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Costume e SocietàLetteratura

Le Fratrie

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri LI - Prendiamo in esame un altro tipo di divisione interna alle tribù magnogreche: le fratrie, suddivisione popolare radicata all’interno dei diversi nuclei societari dell’antica Greca che, a Locri, vennero riprese con caratteristiche del tutto singolari.

Di Giuseppe Pellegrino

Fràtria – sostantivo femminile (da ϕρατρία [fratría], derivato di ϕρατήρ [fratér], fratello; latino Fratrĭa): presso gli antichi Greci, una specie di confraternita i cui componenti pensavano di derivare da un comune capostipite e si sentivano perciò legati da vincoli “fraterni”. Le informazioni sono più precise per l’Attica. Mentre prima delle riforme di Clistene (508 a.C.), l’appartenenza alla fratria era il fondamento del diritto di cittadinanza, dopo l’istituzione del demo la fratria sopravvisse soprattutto come garante della nascita legittima dell’individuo. La fratria aveva un proprio ordinamento, un capo rinnovato annualmente (fratriarco o fratarco) e alcune divinità protettrici, tra le quali Zeus e Atena. Nell’Attica la festa principale delle fratrie era quella delle Apaturie. Ogni individuo doveva essere presentato alla fratria appena nato, forse a 5 anni, e a circa 17 anni, quando avveniva la solenne iscrizione alla fratria.
All’interno di una società il numero delle fratrie è variabile, ma nel caso più frequente se ne hanno due. Le fratrie possono avere carattere patrilineare o matrilineare, come a Locri, sono per lo più totemiche e sempre esogamiche (ovvero non venivano costituite da persone con legami parentali tra loro). Esse determinano una dicotomia nella società, con mansioni reciproche di una fratria nei confronti dell’altra, e anche una dicotomia nella parentela, in quanto un individuo è imparentato con persone appartenenti sia all’una sia all’altra fratria. La bipartizione della società si riflette spesso nei nomi delle due fratrie contrapposte (Alto-Basso, Estate-Inverno e così via).
Delle Fratrie, presso i dorici, non vi è traccia, tanto che Friedrich Engels ne esclude la presenza. La ragione stava nel fatto che la stessa gerarchia, presso i dorici, era una causa di esclusione di tale Istituto. L’unico accenno a detto Istituto appartiene in Demètrio di Scepsi. Filologo greco (prima metà del II secolo a.C.), contemporaneo di Aristarco ma seguace di Cratete e della scuola di Pergamo, autore di una dottissima opera in 30 libri (Τρωικὸς διάκοσμος [Troicòs diàcosmos], Ordinamento troiano) prendendo a base il Catalogo delle navi omerico, Demètrio dava un amplissimo corredo di notizie storiche, geografiche, mitologiche e letterarie sulla Troade.
E tuttavia, questo non vale per Locri, perché le tabelle del Tempio di Zeus fanno chiaro e inequivocabile riferimento al Fratharkos. Alfonso De Franciscis ritiene di concludere positivamente sulla base del fatto che le Fratrie vi erano in tutta la Grecia. Ma Locri era stata una realtà a parte. E gli stessi dorici, tutti omoioi, certo disdegnavano una forma di limitazione della loro autonomia.
Neppure il richiamo a Omero aiuta in tal senso. Il Poeta usava il termine ghénos (in greco: γένος, plurale γένη [ghéne] traducibile con genere, parentela, anche stirpe) per indicare nell’Antica Grecia piccoli gruppi parentali che identificavano se stessi come un’unità, contraddistinta da un unico nome con lo stesso antenato. E tuttavia la sua espressione era limitata a una sola famiglia e ai suoi componenti (il capofamiglia – detto basileus, sua moglie, i figli maschi, le loro mogli e la loro prole, assieme a qualche parente stretto). Nessun richiamo a altri ceppi parentali, necessari per classificare l’insieme come Fratria. A questo punto non resta che individuare la loro genesi, nell’origine mista della stirpe dorica, non composta così solo da Dorici, ma anche da Joni e Eoli.
