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Costume e SocietàLetteratura

Il tarlo dell’avidità umana

Stasi XXXIV - Conclusa la seconda parte dell’affare di Berlino, Francesco Rossi prende da parte Barbara per assicurarsi che non sia stata esclusa dall’accordo e, parlando con la giovane, si rende conto di dover fare qualcosa per darle una mano.

Di Francesco Cesare Strangio

Klöden volle sapere se per i primi di dicembre Francesco Rossi avrebbe mandato le navi con la quantità di agrumi che avevano concordato.
Rossi confermò che avrebbe rispettato gli impegni alla lettera e che gli stessi tedeschi lo dovevano prendere come esempio di puntualità.
A quelle parole tutti lasciarono partire una contenuta risata.
Klöden disse: «Tranquillo… per metà novembre avrà ricevuto la lettera di credito irrevocabile, da riscuotere come da contratto.»
Una volta finito di pranzare, Barbara e Rossi presero commiato per andare alla stazione, poiché Rossi doveva fare ritorno in Italia.
Durante il viaggio di ritorno l’uomo le fece cenno di fermare l’auto perché sentiva la necessità di fare quattro passi nel parco che si trovava nella periferia della città.
Uscirono e s’incamminarono, il letto di foglie cadute dagli alberi produceva un piacevole scricchiolio sotto la pressione delle loro scarpe.
Rossi disse alla donna: «Ho voluto fare questa passeggiata lontana da orecchie indiscrete, per sapere se in tutta questa storia tu ne ricavi qualcosa.»
La donna gli ricordò che le avevano promesso una percentuale.
L’uomo le fece notare che erano stati aperti solo due conti e non tre.
Barbara pensò un po’ e poi rispose: «Senz’altro me li daranno alla fine.»
Non convinto, Rossi rispose: «O mai!»
«Come, mai?» domandò la donna.
Rossi, guardandola con decisione negli occhi, riprese a parlare: «Io sono un uomo che ha una certa esperienza… ti posso garantire che davanti agli interessi l’uomo, il più delle volte, è divorato dall’avidità.»
Barbara lo guardava perplessa… il tarlo del dubbio incominciò a farsi un varco nella sua mente, tanto che esclamò: «Mi rifiuto di credere che Friedrich e Klöden vengano meno a quanto promesso.»
Seguì un breve silenzio, poi Rossi riprese a parlare: «Fai finta di niente, non appena incasso i soldi della seconda fornitura, ci penserò io a depositarti in Svizzera il cinque per cento dell’importo. Non mi va di pensare che mentre noi ingrassiamo tu stia a digiuno.»
Quelle parole fecero scivolare Barbara in un mutismo riflessivo.
«Come devo comportarmi?» domandò Barbara.
«Non fare niente! – esclamò Rossi. – Devi solo stare a guardare quello che faranno i due alla fine della fiera. Come ben sai, ogni cosa ha un prezzo. Come contropartita, mi devi promettere che farai rientrare tua madre a Bergamo.»
La donna rimase esterrefatta, non si aspettava mai una tale generosità da parte del connazionale di sua madre.
Rossi, con decisione, le richiese di promettergli che avrebbe fatto rientrare sua madre in Italia.
La donna gli promise solennemente che, appena sposata, avrebbe fatto l’impossibile per fare rientrare sua madre in Italia.
«Mi raccomando – continuò Rossi, – non proferire parola alcuna nemmeno con tua madre di quanto sto per fare. Cerca di capire: nemmeno con la madre, che è la cosa più sacra che si ha al mondo.»
La donna si commosse e scoppiò a piangere a dirotto.
Rossi la supplicò di smettere perché si stava per commuovere.
La donna si asciugò le lacrime e ripresero la via della stazione ferroviaria.
Era così grata a quell’uomo che, quando Rossi salì in treno, lei si commosse mettendosi nuovamente a piangere.
Il treno si allontanò rapidamente, fermandosi solo alla frontiera per il controllo da parte delle autorità doganali. Poi riprese a muoversi, nella direzione del rientro in patria.
Durante il viaggio rifletteva sull’avidità umana; non si capacitava del perché l’uomo, a un tratto, assuma quelle forme estreme di sentimento.
Durante il corso della sua vita, aveva incontrato persone di una tale avidità che sconfinavano nella cafonaggine. La cosa tragica era che sentivano di essere corretti, giusti e al di sopra di qualunque forma di avidità, non si rendevano conto che quanto dicevano li rendeva soltanto ridicoli agli occhi di chi li sentiva. Forse, nella loro pochezza intellettiva, nel recitare quella miserabile commedia si auto convincevano di quanto dicevano.
Erano passati poco più di due giorni da quando era ritornato dalla DDR. Finalmente era arrivata l’ora di partire per Zagabria.
Il treno partì da Milano per fare tappa a Trieste per poi prendere la coincidenza per Ljubljana. Era un tardo pomeriggio di venerdì quando, dopo circa un’ora di attesa, partì per Zagabria.
Arrivato alla stazione, Rossi vide Stefica venire verso di lui a passo svelto. Una volta raggiunto lo abbracciò e l’olfatto di Rossi fu dominato dal profumo della pelle di Stefica, inebriandolo.
La donna, con voce vellutata, esclamò: «Sono felice!»
La donna si aggrappò al suo braccio e iniziarono a camminare in direzione di casa. Di tanto in tanto, lo guardava come meravigliata: pensava di non rivederlo più.
Rossi, ripresosi dall’effetto del piacevole incontro, le domandò: «Ti hanno rilasciato il passaporto?»
La donna rispose: «Sì, me l’hanno rilasciato il giorno dopo con il visto d’espatrio dalla Jugoslavia e con quello d’ingresso in Italia.»
Stevo aveva mantenuto la parola data.
I parenti di Stefica, quando li videro arrivare, si felicitarono con loro. Erano tutti felici, per la gioia non stavano nella pelle.

Foto: crescita-personale.org

Redazione

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