmente è titubante ma, sotto l’insistenza della ragazza, accetta. C’è un ma: i soldi sono troppo pochi per un uomo distinto come lui, perciò esige un altro rapporto sessuale, dopodiché salgono in macchina per andare verso la casa di Gabriele e prendere i soldi. Ma qual era l’intuizione geniale di Gabriele? Era quella di arrivare al casello di Vicenza ovest e affidarsi poi alla dea fortuna: mentre Stevanin è intento a pagare il pedaggio, Gabriele lo beffa, si lancia fuori dall’auto e corre in direzione di una pattuglia della polizia stradale, che si trovava ferma proprio lì vicino; Gabriele grida aiuto e i poliziotti si allarmano subito.

L’arresto

Proprio nell’auto di Stevanin la polizia rinviene una pistola giocattolo, priva del tappo rosso, perciò viene arrestato. Vengono compiuti dai Carabinieri i primi sopralluoghi presso la sua abitazione di Terrazzo, ma non nel casolare; durante le perquisizioni i Carabinieri trovano un taglierino, due pistole giocattolo, indumenti intimi da donna, borsette da donna, i documenti di 5 ragazze, contenitori di foto per un totale di oltre 7.000 fotografie hard, videocassette porno, una parrucca bionda, contenitori con peli pubici, lettere ad amanti e fidanzate, santini, immagini e libri sacri, riviste femminili, giornali pornografici, atlanti di anatomia, volumi sull’uso della macchina fotografica e, infine, le schede sulle prestazioni sessuali di alcune donne, che saranno fondamentali per collegarlo alle vittime e a ricostruire il suo profilo psicologico. Riguardo i peli pubici trovati nei contenitori, Stevanin in un primo momento afferma che sono di tre o quattro donne ma, in seguito, dirà di non ricordare il numero preciso. Gianfranco Stevanin non è ancora un serial killer, è semplicemente un pervertito che ha minacciato e violentato una prostituta a scopo di estorcerle denaro. Infatti per questo viene processato: violenza carnale e sequestro di persona, 3 anni e 4 mesi di carcere con rito abbreviato. Dopo circa 7 mesi di reclusione, riesce a ottenere gli arresti domiciliari, ma c’è qualcosa che insospettisce gli inquirenti: tra i documenti e gli indumenti rinvenuti durante le perquisizioni ci sono anche quelli appartenenti a Biljana Pavlovic e di Claudia Pulejo, queste due ragazze figurano anche nelle schede delle prestazioni sessuali, ma Stevanin mente e dice che gli abiti sono un pegno d’amore lasciati dalle due ragazze; è difficile immaginare che le due donne siano uscite nude dal suo casolare.

L’imprevisto del 3 luglio

Il 3 luglio 1995, accade un imprevisto: il contadino degli Stevanin è a lavoro nei campi e, per puro caso, ritrova in un fosso un sacco contenente i resti di un busto. Grazie a questo colpo di fortuna emerge la prima vittima di Stevanin, il quale viene nuovamente fermato; le indagini sono condotte dai Carabinieri e da un nuovo magistrato, Maria Grazia Omboni. I cronisti cominciano a interessarsi a questo strano ragazzo con la mania del sesso estremo, la notizia dilaga in tutta Italia ma, dal carcere, Stevanin dice di non sapere niente, nega, come se cascasse dalle nuvole. Ma la verità viene sempre a galla: tutto ciò che si scoprirà durante le indagini farà vacillare le versioni dell’uomo: Le indagini si sposteranno in tutte le proprietà della famiglia Stevanin, ma soprattutto nel casolare, una casa colonica su due piani, senza acqua corrente, dove i Carabinieri troveranno indumenti femminili, corde, tracce di sangue sui muri. Nel novembre 1995 viene trovato il cadavere di una giovane donna piegata in due, avvolto in un telo blu e sepolto a circa ottanta centimetri di profondità; però questa volta il ritrovamento non è fortuito e, soprattutto, non è in un luogo qualsiasi: il cadavere è stato sotterrato proprio in un podere della famiglia di Gianfranco. Dopo gli esami del DNA e la ricostruzione del volto, si appura che quel tronco di cadavere appartiene a Biljana Pavlovic. Nel dicembre del 1995 viene disseppellito il terzo e ultimo cadavere, Claudia Pulejo.

