ADVST
Costume e SocietàSport

I borghi della perduta gente: Casalnuovo e Africo

Locride… e dintorni in Mountain Bike XXII

Di Rocco Lombardo

Dopo aver sconfinato il territorio della Locride, ci siamo spinti fino all’estremo lembo meridionale dell’Aspromontee ci siamo inerpicati fino ai Piani di Bova, una prima parte di percorso che ci ha offerto scenari di struggente bellezza.
Dall’ultimo avamposto militare di San Salvatore, posto a circa 11 km dalla costa e a 1.260 metri di altezza sui Campi di Bova, antico confine tra le due poleis, Rhegion e Lokroi, proseguiamo per un centinaio di metri sulla strada asfaltata, dopo l’incrocio con le indicazioni per Casalnuovo a destra e Africo e Roghudi a sinistra, lasciamo per un attimo la strada, immettendoci sulla sterrata che costeggia i piani di San Salvatore ed eccoci sull’affaccio di Africo, con il Villaggio di Carrà e le cime arrotondate di Monte Cozzi, Puntone Galera e, in fondo, Montalto.
Superiamo quindi il crocevia procedendo in falsopiano per alcuni chilometri e, seguendo le indicazioni per Casalnuovo, tra secolari pini e vedute affascinanti, imbocchiamo quindi una vecchia mulattiera dissestata e in parte sterrata, che ha consentito per pochissimo tempo agli inizi del 1951, alla storica corriera la percorrenza della sola e unica corsa giornaliera che collegava il paese con i Piani di Bova, fatalmente dismessa qualche mese appresso per le frane e l’abbandono forzoso che conseguirono alla funesta alluvione che ne decretò la definitiva scomparsa.
La strada, ancorchè dissestata, in vertiginosa e adrenalinica discesa, si presenta decisamente suggestiva e panoramica, alle cime e ai contrafforti montani si sostituiscono le prime vedute sui borghi fantasma sottostanti, Casalnuovo, proprio sotto i nostri piedi, e Africo sul costone dirimpetto, un paesaggio magico e silenziosissimo; dopo una ventina di minuti circa si giunge alla convergenza con una sterrata che ci conduce alle porte del borgo di Casalnuovo; Tignano uno dei tanti nomi di questo antico e dimenticato borgo, fondato e costruito a 737 metri sul livello del mare su una rupe alla destra del torrente Aposcipo (da apo-skepos, luogo celato, non protetto) da alcuni pastori che combatterono contro gli arabi, dalla cui influenza trarrebbero chiara origine i cognomi ancora oggi maggiormente diffusi nel territorio, anche se più verosimilmente dagli abitanti della costa Ionica, che dal territorio di Capo Bruzzano si spinsero sui monti a causa delle temute e sanguinose incursioni saracene, per poi divenire Casale di Bruzzano, e successivamente Casalnuovo di Africo e ancora Salvatore. Dato per inesistente sin dalla metà del ‘500, risulta comunque dalle cronache essere stato uno tra i borghi più danneggiati dal terremoto del 1783, abitato com’era da settecento persone circa che professavano ancora il rito greco-bizantino, per poi essere abbandonato definitivamente in tempi più recenti, a seguito dei gravi danni provocati dalle alluvioni del 1951 e 1953, decretandone l’abbandono definitivo.
Un’escursione in Mountain Bike a Casalnuovo non è un solo un percorso tra le nostre montagne, ma un’immersione figurativa nella memoria storica della Locride, consentendoci di ripercorrere i luoghi identitari di un popolo dalle origini antiche.
A prima visita, varcato il cancello rudimentale che ci apre figurativamente le porte del borgo, lo scenario che si apre ai nostri occhi è irreale e romantico allo stesso tempo, non possiamo fare a meno di chiederci come si sia potuto vivere per millenni in un luogo così difficilmente raggiungibile, praticamente isolato dal resto del mondo, percorriamo solo poche decine di metri e ci troviamo in quello che è stato il cuore nevralgico del paese, uno slargo sterrato sovrastato dall’imponente Chiesa del Santissimo Salvatore, la cui scalinata, ancora in buono stato, ci consente di accedere al sagrato e quindi alla navata centrale, priva ormai della copertura, offrendoci una visione tanto suggestiva quanto inquietante.
Nei pressi di quella che costituiva la piazza del paese, alcune logge ristrutturate, usate presumibilmente dai pastori che in questo luogo mantengono ancora visceralmente radicati ovili e stalle per non staccarsi definitivamente dalle loro origini testimoniano che, nonostante le avversità, qualcuno ancora abita questo luogo, cercando di mantenerlo comunque in vita. La strada principale, o almeno ciò che ne resta, è recintata in gran parte da una porcilaia, che pregiudica un agevole passaggio e ci costringe, bici in spalla, a scavalcare ruderi e manufatti di antiche abitazioni, ridotte ormai a macerie e inghiottite dalla folta vegetazione.
La magia del luogo è assolutamente coinvolgente ed emozionante. Ripresa la sterrata raggiungiamo in pochi minuti il cimitero posto a valle del paese. Spettrale e desolato come la più iconica delle sceneggiature cinematografiche, una breve sosta e proseguiamo fino alla fine della discesa, pietrosa e sconnessa, da approcciare con molta cautela, diminuendo la pressione delle gomme per avere maggiore aderenza; giunti nei pressi del Ponte Tibetano, una moderna struttura in metallo e tiranti d’acciaio sul greto dell’Aposcipo, dal valore simbolico assoluto, inaugurato solo qualche tempo prima del nostro passaggio, che funge da collegamento tra Africo e Casalnuovo, riappropriandosi in parte di quel legame che il destino e la storia hanno voluto cancellare, lo attraversiamo in equilibrio precario, con le bici in spalla, arricchendo ulteriormente di particolari suggestivi ed epici la nostra escursione; visitato fugacemente ciò che resta di un vecchio frantoio adiacente, intravediamo il cartello toponomastico che indica la direzione per Mulino di Mezzo.

