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Costume e Società

Il padre nell’antica Itala

Di Frana

Le origini della cultura ionica vanno cercate nell’antica Grecia, ove la figura paterna ha spianato la strada a quello che sarà il pater familias romano, prima di conoscere la rivoluzione cristiana. I padri greci, pur ostentando distacco fisico e affettivo nei confronti dei figli, in realtà coltivavano sentimenti profondi e riconoscevano – forse per la prima volta nella storia – socialmente e legalmente il rapporto padre-figlio; questo, oggi è molto è cambiato, ragion per cui molti atteggiamenti che i greci avevano verso i propri figli in parte sono incomprensibili nonostante molti altri valori siano rimasti immutati. Il modello di padre valido per tutti i tempi è idealizzato nella vicenda toccante e tragica di Dedalo e Icaro: dall’amore di Dedalo per il figlio scaturisce la volontà di trasmettergli la sua esperienza e la sua conoscenza; ma gli insegnamenti paterni restano inascoltati e si traducono nella condanna di Icaro, ubriacato da una ingannevole sensazione di potenza e arroganza tipicamente giovanile. Anfitrione fu il padre putativo di Ercole; lo accolse in casa sua e lo amò come suo figlio Ificle, incarnando un desiderio di paternità che va oltre la mera genetica.
La legislazione greca concedeva al padre poteri oggi inconcepibili, fino al diritto di vita e di morte sul nascituro. I neonati indesiderati, spesso femmine, potevano essere abbandonati o venduti: la decisione spettava al padre; alla madre solo nel caso di parti clandestini, praticati di nascosto dal marito. Anche l’aborto e la soppressione di bambini più grandicelli a volte erano accettati, in caso di malattie o deformità o per evitare famiglie eccessivamente numerose. Aristofane ci informa che i bambini destinati a tale sorte venivano lasciati in una pentola. Spesso morivano o erano raccolti da persone senza scrupoli, che li avviavano alla schiavitù o alla prostituzione, più di rado venivano allevati da coppie di buon cuore: una forma arcaica di adozione. In alcune poleis i bambini destinati all’infanticidio venivano gettati giù dalle mura o da una torre cittadina, evidentemente a sottolineare la natura collettiva e non personale della funerea decisione. A Sparta, nel caso di neonati gracili o deformi, non era il padre, ma il consiglio degli anziani a deliberare su tale atto di crudeltà. Quasi a legittimare tali pratiche, la mitologia stessa presenta casi di bambini non graditi: il dio Efesto, a causa della sua bruttezza, fu scaraventato giù dall’Olimpo. Sopravvisse, ma rimase zoppo. Per compensarlo, suo padre Zeus gli diede in sposa la più bella fra le dee, Afrodite. Ovviamente gli scritti greci che parlano di fanciulli abbandonati turbano la sensibilità odierna, ma è necessario storicizzarli, astenendosi dai giudizi morali del nostro tempo. Possiamo tuttavia immaginare che tali pratiche non significassero per forza assenza di scrupoli e indifferenza. Se decideva di riconoscere il figlio, un padre greco si impegnava a dargli un nome, una casa e il sostentamento.
La cura e la crescita del figlio ovviamente spettavano alla madre. Con l’età scolare emergeva la figura paterna con il compito di guidare ed educare il bambino, direttamente o tramite un precettore. Quando il padre era presente grandi problemi non c’erano, ma se questi moriva o si allontanava, il bambino e la madre potevano essere bersaglio di individui senza scrupoli.

Il rapporto totalizzante fra madre e figlio nei primi anni di vita, molto più stretto di quello a cui siamo abituati oggi, spesso si prolungava se il padre era assente per lunghi periodi, cosa frequente in tempi di guerra, e il primo figlio maschio diventava un sostituto della figura paterna. Se il padre partiva per la guerra o per lunghi viaggi, il momento del distacco dalla famiglia rappresentava un vero punto interrogativo. Infatti al dolore – proprio di tutte le epoche – si aggiungevano il pericolo e l’incertezza degli spostamenti e l’impossibilità di comunicare con i parenti. Inoltre, in caso di morte del padre, la vedova e gli orfani perdevano qualsiasi considerazione e ogni fonte di sostentamento. Per tutelare gli orfani, Atene, nel V secolo a.C., deliberò che fossero assistiti ed educati a spese della città almeno i figli dei caduti in guerra. Il padre aveva il dovere di fare del piccolo greco un buon cittadino, garantendogli una formazione e insegnandogli un mestiere. Il precettore era onorato come un padre; nel giuramento di Ippocrate si legge: “Giuro […] di stimare il mio maestro […] come mio padre e di vivere insieme a lui”. I matrimoni venivano stabiliti dal padre, che si accordava con il pretendente e formalizzava il passaggio della ragazza dalla sua tutela a quella del marito; la donna, come al solito, non aveva voce in capitolo. Al compimento del diciottesimo anno di età, se maschio, il giovane greco veniva emancipato dal potere del padre: una differenza basilare rispetto a Roma.
La paternità ha sempre trovato un posto privilegiato nella mitologia classica e, in effetti, la cosmogonia greca ne riassume tutte le criticità. Tutto ebbe principio da un padre, Urano, e da una madre, Gea o Gaia, da cui nacquero i più tremendi dei figli, i Titani. Essi furono presi in odio dal padre “che li nascondeva e non li faceva venire alla luce”, scrive Esiodo. Non c’è quindi concordia e amore fra padre e figli, ma odio, timore, rivalità. Omero lascia “un’impronta paterna decisiva nella nostra mente inconscia”, affogando “nel silenzio l’antico mondo della madre generosa” e in generale dell’amore femminile. La scena più celebre è quella in cui Ettore “palleggiò tra le braccia” il figlioletto Astianatte, inizialmente “terrorizzato dalla vista del padre” per via dell’armatura di bronzo. Se nel primo poema abbiamo gli eroi, nell’altro gli uomini, l’Odissea appare un componimento familgiare e paterno da subito. Il senso della famiglia impronta il lungo e periglioso peregrinare di Ulisse.
Il mondo della filatelia (nonchè della numismatica) è pieno di immagini  imperniate sul rapporto padre-figlio, a volte opprimente. Si pensi alla vicenda di Oreste, che si era macchiato di matricidio per vendicare l’uccisione del padre Agamennone da parte della madre Clitennestra.
Nella Divina Commedia si cita il dilemma di Alcmeone, che uccise la madre per obbedienza al padre. Se visti con gli occhi della nostra cultura occidentale, tali episodi appaiono di difficile comprensione: sono casi dichiarati di matricidio, perdonato dagli antichi in nome della superiorità paterna.
Buona ricerca storico filatelica e buon divertimento nella tematica a soggetto paternità e famiglia!

Foto di copertina: eroicafenice.com

Redazione

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