Taci, il nemico ti ascolta!
Stasi XXIV - Francesco Rossi ha finalmente l’opportunità di confrontarsi con il funzionario jugoslavo con cui deve concludere una parte del suo grande accordo ma, di lì a breve, si rende conto che l’uomo esercita una singolare arte del temporeggiare, che pare essere una costante dei paesi governati da regimi totalitari.

Di Francesco Cesare Strangio
Il ristorante Lo scoglio dell’aquilone era stato realizzato su un costone che dava a picco sulla vallata. Di proposito gli fu assegnato quel nome, dalla sua posizione a strapiombo. Dalle ampie vetrate, si poteva apprezzare un panorama infinito e variopinto, tanto che appariva surreale.
Il funzionario, essendo nella sua terra, chiese il permesso di ordinare il pasto. Fece portare del formaggio e dell’affettato che riportarono alla mente di Rossi gli insaccati mangiati nella tenuta del Barone di Lamezia Terme.
L’aria era accarezzata da un piacevole profumo di arrosto, tanto che saltarono il primo piatto e si fecero portare due porzioni abbondati della porchetta che stava cuocendo in un grande caminetto.
Il calore era prodotto da tanta brace, la porchetta girava mossa da un meccanismo elettrico. La cottura si presentava al punto giusto, tanto che la pelle dell’animaletto aveva assunto il colore dell’oro. Le papille gustative portarono al cervello un sapore unico, per non parlare del profumo e della tenerezza della carne.
Quel tavolo, come se glielo facessero di proposito, era servito da una cameriera dai capelli biondi e dal fisico perfetto.
Sotto l’influsso del dio bacco, il pensiero di Rossi andò a contemplare i movimenti del corpo della donna, tanto che il funzionario se ne accorse e sorrise sotto i folti baffetti.
Rossi fremeva, voleva affrontare l’argomento più delicato della trattativa.
Doveva capire quali erano le pretese del funzionario per rendersi conto se il gioco valeva la candela oppure doveva fare ritorno a Milano con un nulla di fatto.
Erano passate quasi due ore da quando erano entrati nel ristorante.
Il funzionario, vedendo posarsi di continuo lo sguardo dell’italiano sulla donna, la chiamò e le disse che il suo ospite desiderava trascorrere con lei un paio di giorni a Spalato.
La donna sorrise e accettò l’invito.
Era fatta, il sabato e la domenica al mare con quell’ammirevole ragazza.
«Un momento – esclamò il funzionario, – sabato vengo anch’io al mare».
Il cuore di Rossi si fermò per un attimo, tanto che non percepì più lo scorrere del sangue nelle vene. I brevi pensieri di una folle avventura svanirono come il fantasma del padre di Amleto in procinto dell’alba. La sua mente fu pervasa da un breve istinto omicida, ma subito si rese conto che era lì per lavoro e fece uscire una sonora risata alla quale il funzionario fece seguito.
Uscirono e, dopo aver pagato e salutato la giovane donna, si avviarono verso l’albergo che il funzionario aveva provveduto per tempo a prenotare.
La hall era di dimensioni riguardevoli, alla reception c’era un uomo di mezza età a ricevere i clienti. Il funzionario fece un cenno all’addetto, tanto che questi non chiese nemmeno i documenti allo straniero.
Un colpo secco sul campanello e comparve una giovane donna dal fare gentile. La donna prese la valigia di Rossi e lo accompagnò nella sua camera.
Non appena entrato, percepì l’odore della moquette che gli provocò un senso di leggero disgusto.
Chiese alla donna se c’era una stanza con il pavimento senza la moquette.
La donna, apparentemente dispiaciuta, disse di no.
Rassegnato e sotto il dominio della stanchezza si stese sul letto, il quale emise il tipico scricchiolio delle brande a molle. Per sua fortuna non percepì nella schiena il corpo appuntito delle molle del materasso.
Il bagno e un armadio a muro separavano la stanza dall’ingresso e, dirimpetto alla porta, un’ampia vetrata, oscurata da una tenda dello stesso colore della moquette, dava sulla strada principale, separata dall’hotel da una striscia di terra su cui troneggiavano maestosi una schiera di alberi.
Il ventilatore al soffitto, che fungeva anche da lampadario, ruotando agitava l’aria e il fruscio riempiva il silenzio della notte.
Rossi ebbe la sensazione che le città, oltre la cortina di ferro, fossero dirette da un unico direttore d’orchestra. Il motto era lo stesso: “Silenzio e disciplina!”
Quella mattina non si alzò come al solito all’apparire del sole. Il vino e l’abbuffata della sera prima lo avevano fatto cadere in un sonno profondo, tanto che solo lo squillo del telefono lo riportò alla realtà.
Dall’altra parte, la voce del funzionario gli chiese cosa fosse successo: il non vederlo arrivare lo aveva preoccupato.
Rossi si scusò per l’accaduto, poi aggiunse: «Mi dia solo il tempo di fare una doccia e sarò da lei».
Il funzionario rimase in attesa per oltre una mezz’ora; vedendo che le cose andavano per le lunghe si rivolse alla donna della reception: «Riferisca al Signor Rossi che l’aspetto al bar in piazza».
Dopo circa tre minuti Rossi arrivò nella hall, la sua attenzione fu richiamata dalla voce della donna che stava alla reception, che riferì quanto lasciato detto dal funzionario. Rossi guadagnò l’uscita e, con passo deciso, si diresse in direzione del bar.
Poco dopo raggiunse il funzionario e chiese scusa per il ritardo.
L’uomo accennò un breve sorriso e poi disse: «Non si preoccupi, quello che dobbiamo concordare lo faremo domani al mare».
Con quelle parole Rossi ebbe la conferma che da quelle parti era conveniente pesare le parole poiché vigeva il motto fascista “Taci! Il nemico ti ascolta!”, cosa del tutto normale per un Paese totalitario come la Jugoslavia.
Foto: facciabuco.com