ADVST
Costume e Società

Ciò che rimase di Africo dopo la tempesta…

Di Francesco Maviglia

Francesco Gagliardi, quasi ventottenne, all’epoca dell’alluvione di Africo, così ha lasciato scritto: “L’ acqua si portava dietro le bestie, gli alberi e quello che trovava davanti”.
La ricerca delle vittime della frana è stato il primo pensiero dopo la tempesta. Due figli erano andati a soccorrere i propri genitori bloccati in casa. Avevano cercato di tirarli fuori dalla finestra, quando sopraggiunse un’altra ondata di fango e glieli strappò di mano.
I due coniugi li trovarono riversi a terra, coperti da pochi centimetri di fango, l’acqua che li aveva affogati era poi defluita.
Stessa fine ha fatto una ragazza che aveva voluto rispettare l’ordine impartito dai genitori di non uscire da casa per nessun motivo: raccomandazione che le facevano ogni volta che si recavano nella contrada Castaneto. Dormivano nel loro pagliaio per essere pronti al mattino per le consuete attività lavorative.
Prima di incominciare l’esodo verso la scuola elementare di Bova, gli alluvionati fecero i funerali dei tre sventurati: la coppia assieme alla giovane ubbidiente.
La maggior parte delle persone ha aspettato nelle case rimaste illese fino al giorno successivo. Quando il tempo si era ristabilito del tutto, si riunirono in contrada Carruso.
Invece tanti si trovavano nelle contrade a pascolare, seminare o per raccogliere olive, noci e castagne.
Francesco Talia così riporta il racconto di suo padre che si trovava, con alcuni famigliari, nel pagliaio di contrada Arcà:

Un pezzo di montagna, partito dal margine inferiore di contrada Ficara, s’era abbattuto sul vallone dei Giunchi. Fu allora che mi pervase la paura. Appena fuori m’accorsi che a una distanza di non più di 10 metri dal pagliaio c’era una lesione nel terreno, stava quindi per aprirsi una frana. Capii che eravamo scampati da un pericolo tragico.
Scendendo da monte a valle il vallone dei Giunchi, all’altezza di contrada Cancello, incastrata su un ramo, scorsi una giacca. Quella frana che io avevo scorto partire la sera precedente, stando sulla porta del pagliaio, sì proprio quella, aveva travolto… Dopo due giorni furono recuperati solo i resti del martoriato corpo della signora Modafferi, gli altri sono scomparsi per sempre sotto le centinaia di metri cubi di terreno.

La strada in terra battuta Bova-Casalnuovo, che avevano inaugurato poco più di due mesi prima, il 12 agosto 1951, era interrotta a Furchi a causa di una frana.
Quando fu inaugurata la strada, il Prefetto Aurelio Gaipa fece posare una targa in cemento nella piazza Umberto l di Casalnuovo: era orgoglio e rivalsa dei casalinuovesi nei confronti dei fricazzani. Il tracciato africoto era ancora fermo a Campusa: avevano iniziato a costruirlo partendo dal paese.
Ricorda Francesco Scriva in merito al primo autobus giunto nella piazza del paese:

Bambini, adulti, vecchi tutti volevano toccare con mano quel misterioso, enorme, mastodontico miracolo della tecnica, quel mostro di lamiera che prometteva, con la riduzione delle distanze, ampie opportunità sociali e nuovi orizzonti economici.

Secondo il censimento effettuato nel novembre 1951 gli abitanti di Africo erano 2.542, circa 600 famiglie sfollate.
Le vittime furono dieci: sei a Casalnuovo e quattro nel territorio di Africo, dovendo aggiungere il friulano disperso nel torrente.
La medesima perturbazione colpì l’intera Calabria e Sicilia, inveì pure dal 14 al 19 ottobre 1951, su un terzo della Sardegna distruggendo i paesi di Gairo e Osini in provincia di Nuoro.
Non erano trascorsi nemmeno sei anni dalla guerra. In Italia, come nel resto d’Europa, vi era una forte crisi economica e al tempo stesso si stava ancora facendo fronte ai danni post bellici, quando arrivarono le alluvioni ad aggiungere altri problemi al governo di Alcide De Gasperi.
In Calabria l’alluvione causò 72 morti, in Sicilia 12, in Sardegna perirono 6 persone. A novembre dello stesso anno ci fu l’alluvione del Polesine, con 101 morti.
La gestione degli alluvionati di Africo da parte della Prefettura di Reggio Calabria, volendo usare un eufemismo, fu di comodo.
Il Municipio di Africo era allora retto da commissari prefettizi. Si erano dimessi anzitempo i consiglieri eletti nel 1947: c’erano state le prime elezioni amministrative e la lista di Comunisti e Democristiani aveva largamente sconfitto quella dell’Uomo Qualunque.
La mattina del 19 ottobre era partito un telegramma diretto alla Prefettura di Reggio Calabria con il quale veniva comunicata la catastrofe.
Probabilmente il giorno precedente, la caserma dei carabinieri del paese aveva informato dell’accaduto il comando superiore.
Non furono mandate squadre di soccorso con viveri e tende nel paese franato, non aiuti alle persone anziane e ai neonati.
Sabato 20 ottobre arrivò un ordine perentorio dal Prefetto: era quello di andare nel paese di Bova e occupare le scuole elementari, affrontando, secondo le condizioni fisiche di ognuno, diverse ore di sentiero a piedi fino alla contrada Campi, dove man mano che gli alluvionati arrivavano, venivano aiutati con mezzi bovesi, raggiungendo così l’edificio scolastico.
La diaspora durò almeno tre giorni.

Redazione

Redazione è il nome sotto il quale voi lettori avrete la possibilità di trovare quotidianamente aggiornamenti provenienti dagli Uffici Stampa delle Forze dell’Ordine, degli Enti Amministrativi locali e sovraordinati, delle associazioni operanti sul territorio e persino dei professionisti che sceglieranno le pagine del nostro quotidiano online per aiutarvi ad avere maggiore familiarità con gli aspetti più complessi della nostra realtà sociale. Un’interfaccia che vi aiuterà a rimanere costantemente aggiornati su ciò che vi circonda e vi darà gli strumenti per interpretare al meglio il nostro tempo così complesso.

Related Articles

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button