Da ora in poi il percorso, fino in cima alle prime case fatiscenti di Africo, si dipanerà in una faticosissima risalita a piedi, per nulla agevole, gravata peraltro dal peso delle bici sulle spalle, attraverso uno stretto sentiero, ripido e scosceso, che aumenta la percezione dello sforzo fisico sostenuto, ampiamente ripagato dallo stupore che ci pervade, addentrandoci tra i primi resti che si affacciano sulle strette viuzze del borgo fantasma; in religioso silenzio ci facciamo largo tra i vicoli in un labirinto di ruderi completamente invasi dall’edera, dai rovi e da alberi di fico, fino a raggiungere il sagrato della Chiesa di San Salvatore, di matrice bizantina, dalle semplici forme architettoniche, con un’unica navata, l’abside e il campanile sul fronte principale: una struttura, verrebbe da dire, abbandonata da Dio e dagli uomini, segnata dal tempo e dalle intemperie. Un piccolo cancelletto rudimentale all’ingresso, sorretto da un piccolo scifo per impedire agli animali di poter accedere liberamente, ci permette di entrare all’interno, pervasi dalla stessa sensazione provata non più tardi di un’ora prima, ammirando increduli un luogo che per centinaia di anni ha visto raccogliersi in preghiera le perdute genti di questo luogo magico e sperduto; una pieve che, ancorché distrutta dall’alluvione del 1951, risulta dalle cronache essere stata restaurata, mantenendo ancora la facciata originale, mentre l’interno risulta essere completamente fatiscente e spettrale, infestato da erbacce, il tetto pericolante e semidistrutto, e le lastre di marmo dell’altare e delle pareti distaccate e ridotte a cumuli di macerie.
Si prosegue lungo la strada tra i vecchi ruderi invasi dai rovi, su cui si possono ammirare vecchi portali in granito; la prima struttura che incontriamo era adibita a Casa Comunale, subito dopo la Caserma dei Carabinieri, poi una grande abitazione signorile, quindi l’Asilo, eil Genio Civile; la strada principale congiunge la chiesa e la scuola elementare fortemente voluta da Umberto Zanotti Bianco; un patriota, ambientalista e politico piemontese che, confinato in questo territorio dal regime fascista, nel suo libro Tra la perduta gente raccontò di come si vivesse in questo paese sperduto e dimenticato, pervaso da valori sani di fratellanza, di comunione, di ruralità, ma anche dall’arretratezza e dall’abbandono che dipendeva dall’inclinazione montanara degli abitanti, dalla posizione remota e inaccessibile, ma soprattutto dalla negligenza dello Stato; un uomo del nord Italia che si batté strenuamente, da convinto meridionalista per vedere riconosciuti agli abitanti dimenticati di queste terre, diritti e servizi negati dalla storia e dagli uomini, in un territorio economicamente povero ma abitato da una popolazione nobile e ricca di cultura e di storia.
Arrivati nei pressi della scuola, imponente e austera come una fortezza,  lasciamo le MtB ai piedi della scalinata per raggiungere il piccolo cortile antistante l’ingresso, che circonda l’edificio e dal quale si gode un meraviglioso panorama sulla valle e sul versante opposto della montagna, e sulla cui facciata è ancora visibile la scritta Scuole Elementari, porte e finestre non esistono più al pari del tetto crollato, un luogo di riscatto e di speranza, nel quale le nuove generazioni avrebbero dovuto gettare le basi per il loro futuro, un tentativo non riuscito.
Riprendiamo la strada principale che, dopo alcune decine di metri ,attraversa un ponte su un canalone, rinforzato con delle briglie di pietra per contenere la furia dell’acqua, conducendoci alla porte del borgo dove sorge una abitazione ristrutturata e ben tenuta, scorgiamo chiaramente la conduttura dell’acqua che, al pari dell’opera del ponte tibetano, risulta essere una struttura completata solo recentemente, denominata Ostello della Legalità, un segno tangibile di riscatto e di rinascita, destinato all’ospitalità degli escursionisti che si spingono fin qui.