Ma a Locri, non vi era un Antenato da ricordare, essendo una Comunità in formazione. Certo, il fatto che il patronimico fosse dato ai figli dalle Donne non era di impedimento e, anzi, l’esistenza dell’Istituto si spiega in funzione della madrilinearità. Per gli uomini, di impedimento era l’origine servile dei Locresi e la certezza che da Locri Opuntia fino a Kramatia il viaggio era stato una fuga. E la stessa mancanza di Penati da portare dietro, deponeva per una società svincolata da precedenti. Il mito dell’Ecista Evanto è solo un mito e basta, costruito solo in data postuma.
Se dunque non si può negare il chiaro riferimento delle tabelle al Fratarkos (o fatarkos) occorre spiegare la ragione e questa non può che consistere nell’origine micenea delle leggi locresi, in un retaggio antico dei tre popoli che componevano Locri (Locri Opuntia – Siracusani – Partheni) e sulla devozione per il Basileus che hanno dato origine alle stirpi. Basti ricordare la venerazione che i Locresi avevano per Aiace Oileo, tanto che alla battaglia della Sagra si sostiene sia stato proprio lui a condurre alla vittoria contro i Krothoniati. Come pure la presenza del simbolo del leone, riportato anche nel mobilio, dove i piedi venivano cesellati a forma di zampa di leone.
Dunque, se la conclusione dell’esistenza delle Fratrie a Locri è obbligatoria, occorre sempre menzionare la particolarità dell’istituto a Locri Epizefiri. Particolarità che Felice Costabile non trascura di sottolineare soprattutto sotto l’aspetto istituzionale. Lo storico parte dalla osservazione fatta da Domenico Musti che i soggetti che ricoprono la carica di Fratarchi non ricoprono mai carica in altre magistrature, così come avveniva anche gli epistatai, gli episkeuasteres e i logisteres. I Fratarchi a Locri rappresentavano la pòlis, tanto che essi riscuotevano dal santuario i prestiti che esso concedeva, per cui sempre Musti conclude che essi sono dei membri della Bolà. La conclusione ha il difetto di non avere supporto storico, ma il pregio di spiegare le funzioni di una simile carica. Sommessamente l’autore richiama che nell’ordinamento spartano non è dato sapere come avvenisse la riscossione delle tasse, tanto che si ipotizza che vi erano forse i cosiddetti Decaprioti, in numero di dieci(deka e pròtos), nel senso che erano le prime dieci persone scelte presso una comunità. Si trattava di una sorta di Pubblico Ufficiale per la riscossione. Corrisponde pure il fatto che a Sparta le Tribù, per come divise da Licurgo, erano tre, per cui occorre ipotizzare trenta Agenti delle Tasse.
Anche a Locri le tribù erano tre, ma il Fratharkos uno, si suppone a rotazione tra le tre tribù e forse anche all’interno tra i singoli demi. In tutto dodici che si susseguivano per l’intero anno nel tempio di Zeus con la carica di ricevere i prestiti e anche, si presuppone, di utilizzarli per il fine che il decreto inoppugnabile del magistrato eponimo notificava al Tempio per il prestito. Ma, soprattutto, quello di ritirare le tasse. Prova ne è la Tabella 23 del Tempio di Zeus dove, tra l’altro, si afferma nel conteggio dare-avere tra polis e Tempio che occorreva tenere in conto di:

1983 talenti, 4 stateri, 8 litre, 1 oncia; e dai tributi riscossi da tesorieri e fratarchi: 17 talenti, 1 statere: 333 medimmi e mezzo di grano-prezzo al medimmo: 2 stateri – per un prodotto (totale) di 111 talenti; 1 statere.

Di più la tavoletta usa il seguente termine ταμιαν και φαταρκων [tamian kai fatarkon]che non significa solo tesoriere e fatarco, ma pure tesoriere e anche fatarco; oppure tesoriere-fatarco.Aiuta in tal senso anche la presenza dei hieromnamones. Essi erano tre, ma solo uno rivestiva la carica di arconte.È presumibile che, in quanto arconte, egli aveva un duplice compito: quello di vegliare sui tempi della restituzione del prestito; e anche quello di sorvegliare che il prestito andasse nella direzione indicata dal decreto e non speso altrimenti.Se tale presupposto è vero, il compito del Fratarkos era quello di eseguire l’opera per la quale emesso il decreto, ma anche di riscuotere le tasse (tributi riscossi).

Foto: storicang.it

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