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Attualità

Una nuova alleanza (scientifica)

Di Mario Staglianò

E così, dopo il successo canoro dei Måneskin all’Eurovision Song Contest o le vittorie sportive nelle varie manifestazioni (Europei di calcio, Olimpiadi e manifestazioni di varie specialità), questo annus mirabilis per l’Italia si è arricchito di una nuova gratificazione: il premio Nobel per la Fisica assegnato al fisico romano Giorgio Parisi.
Quest’anno è un Nobel, potremmo dire, caratterizzato da un fil rouge, ovvero dalla complessità. Lo studio, il saper chiarire alcuni aspetti della complessità, è infatti al centro della premiazione di Syukuro Manabe (Giappone) e Klaus Hasselmann (Germania) – che si divideranno metà del Nobel – e di Giorgio Parisi, fisico teorico italiano della Sapienza che sarà, invece, titolare dell’altra metà di questo Nobel. Questa scelta guarda all’attualità e, anche, all’interpretazione dell’attualità per mezzo di strumenti scientifici come quelli sviluppati da Parisi, aventi un valore molto più generale. L’attualità a cui ci si riferisce è l’effetto serra, oramai difficilmente controllabile, causato in buona parte, circa la metà, dall’anidride carbonica prodotta da noi umani con le nostre attività industriali o con l’allevamento del bestiame.
Manabe e Hasselmann hanno lavorato, soprattutto, sul sistema climatico. In particolare Manabe ha studiato l’effetto dell’anidride carbonica facendo una ricerca verticale, esplorando in altezza, nei primi chilometri dell’atmosfera, l’effetto di questi gas. Hasselmann ha esteso il lavoro di Manabe applicandolo alla meteorologia. È un sistema in cui è difficile, per non dire impossibile, prevedere quello che succede, dato che sfugge alla fisica classica e, per investigarlo, c’è voluta una nuova fisica, la fisica della complessità, che Parisi ha sviluppato in molti campi.
Ma che cosa fanno veramente i fisici? Quelli teorici fanno un mestiere affascinante: descrivono il mondo cogliendone l’essenza e lo fanno così bene che con i loro metodi si possono fare spesso previsioni accurate o, altre volte, si può capire perché le previsioni siano parziali o impossibili. Sempre da quei metodi proviene la nostra capacità di costruire macchine prodigiose come quelle che hanno trainato la rivoluzione industriale con tutte le sue diramazioni e quelle che traineranno le prossime. Per fare tutto ciò i fisici utilizzano, nella tradizione galileiana, quello straordinario linguaggio quantitativo che è la matematica. Ovviamente la parte di mondo descrivibile con la fisica è molto limitata ma, provando e riprovando, si allarga gradualmente con il progredire della ricerca.
Quest’anno il Nobel è stato assegnato per la comprensione dei sistemi fisici complessi e, nel caso di Parisi, soprattutto per la sua teoria fisico-statistica che lega disordine e fluttuazioni. Per descriverla in modo colloquiale possiamo considerare un sistema composto da tante particelle e, per fissare le idee, le si immagini come un gruppo di persone. Se ogni loro interazione è cooperativa il sistema troverà presto un accordo condiviso e il consenso raggiunto sarà certo e soddisfacente per tutti. Se invece le interazioni sono disordinate, alcune cooperative e altre competitive, non si troverà un accordo che soddisfi tutti e i compromessi migliori saranno molto difficili da raggiungere. In questo secondo caso il consenso ottenuto sarà intrinsecamente fluttuante. Dalla natura di quelle fluttuazioni la teoria di Parisi è inoltre in grado di ottenere le principali proprietà di quei sistemi.
Quando Parisi si è avvicinato a questi temi alla fine degli anni Settanta, essi non erano di moda e non avevano rilevanti applicazioni pratiche. La loro comprensione, come diceva il fisico americano che li ha proposti alla comunità (Philip Warren Anderson, Nobel per la fisica nel 1977), meritava comunque uno studio approfondito per il semplice fatto che essi rappresentavano un autentico mistero scientifico. Il Nobel a Parisi è stato assegnato per un risultato teorico che ha anticipato molti degli esperimenti successivi, una teoria liberamente inventata, come amava dire Albert Einstein. Una di quelle che la penna deposita nel foglio bianco e che poi, nel tempo, diventa essenziale per capire tutta una serie di fenomeni reali. C’è stato tuttavia un lato sperimentale, se così lo si può chiamare, che ha accompagnato il suo lavoro ed è quello virtuale delle simulazioni al calcolatore.
