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Costume e SocietàLetteratura

Altinium, la città roccaforte

Le Cronache di Atlantidea IV

Di Luisa Totino

Oltre la colonna i tre amici atterrarono su un terreno soffice d’erba. Mattia, più avanti di Bea e Vera, finì rotolando fin sul ciglio di una pendio e cercò di fermarsi tenendosi con le mani a dei sassi sporgenti. Purtroppo la velocità di caduta delle ragazze, che finirono su Mattia, li fece scivolare per il pendio della collina fino a valle. Finirono uno sull’altro, ma senza danno, e Mattia alzandosi disse: «Siete tutte intere ragazze?»
E Bea rispose: «Bene, bene. Stiamo bene.»
Poi, guardandosi intorno, Mattia disse: «Ma dove siamo finiti? Certo è, Vera, che tua nonna custodiva un gran bel segreto! Avete visto quella colonna? È diventata burro sotto i nostri occhi! Ci pensate? adesso siamo noi i custodi di questo segreto! Chi poteva immaginare che nei resti antichi della nostra città esistesse un portale per un altro mondo?»
Vera, allora, rivolgendosi agli amici disse: «Calmati, Mattia, non sappiamo se questa è Atlantidea. Avremmo dovuto vedere una città, delle persone… qui ci sono solo distese di prati e colline a perdita d’occhio! Che facciamo ora ragazzi?»
Bea rispose: «Io dico di muoverci da qui e proseguire in qualche direzione. Incontreremo qualcuno o qualcosa prima o poi, non può essere tutto desolazione.»
Mattia, con cenno di assenso, si rivolse a Vera: «Sì, Bea ha ragione. Andiamo, non è ancora buio, ma il sole sembra stia per tramontare, presto sarà notte, dobbiamo cercare un riparo.»
E Vera: «In questo deserto dubito che qualcuno ci possa attaccare, ma hai ragione Mattia, incamminiamoci e speriamo di trovare qualcuno che ci dia spiegazioni. Se solo potessi decifrare i simboli e le scritte sulla pergamena, forse ci darebbero delle indicazioni. Forse indica una mappa verso qualche luogo.»
Così i tre ragazzi iniziarono il loro cammino verso l’ignoto, senza sapere cosa li attendesse, ma lo avrebbero scoperto di lì a poco. Vera, intanto, girava e rigirava tra le mani la pergamena, cercando di capirci qualcosa.
Dopo tanto cammino Mattia notò che il sole cercava di scendere sull’orizzonte, ma ritornava nella stessa posizione e lo fece notare alle ragazze: «Avete visto il sole? Non riesce a tramontare, è molto strano!»
Bea rispose: «Mattia, qui è tutto strano, che ti aspettavi?»
Ma le stranezze non terminarono. Mattia, in prossimità di una collina, vide in cima uno spiazzo con degli alberi, e disse: «Saliamo in cima. Non è molto ripido, accenderemo un fuoco e riposeremo, visto che la notte, da queste parti, non vuole scendere»
Cominciarono la salita, ma i massi che spuntavano, qua e là, dal terreno, non la resero semplice. Vera provò a spostare qualcuno di essi, ma subito ritornavano al loro posto. I ragazzi si guardarono stupiti e anche un po’ impauriti. Senza parole, ma interrogandosi con gli occhi, si chiedevano dove fossero finiti e se mai sarebbero riusciti a tornare indietro. Nessuno di loro, però, aveva il coraggio di dirlo apertamente, per non preoccupare gli altri. Arrivarono in cima, Bea e Mattia cercarono di raccogliere dei rametti per accendere il fuoco ma fu inutile, i rametti si liberavano dalle loro mani e tornavano a inserirsi nel tronco.
Mattia, allora disse: «È inutile, non accenderemo mai il fuoco, ci dobbiamo riposare così, usando i nostri zaini come cuscino. Suggerisco, però, di montare di guardia. Non mi piace questo posto, c’è troppo silenzio, nell’aria non si percepisce neanche una leggera brezza. Rimarrò sveglio io, voi riposatevi, ho idea che il viaggio sarà molto lungo!»
Bea rispose: «Hai ragione Mattia, non c’è da stare tranquilli. Io comincio ad avere sonno, Vera cerchiamo di riposare.»
E Vera: «Grazie, Mattia, di rimanere sveglio. Se sei stanco chiama, così ti do il cambio.»
Mattia rimase seduto a guardare quella distesa sconfinata. Prese dallo zainetto il cellulare sperando di distrarsi un po’, ma quando accese il display era tutto di colore blu, niente icone, niente notifiche, la carica, però, era al massimo, le stranezze continuavano. A un tratto, mentre era assorto nei suoi pensieri, sentì alle sue spalle un rumore, prima distante, poi sempre più vicino, sembrava un battito d’ali. Si voltò e alzò lo sguardo, ma una rete enorme gli cadde addosso e lo bloccò a terra, più si dimenava per cercare di liberarsi, più la rete lo stringeva.
Allora gridò: «Ragazze, svegliatevi, ci stanno attaccando! Scappate!»
Vera si svegliò di soprassalto e cercò di fare alzare Bea per correre via, ma un’altra rete le bloccò entrambe senza lasciare loro scampo. Vera cercò di voltarsi per vedere gli aggressori e notò delle gigantesche creature alate. Sembravano draghi, ma al posto delle zampe avevano delle pinne, una lunghissima coda ed erano ricoperte da squame di un verde lucidissimo, quasi metallico. A cavalcarli c’erano dei guerrieri con elmi, lance e delle strane balestre, da cui probabilmente erano state lanciate le reti.