Da semplice pervertito a “mostro di Terrazzo”

Gli omicidi contestatigli non sono solo i tre legati ai cadaveri ritrovati, bensì 5, due dei quali sono solo supposti; dalle foto e dai documenti rinvenuti durante le perquisizioni è stata infatti riconosciuta un’altra donna, Roswita Adlassing, una prostituta austriaca, scomparsa da qualche tempo; mentre in un’altra foto si vede una donna mai identificata, ritratta in una pratica erotica estrema, apparentemente priva di vita. Proprio in questo preciso momento inizia il braccio di ferro tra gli inquirenti e Gianfranco Stevanin. Tutti si chiedono in quale modo siano state uccise queste donne: si appura che una donna sia morta perché, durante il rapporto, Stevanin le avrebbe stretto troppo forte il braccio intorno al collo, un’altra a causa del bondage, soffocata con un sacchetto di plastica, un’altra ancora perché lui le stringe le mani intorno al collo durante l’orgasmo; ma questi incidenti ‘casuali’ non spaventano il freddo e spietato ormai serial killer. Infatti Stevanin, in una delle sue tante confessioni, racconta:

Sono morte accidentalmente, durante il rapporto sessuale, quasi non me ne sono accorto!

I racconti di Gianfranco Stevanin sono molto confusi, si nasconde dietro i ricordi, adegua le sue ammissioni ai risultati degli inquirenti, è un uomo meticoloso, lucido, furbo, inafferrabile. Ma gli inquirenti si trovano di fronte a un uomo affetto da qualche infermità tale da costituire vizio parziale o totale di mente o davanti a un uomo capace di intendere e di volere al momento del fatto?

«L’ho tagliata in 10 pezzi»

Gianfranco Stevanin è indagato per omicidio volontario e occultamento di cadavere, viene trasferito nel carcere di massima sicurezza di Montorio. A Terrazzo arrivano le ruspe e, qui, Stevanin vacilla e può solo confessare: tra amnesie, sogni confusi e momenti di lucidità, confessa 4 delitti: quattro ragazze gli sono morte tra le braccia, di queste, tre sono morte durante i rapporti sessuali spinti all’estremo e una, Claudia Pulejo, morta per overdose da eroina. Proprio per quest’ultima ci sono voluti molti interrogatori per capire bene la successione degli eventi; l’uomo racconta gli episodi come se si trovasse in un sogno, ma un sogno fin troppo lucido e con molti dettagli assolutamente macabri:

Ho conosciuto una studentessa universitaria a Verona e l’ho incontrata tre o quattro volte; siamo distesi nel giardino di casa, ho accanto una ragazza dai capelli scuri: facciamo l’amore, poi entriamo in casa e abbiamo un altro rapporto molto bello e movimentato, forse consumato sul tavolo della cucina, seguito da un orgasmo devastante; poi ci siamo rilassati e, a un certo punto, l’ho chiamata, ma lei non ha risposto, era morta!

Stevanin decide di liberarsi del corpo e afferma:

L’ho portato in braccio dietro al magazzino e l’ho tagliata in 10 pezzi.

Blazenca Smolijo

Sempre durante un interrogatorio, il mostro di Terrazzo fa un’altra rivelazione: racconta di aver sentito, due anni prima, una notizia riguardante il ritrovamento di un corpo nel fiume d’Adige a Piacenza; dice che, nel luglio del 1994, era stato trovato un corpo nudo incastrato sotto un barcone, ma la permanenza nell’acqua aveva reso il volto del cadavere irriconoscibile, ma era certo che si trattasse di una donna:

Mi interessava sapere se poteva essere la donna che io avevo gettato in acqua circa due settimane prima.

