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Costume e Società

Le alterne sorti della gente di Africo

Di Francesco Maviglia

Divisi nei vari centri di accoglienza, gli africoti rimanevano, come potevano, in contatto tramite le visite che si scambiavano tra parenti.
Molti, per un certo periodo di tempo, continuarono ad andare in paese e nelle contrade facendosi ore di cammino per accudire il bestiame scampato al diluvio, oppure per prendersi quello che potevano dalle loro case, a raccogliere noci, castagne e frutti vari dai loro alberi.
Quelli che da Reggio Calabria andavano a piedi ad Africo seguivano il percorso Cardeto, Mosorrofa, Bagaladi, Roccaforte del Greco, Ghorio, Campi di Lia.
Il grosso problema rimaneva il trasporto della merce: l’unico sistema era portarla in spalla, dentro la bertola per gli uomini, sopra la testa quello che riuscivano, utilizzando spesso un cesto di vimini come contenitore, le donne.
C’era anche chi andava ad Africo a fare pane e biscotti nei forni di alcune case che erano rimaste intatte, utilizzavano la farina che avevano lasciato nelle loro abitazioni dentro casse di legno, come era consuetudine, anche se non mancarono episodi di sciacallaggio.
Intanto chi era d’età scolare, con tutti i disagi del caso, andava nelle scuole dei luoghi più vicini ai campi profughi, dove vi furono anche matrimoni, nascite e morti.
I giovani incominciarono ad apprezzare i vantaggi che alcuni di questi siti offrivano, come andare al cinema o giocare al pallone, ma pure cercasi un’attività.
Qualcuno iniziò a frequentare da apprendista: cantieri per imparare il mestiere di muratore, qualche officina, divenendo poi meccanico, o artigiani del luogo. Ad esempio, c’è chi ha potuto poi fregiarsi di aver lavorato nel laboratorio dello stilista Santo Versace, a Reggio Calabria. Oppure chi era già falegname perfezionò il mestiere imparando le nuove tecniche presso botteghe più moderne. Tutte attività di cui parecchi si avvalsero in seguito, una volta emigrati al nord Italia e all’estero.
Nel 1952 il regista Pietro Germi volle diverse decine di sfollati africoti come comparsa nel film Il brigante di Tacca del Lupo, che ha come attore principale Amedeo Nazzari. Per la realizzazione ha collaborato anche il regista Federico Fellini. Un pullman andava a prendere i selezionati dai campi profughi per portarli dove il film veniva girato: Montebello, Pentedattilo, Motta San Giovanni e Mammola erano le mete.
Gli ultimi mesi del 1952 sono stati quelli decisivi per la scelta del terreno dove doveva sorgere il nuovo Africo.
Francesco Gagliardi ha lasciato scritto: 

Erano momenti di smarrimento, incertezze e confusione. Per la scelta del nuovo territorio si fecero delle petizioni: è risultato che un buon 70% di capifamiglia volle che la ricostruzione avvenisse nella contrada La Quercia, nel comune di Bianco, il restante 30% circa voleva che la ricostruzione del paese fosse nello stesso comune di Africo in contrada Carrà.

A tale proposito, Vito Teti scrive:

Mentre continua a infuriare la polemica che sarebbe durata per anni, la Croce Rossa svedese invia delle baracche prefabbricate che vengono sistemate nella località La Quercia e sono abitate già nel 1953. Si crea una sorta di fatto compiuto, anche se niente è ancora definitivo. Continuano le indecisioni. La scelta non è facile.

Afferma invece Francesco Gagliardi:

Tra il 1952 e i primi mesi del 1953 vennero sistemate le 80 baracche prefabbricate (ogni baracca era completamente arredata da mobilio e tutti gli accessori necessari, dotata di servizi igienici, aveva anche una robusta cucina a legna n.d.r.) che la Svezia, generosamente, ci ha donato. Contemporaneamente il Genio Civile ha fatto costruire dalla ditta Marino 88 alloggi popolari, (minialloggi). Tra marzo e giugno 1953 questi 168 alloggi vennero assegnate e occupati da altrettante famiglie, trasferite dai centri profughi di Reggio Calabria, Palmi e Bova Marina… Non c’erano strade né marciapiedi… gli infortuni erano frequenti.
Un camion, nello scaricare il suo carico di sabbia, inavvertitamente, ha sotterrato una bambina, sorella della ragazza che aveva perso la vita nella sua casa sotterrata dalla frana, durante l’alluvione di due anni prima.
Molte famiglie non volevano trasferirsi nel costruendo nuovo centro prima che fosse completato, ma sono state obbligate, bisognava popolare subito, prima che la gente si pentisse della scelta.
Mentre venivano costruite le prime case popolari in località La Quercia nel comune di Bianco, nella contrada Carruso furono edificat altri venti alloggi popolari per coloro che volevano tornare ad Africo, in attesa della costruzione definitiva di case con il contributo statale vicino al Paese Vecchio.
In realtà le case di Contrada Carruso non furono mai abitate dalle famiglie per le quali erano state costruite. Gli edifici furono utilizzati da chi aveva potuto e voluto sfruttare il territorio abbandonato dedicandosi alla pastorizia.
In Contrada Carruso rimasero alcune famiglie per parecchi anni, venne anche garantito un presidio scolastico con una pluriclasse di scuola elementare.

Foto: lamiacalabriabellissima.it

Redazione

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