Un sistema complesso non è riducibile alla causalità classica in cui, come voleva la logica scolastica, l’effetto è proporzionale alla causa. È quanto Parisi ha mostrato nell’ambito di quegli strani oggetti da lui scoperti che sono i vetri di spin; leghe composte in gran parte d’oro e con una piccola percentuale di ferro. Magnetizzandoli, gli atomi di ferro dovrebbero disporsi tutti secondo uno stesso orientamento, ma la presenza dell’oro fa assumere ai magnetini direzioni casuali, non uniformi. Non potendo esplorare tutte le possibili configurazioni di questa dinamica caotica, Parisi ha proposto modelli matematici e algoritmi che individuano gli stati energetici di energia minima e che consentono di calcolare le probabilità degli stati di energia superiore. Si tratta di modelli che hanno ampia applicazione, ad esempio per le configurazioni di ripiegamento di quei mattoni degli organismi che sono le proteine, o per le reti neurali che cercano di simulare il complesso funzionamento del cervello umano senza ricorrere alla metaforica computeristica. Quando ci troviamo di fronte a sistemi complessi la non linearità risulta irriducibile e la sensibilità alle condizioni iniziali (come il celebre battito d’ali della farfalla) rende in sostanza impossibile una predizione accurata. Possiamo però descrivere quale forma assumerà il disordine, verso quale attrattore strano si disporrà la dinamica caotica, quale isola d’ordine potrà apparire nel mare del disordine. Il che riguarda ambiti di realtà che vanno ben oltre il campo della fisica. Basti pensare a un ecosistema dalle risorse limitate dove convivono erba, conigli e volpi; la possibile evoluzione demografica può diventare caotica, anche se all’interno del disordine possono delinearsi isole di stabilità provvisoria (un equilibrio fra le componenti o l’estinzione di una specie).
Gli scienziati utilizzano le metodologie apprese in fisica nello studio dei sistemi complessi per affrontare il mondo del vivente, dalle strutture cellulari ai meccanismi dell’evoluzione, dalle dinamiche degli ecosistemi alle relazioni fra organismi e ambiente. Si tratta di una svolta rilevante che segna la fine del predominio delle scienze dure il cui modello eminente era l’andamento regolare del sistema solare. Ora il riferimento primario è passato alle scienze della Vita e della Terra in cui predominano sistemi complessi, nei quali avvengono processi frutto di interazioni e di scambi dagli esiti non del tutto prevedibili come testimoniano l’ecologia e la meteorologia. La fisica classica mirava a rintracciare le leggi fondamentali della natura, a determinare i costituenti base della materia e le forze che agiscono su di essi come fino all’altro ieri accadeva nello studio delle particelle sub-atomiche. Il nuovo paradigma muove dalla consapevolezza che conoscere le leggi che regolano i comportamenti dei componenti di un sistema non implica di per sé la comprensione del suo comportamento globale. Secondo l’esempio proposto da Parisi, dalle forze che agiscono fra le molecole dell’acqua non si deduce immediatamente che il ghiaccio sia più leggero dell’aria. La meccanica quantistica ci offre le leggi che regolano il comportamento di un elettrone, ma ancora non sa offrire una spiegazione di come il comportamento collettivo degli elettroni dia luogo al fenomeno della superconduttività. La difficoltà non sta nel formulare leggi fondamentali quanto nello scoprirne le conseguenze, sapendo che non si potranno semplicemente dedurre dalle leggi. Non si può che ricorrere a leggi fenomenologiche in cui, oltre alle osservazioni, occorre procedere per intuizione e indizi (la logica del detective