La donna si chiama Blazenca Smolijo, croata, di 24 anni, professione prostituta: questa ragazza voleva uscire dal racket della prostituzione, e chiede a Stevanin se può ospitarla per qualche giorno nel suo casale; l’uomo accetta, ma a patto che nessuno la veda! La ragazza non si fa troppe domande, pensa di aver trovato un buon amico: Stevanin passa al mattino, passa la sera, fanno l’amore fino al solito incidente. Lui asserisce che:

Forse nella foga del rapporto sessuale non mi sono reso conto di stringere troppo e, alla fine, quando ho mollato la presa, me la sono ritrovata accasciata tra le braccia; il giorno dopo sono tornato nel casale ho preso un pezzo di nylon, ho avvolto il corpo, ho legato il tutto con dello spago, sono arrivato sulla sponda del fiume e ho srotolato il telo di plastica facendo scivolare il corpo in acqua.

Sarà lo stesso Stevanin che, il 20 settembre 1996, accompagnerà gli investigatori nei luoghi, tra Padova e Verona, dove indicherà di aver gettato i pezzi del corpo.
Stevanin racconta, sotto forma di deduzioni, di aver sezionato il cadavere di Blazenca al fine di occultarlo, di aver tagliato prima le braccia e poi le gambe, ricavando due pezzi per ogni arto. La ragazza era giovane aveva dei lunghi capelli biondi, Stevanin ricorda anche di aver vomitato una volta, durante il sezionamento, di aver visto molto sangue:

Il ricordo più forte che ho è appunto il sangue!

Un soggetto processabile

Nel frattempo il Giudice per le Indagini Preliminari, Carmine Pagliuca, affida la perizia psichiatrica a due periti esperti di serial killer: Ugo Fornari, professore di psicopatologia Forense presso l’Università di Torino e Ivan Galliani, ordinario di criminologia presso l’Università di Modena. Ma Stevanin può essere processato?
Partiamo dall’inizio: sulla base delle perizie psichiatriche il soggetto è processabile: per i periti Stevanin non è una persona ansiosa né depressa, e risulta essere un soggetto sospettoso e molto cauto, emerge una certa aggressività, la mania di tenere sotto controllo tutto (tipico dei serial killer) e l’incapacità di lasciarsi andare alle emozioni. Il 6 ottobre 1997 Gianfranco Stevanin comparirà davanti ai giudici della Corte d’Assise: il pubblico ministero, Maria Grazia Omboni, espone alla Corte la ricostruzione dei 3 anni di indagine, comprese le dichiarazione sconvolgenti di Stevanin durante gli interrogatori in carcere; il pubblico ministero inizia dalla sera del 1989, quando l’imputato fu fermato dalle forze dell’ordine grazie alla denuncia di Gabriele Musger; il racconto che fa ai poliziotti è agghiacciante e dettagliato il Pubblico Ministero accusa infatti Gianfranco Stevanin di cinque omicidi: Roswita Adlassing, Biljana Pavlovic, Claudia Pulejo e Blazenca Smolijo, ma resta il mistero del tronco non identificato rinvenuto dal contadino degli Stevanin, gli inquirenti pensano si tratti di una prostituta di origine tailandese. Rimane poi il giallo della foto della donna ritratta in una pratica erotica estrema, apparentemente priva di vita, mai identificata; rimane la violenza carnale, le lesioni personali volontarie aggravate in danno di Maria Luisa Mezzari, che non potrà partecipare al processo perché è deceduta, e rimane l’accaduto di Gabriele Musger. Non può esserci il rito abbreviato perché sono state contestate molte aggravanti di ergastolo oltre alla premeditazione, e l’assassino ha agito durante la violenza sessuale con assoluta e fredda crudeltà: ha approfittato di vittime rese inermi. Per l’occultamento di cadavere sono indagate altre persone, tra cui la madre di Stevanin, Noemi Miola. Ma la donna sapeva dei giochi proibiti del figlio?

La mamma era complice?