Dopo l’ultima curva a destra del borgo, inizia la vecchia mulattiera in salita, incastonata nella roccia arenaria, antica e unica via d’accesso al paese percorribile, che affrontiamo di buona lena sotto un sole ormai alto e cocente, immersi nei profumi intensi emanati dalle piante di ginestra e in alcuni tratti nell’ombra delle secolari piante di querce che mitigano la fatica.
Alcuni terrazzamenti ci consentono di rifiatare e soffermare lo sguardo sulle ampie vallate sottostanti, scorgendo chiaramente la Fiumara La Verde, e distinguendo le cime montane di Monte Scapparrone, Monte Jofri, Monte Perre, Puntone Galera, Ferraina e Montalto. Passando per il vecchio cimitero comunale, lungo l’ascesa abbiamo anche il tempo di scambiare alcune sensazioni e indicazioni con un gruppo di escursionisti, che in senso inverso di marcia ci preannunciano la distanza ormai minima che ci separa dal Villaggio Carrà, non prima però di aver superato il bivio Campusa da dove origina la sterrata che a destra prosegue per la Chiesa di San Leo; una chiesetta, dalle modeste dimensioni e di semplice fattura, costruita alla fine del XVIII secolo, probabilmente sui ruderi di una struttura precedente, che custodisce all’interno la statua marmorea di San Leo e parte delle reliquie, un luogo spirituale e di culto, meta di pellegrinaggio, conteso a tutt’oggi tra la gente di Bova e di Africo.
Arriviamo alla Porta del Parco, punto di riferimento per tanti escursionisti ed appassionati della montagna, in cui ci possiamo rifornire d’acqua prima di raggiungere il Villaggio Carrà, un gruppo di anonime e cupe case popolari costruite dopo l’alluvione del 1951 per coloro i quali manifestarono l’intenzione di rimanere, con le loro mandrie, in questo straordinario territorio; la strada adesso si presenta più ampia e battuta, ci porta ad attraversare un altopiano, con alcuni saliscendi impegnativi, fin quasi nei pressi del Casello di Marupapa, da dove riprendere l’asfalto per scendere verso Roghudi.
La storia di Casalnuovo ed Africo è come quella di tanti piccoli centri del nostro entroterra, spazzati via da eventi naturali e cancellati dalla memoria, che hanno ispirato pagine tormentate e bellissime della letteratura calabrese, narrando la vita difficile di uomini e donne, sogni infranti, speranze deluse, grida inascoltate, trasposte da rappresentazioni cinematografiche che evocano la disperata solitudine di questi territori; un tuffo nella storia di borghi dimenticati il cui destino era segnato forse ancora prima che le calamità naturali costringessero gli abitanti ad abbandonarli per sempre, un territorio che rievoca leggende e racconti, definito non a caso la terra degli ultimi.

Redazione

Redazione è il nome sotto il quale voi lettori avrete la possibilità di trovare quotidianamente aggiornamenti provenienti dagli Uffici Stampa delle Forze dell’Ordine, degli Enti Amministrativi locali e sovraordinati, delle associazioni operanti sul territorio e persino dei professionisti che sceglieranno le pagine del nostro quotidiano online per aiutarvi ad avere maggiore familiarità con gli aspetti più complessi della nostra realtà sociale. Un’interfaccia che vi aiuterà a rimanere costantemente aggiornati su ciò che vi circonda e vi darà gli strumenti per interpretare al meglio il nostro tempo così complesso.

Related Articles

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button