o del cacciatore) formulando ipotesi di lavoro via via da raffinare in base al controllo delle predizioni. Conosciamo molto delle reazioni biochimiche di un batterio, in apparenza semplice, come l’Escherichia coli, delle interazioni fra le migliaia di proteine che lo compongono, ma questo non basta a comprendere il funzionamento di un organismo vivente. Abbiamo svelato molti dettagli funzionali dei miliardi di neuroni che si agitano nel cervello ma resta ancora difficile capire come i loro collegamenti disordinati attivino le modalità di pensiero. Il problema odierno della biologia è come passare dalla conoscenza del comportamento dei costituenti di base alla deduzione del comportamento globale del sistema, un problema appunto tipico di una branca della Fisica, cioè della meccanica statistica. La tradizione semplificatrice della fisica, che va in cerca di principi universali e necessari, si scontra con l’approccio del biologo che, anche con il supporto della biologia molecolare e dell’ingegneria genetica, deve tener conto della dimensione concreta e singolare dell’esistente. I sistemi biologici non sono l’esito di una programmazione a tavolino ma sono il frutto di un’evoluzione durata miliardi di anni, a cui hanno contribuito sia la selezione naturale che le mutazioni genetiche: gli organismi sono figli di circostanze passate al filtro dell’adattamento all’ambiente ed è questo a renderli unici.
Un’ultima considerazione riguardo l’assegnazione di un premio così prestigioso. Nello scegliere il vincitore o i vincitori ci si basa sostanzialmente sull’impatto del contributo scientifico delle teorie proposte; tuttavia, essendo la scienza anche potere e ricchezza per il Paese che la ospita, è naturale che intervengano fattori come quelli politici oltre a quelli personali. È naturale, ma non è ovvio.
Certamente alcuni Paesi al mondo ne sono ben consapevoli e nel momento in cui serve presentare un loro candidato a un prestigioso premio internazionale mettono a tacere le tensioni interne, scegliendo il loro campione, esprimendosi come fossero un sol uomo. Uno scienziato meritevole che lavora in quei Paesi dove la scienza ha la considerazione che merita avrà le sue oneste possibilità di ricevere i premi a cui può ambire. Ma il nostro Paese non ha sempre la consapevolezza di essere un Paese. È troppo impegnato a rincorrere le finanziarie come fossero palloni che rotolano per le scale, a mettere in scena e godersi talk show dove influencer, comparse e politici improvvisati discettano su tutto, di tutto e di più, specialmente nei campi di competenza altrui. E quindi succede che gli italiani che ricevono riconoscimenti lavorano più spesso all’estero, dopo essersi formati in Italia, coadiuvati da un’organizzazione che noi non riusciamo più a esprimere dopo averla inventata ai tempi dell’Impero romano.
Parisi si è sempre occupato e preoccupato della salute della scienza in Italia e delle sue drammatiche necessità, prima tra tutte la mancanza di investimenti. Non è un mistero né una sorpresa che i suoi appelli siano stati sistematicamente ignorati nonostante le promesse fatte dalla politica. Fa molto piacere quindi che il Premier Mario Draghi si esprima affermando (o costatando), in occasione della proclamazione del Nobel, che il finanziamento della scienza in Italia sia inferiore di gran lunga rispetto a quelli degli altri Paesi intorno a noi. Magari è la volta buona per dare una svolta cogliendo l’occasione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, tuttavia Parisi stesso ha accettato con molta cautela l’ottimismo del ministro dell’Università e della Ricerca la sera dei festeggiamenti nell’aula magna della Sapienza.
Cinque anni fa sintetizzava i suoi appelli in questo modo:

In un mondo dominato dall’economia della conoscenza, un Paese che non investe in ricerca, sviluppo e cultura non ha futuro.

Ora che quello è diventato l’appello di un Nobel chissà se basterà a convincere il governo che un futuro ci farebbe comodo.

Foto: asi.it

Redazione

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