Ha forse nascosto la verità per proteggerlo? Una prima ammissione era già stata presa dall’avvocato Cesare Dal Maso, durante il processo: i genitori di Stevanin sapevano da tempo che il loro figlio aveva una devianza mentale di carattere sessuale e, per questo motivo, lo avevano portato negli studi di illustri specialisti, cercando di curare quelle strane abitudini. Ma è Stevanin a proteggere la madre tanto che, durante il processo, arriverà a proporre al Presidente della Corte di ripetere l’esperimento dell’avvolgimento del cadavere proprio per dimostrare che riusciva a farlo benissimo da solo: forse si tratta della disperata mossa di un figlio per tenere la madre lontana da ogni responsabilità. Durante i colloqui con i periti, Stevanin parla della madre, con la quale dice di avere un buon rapporto e, dall’altro lato, spiega di non essere mai riuscito a avere una relazione stabile, tranne che con Maria Amelia, perché la madre si intrometteva sempre in ogni ambito della sua vita, infatti afferma:

Mia madre era peggio di uno 007, era impossibile depistarla!

Secondo i periti, la madre ha sempre considerato l’uomo come un bambino e, per tale motivo, non lo ha lasciato crescere; i periti dicono che è proprio nell’infanzia che Stevanin si è costruito una figura fonte inesauribile di gratificazioni e sicurezze, solo in seguito subentra la frustrazione e il bisogno; si sa, la delusione di un’attesa può aver causato un trauma.

Un pentimento non sincero

I periti cercano di capire cosa possa essere successo dentro la sua psiche per arrivare a uccidere in quel modo delle donne. Dalle sue risposte non si riesce a capire bene la psicodinamica dei suoi reati, il suo è un atteggiamento chiuso e non tradisce mai alcuna emozione. Stevanin si considera malato, vuole sapere come fare per poter interrompere questa sua potenziale patologia. Ma dai colloqui effettuati non emergono sensi di colpa o rimorso verso le vittime; i periti ricordano che Stevanin si è presentato nei diversi incontri presso il carcere di Verona lucido e cosciente e che nulla consente di identificare Stevanin come un minus habens; si tratta di un individuo la cui personalità e le cui risorse sono del tutto compatibili con i delitti realizzati e con l’impunità che, se non si fosse verificato il caso Musger e il casuale ritrovamento dei reperti, forse ancora oggi lo caratterizzerebbe.
Ma passiamo alla perizia della difesa: gli avvocati difensori di Stevanin nominano i periti Francesco Pinto e Giovanni Battista Traverso, che incentrano la valutazione concernente l’imputabilità su un preciso elemento, ritenuto imprescindibile per lo sviluppo della personalità di Stevanin, ossia l’incidente in moto del 1976; spiegano che Stevanin è affetto da una completa sindrome psicopatologica, su base organica, di origine post- traumatica, talmente grave da essere dimostrabile persino dagli esami strumentali; aggiungono che, sul piano affettivo, Stevanin appare, appiattito, instabile e labile, incapace di arrivare a effettuare scelte ponderate in quanto facile preda di spinte incontrollate, riscontrano una patologia psichiatrica grave che costituisce infermità, ai sensi di legge. Stevanin, durante un suo interrogatorio, ammette di essere pentito e di voler chiedere scusa alle vittime:

Non mi sento ancora di spiegare io stesso perché siano successi certi fatti, nonostante questo, sono molto amareggiato per quello che è successo, veramente molto amareggiato, perché erano tutte persone per le quali c’era più o meno un certo sentimento; farei di tutto per far tornare in vita queste persone, ma so che questo non è possibile, in ogni caso, se mi dovesse ricapitare mi comporterei, immagino, in modo diverso: andrei al Pronto Soccorso, dai Carabinieri, insomma farei quello che va fatto, e non l’ho fatto perché preso dal panico, chiamiamolo così; capisco di non rendere l’idea di pentimento, ma caspita, è difficile esprimere qualsiasi sentimento, d’altronde.

“Facile da uccidere”

Stevanin appare alla giuria come un soggetto incapace di provare emozioni, ma c’è un altro episodio: nel settembre del 1996 vengono sequestrate 5 lettere con minacce di morte inviate alla giornalista Alessandra Vaccari dal detenuto Giuliano Baratella, lettere scritte da Stevanin e fatte copiare dal suo compagno di detenzione, nelle quali Baratella si autoaccusa di essere il colpevole dei delitti ingiustamente attribuiti all’indagato; a tale proposito, alle domande fatte dal PM sull’argomento, Stevanin chiede di avvalersi della facoltà di non rispondere; ma c’è un particolare molto importante: nella camera di Stevanin, durante le perquisizioni, erano stati trovati tantissimi libri, dei quali soprattutto uno colpirà molto i periti. Si intitola Facile da uccidere: in copertina è raffigurata una donna bionda, seduta di spalle, su di una sedia, nuda e legata con la tecnica del bondage, con appesa al collo una macchina fotografica; a specifica domanda, Stevanin liquida la questione affermando di non aver mai letto ancora quel libro. Si tratta di un romanzo di lettura poliziesca in cui si descrivono le ultime ore di vita di un serial killer: narra da un lato il rapporto con la vittima, tenuta sotto sequestro e, dall’altro, la biografia del protagonista, interpretata in chiave psichiatrica. I periti hanno sottolineato nella loro perizia le analogie di comportamento tra il periziando e il protagonista del romanzo. I due esperti sostengono che Stevanin, suggestionato dal romanzo, potrebbe aver voluto emulare, in parte, le gesta del suo eroe: un fotoreporter che ama fotografare le proprie vittime appena uccise, tra cui donne tagliate a pezzi, prostitute assassinate e sepolte nei terreni vicino alla casa dell’infanzia, donne legate e seviziate con il rasoio.
I periti scrivono:

Se confrontato con quanto è noto della sessualità dello Stevanin, dei suoi hobby, del suo modus operandi, nell’approccio sessuale e nella successione degli omicidi, dei reperti rinvenuti nella sua auto e in casa, e di come si è svolto l’episodio con la Musger, il libro appare estremamente suggestivo, tanto da poter far sorgere ipotesi che il personaggio del libro sia stato assunto come modello.

La condanna

La difesa di Gianfranco Stevanin è stata tutta improntata sull’imputabilità: ma chi è imputabile? È imputabile colui che ha la capacità di intendere e di volere; la capacità di intendere significa l’attitudine a rendersi conto degli atti compiuti, comprenderne i motivi, il significato e le relazioni con il mondo esteriore, e quindi a prevedere la portata delle conseguenze della propria condotta. Con sentenza del 28 gennaio 1998 la Corte d’Assise di primo grado del Tribunale di Verona condanna Gianfranco Stevanin alla pena dell’ergastolo; la giuria accoglie in pieno la tesi e le richieste dell’accusa: Stevanin è colpevole di tutti i reati ascrittigli. L’idea dei giurati è stata quella di:

Una persona consapevole dei reati, e non di un malato di mente, come hanno cercato in tutti i modi di dimostrare i suoi legali; sadico ma non pazzo, affetto da un disturbo mentale ma non tale da non poter capire che doveva fermarsi prima di infierire sulle vittime nella sua foga sessuale, e i suoi delitti hanno la causa esclusivamente nel soddisfacimento della propria libido.

Questo è il passaggio pronunciato da uno dei quattro periti di ufficio. Gli avvocati difensori di Stevanin impugnano la sentenza, la difesa sostiene che gli elaborati peritali sottovalutassero i problemi neurologici dello Stevanin e che, nella valutazione dell’imputabilità, sia i periti sia il primo giudice abbiano attribuito grande rilievo alle dichiarazioni rese da Stevanin, elevate a sintomo della sua intelligenza; in realtà quelle dichiarazioni sono la dimostrazione dei gravi disturbi della personalità; si ribadisce che Stevanin passa all’atto omicidiario, non perchè l’abbia premeditato, ma perché è portatore di questa personalità psicotica.

Il rovesciamento del secondo grado

Il 22 marzo 1999 prende il via, presso la Corte di Assise di Venezia, il processo di secondo grado: la conclusione del nuovo collegio peritale fu la seguente:

Per effetto della patologia neurologica da cui Stevanin era affetto nel momento in cui uccise, la sua capacità di intendere era gravemente scemata e difettava del tutto la sua capacità di volere.

E così si ha un clamoroso rovesciamento delle conclusioni della Corte d’Assise di Verona. I periti della Corte d’Assise di appello hanno perciò privilegiato gli aspetti neurologici, rispetto a quelli psichiatrici, e hanno riscontrato in Gianfranco Stevanin una forma di epilessia causata da una lesione cerebrale provocata dall’incidente motociclistico, comprese lesioni atrofico-degenerative di entrambi i lobi frontali del cervello: proprio questi danni avrebbero influito sulla sua volontà nel momento di uccidere. Stevanin sarebbe stato pienamente consapevole sia nel compiere atti di violenza sessuale, sia nell’occultare i cadaveri delle sue vittime; la loro conclusione è stata tuttavia concorde nel definire socialmente pericoloso il periziando. Di fronte a una perizia d’ufficio di questo tipo pochi spazi sono rimasti per l’accusa, dinanzi all’incredulità dei parenti delle vittime e dei loro difensori la sentenza assolve l’imputato dai reati di omicidio e violenza sessuale, perché commessi da persona non imputabile; ottiene però la condanna, per i reati di sottrazione, occultamento, depezzamento di cadavere, ad anni 10 e mesi 6 di reclusione, e si ordina l’immediato ricovero dell’imputato in un ospedale psichiatrico giudiziario per la durata minima di 10 anni.

La conferma dell’ergastolo

Ma il 24 maggio del 2000 la Corte di Cassazione di Roma annulla la sentenza d’appello per illogicità delle motivazioni sui risultati delle perizie; il 30 novembre del 2000 inizia il processo di appello bis: la prima udienza del processo priva dell’imputato internato nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo Fiorentino; i giudici sono chiamati nuovamente a decidere sulla capacità di intendere e di volere di Stevanin, al momento dei delitti e della sua premeditazione: è questo infatti il punto debole della motivazione in primo appello, annullata dalla Cassazione. Il processo si svolge sulla base dei risultati degli esami effettuati dai periti sulla personalità di Gianfranco Stevanin; per quanto riguarda le richieste effettuate dalle parti, si ha una netta contrapposizione: si chiede l’ergastolo mentre i legali di Stevanin chiedono la non punibilità del loro assistito per incapacità di intendere e di volere. Il 23 maggio 2001 la Corte d’Assise d’Appello emette la sentenza: la Corte sottolinea che né il trauma cranico, né l’epilessia, né la relazione con la madre assumono ruoli causali; secondo l’organo giudicante nei delitti assumono invece un ruolo aggravante la sua condotta sempre lucida e un atteggiamento privo di alcuna parvenza di pentimento, bensì attento ad adeguarsi di volta in volta a una nuova emergenza probatoria. Il 7 febbraio 2002 la Cassazione conferma la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Venezia, che aveva inflitto a Gianfranco Stevanin l’ergastolo.

Seppur affetto da un disturbo della personalità non è detto che il serial killer non sia capace di intendere e di volere nel momento della commissione del reato.

È plausibile che, al momento della commissione del fatto, la persona possegga entrambe le capacità in quanto, nonostante sia stato diagnosticato il disturbo, in quel momento esso non interferiva con le sue capacità di intendere e di volere; al giudice interessa ai fini dell’imputabilità, e non solo riguardo ai serial killer, la presenza di una forma di infermità che al momento del fatto sia stata di entità tale da alterare queste capacità.
Finisce così la storia dell’agricoltore che voleva diventare un fotografo e si ritrovò serial killer.

Foto: teleblog.it

Vittoria Petrolo

Nata a Locri nel 1992 e cresciuta tra la costa ionica e quella tirrenica calabrese, finito il Liceo Scientifico ha intrapreso la strada della Giustizia, frequentando la Facoltà di Giurisprudenza prima a Catanzaro e poi a Caserta, sognando di indossare un giorno la toga. Amante del sapere ha frequentato corsi di Psicologia Criminale e Analisi della Scena del Crimine, ma ha frequentato anche corsi di Politica Forense e criminologia. Di recente è entrata nella International Police Organization e nella Counter Crime Intelligence Organization, di cui coordina la sezione italiana. Grazie a questa collaborazione ha scoperto il mondo della scrittura e che “mettere nero su bianco” le sue competenze costituisce un’eccezionale valvola di sfogo.

Related Articles

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button