Edil Merici

La loro armatura era dorata, sul pettorale mostravano un simbolo che Vera aveva già visto sulla pergamena. A un tratto si fece avanti tra i soldati, in volo, colui che li guidava. Di aspetto possente e deciso, barba cinerea segno di grande esperienza, di un profondo passato che lo aveva plasmato e fortificato, e comandò: «Olatom! Tamarin nì Altinium!»
Subito i soldati cominciarono ad atterrare e a scendere dalle loro cavalcature e si avvicinarono ai ragazzi liberandoli dalle reti, ma ognuno venne tenuto fermo da due soldati. Intanto atterrò anche il loro capo, scese a terra e si avvicinò ai giovani. Li guardò attentamente, ma il suo sguardo si fermò sul viso di Vera ed esclamò: «Vera! Tu sei Vera Kalendra! Sei finalmente giunta ad Atlantidea!»
Subito disse ai soldati: «Levalis! Tà mois Vera Kalendra! Aiòs kelutop Atlantidea! Eratop tuì!»
All’improvviso tutti i soldati si tolsero l’elmo e s’inchinarono ai tre ragazzi, che rimasero sgomenti. Vera, si fece avanti e disse: «Potete alzarvi, basta stare inchinati, siamo persone come voi.»
Poi si rivolse al loro capo: «Alzati, dimmi come fai a conoscermi. Perché mi hai chiamata Vera Kalendra? Chi sei tu?»
Allora egli si alzò, con fierezza si rimise l’elmo e rispose a Vera: «Io sono Talòs, capo degli eserciti fratelli di Atlantidea, al tuo servizio! – Dopo una breve pausa continuò – Il tuo nome in questa terra è Vera Kalendra, sei la nipote di Lena Meticena, non è così?»
Allora Vera rispose: «Sì, sono sua nipote, ma non sapevo che mia nonna avesse quel nome, come l’hai conosciuta?»
Poi, tirando fuori la pergamena continuò: «Questa pergamena, me l’ha data mia nonna, ma non riesco a leggerla, e la corona sull’immagine della Regina Altea si è illuminata… e gli occhi della statua di Nosside si sono accesi… e ho sentito le sirene… insomma cosa sta succedendo?»
E Talòs le rispose: «Calmati Vera! Hai molte domande che attendono una risposta. Quando saremo giunti alla città roccaforte di Altinium ti spiegherò ogni cosa»
Bea interruppe il discorso dicendo: «Vuol dire che dobbiamo salire su quei cosi e volare? Soffro di vertigini!»
E Mattia chiese: «Che creature sono?»
Talòs rispose: «Questi, ragazzo, sono Dasculòs, sono simili a draghi, ma non sputano fuoco, possono volare nel cielo, nuotare nei mari o camminare sul terreno. Sono compagni fidati, ma devi superare la prova del nodo di sangue.»
Mattia, allora, non osò chiedere altro.
Vera, però, disse a Talòs: «In che parte di Atlantidea siamo?»
E Talòs: «Siete nella Terra della Fermezza, dove tutto è immobile agli occhi, ma non al cuore.»
E Vera: «Che significa?»
Talòs, sorridendo, disse: «Se guardi con gli occhi della mente niente muta, ma prova a vedere con il cuore, chiudi gli occhi e cerca dentro di te lo scorrere delle cose, che muove la vita.»
Vera, allora, chiuse gli occhi e sospirò, pensò a sua nonna, a quando era piccola ed era felice con lei e da grande, quando ancora l’ascoltava senza stancarsi. Poi aprì gli occhi e, come per incanto, vide un villaggio con delle case e delle persone che ci vivevano, un ruscello e folti alberi con uccelli che ci svolazzavano sopra, ed esclamò: «È incredibile, dovete provare ragazzi! Guardate quante persone!»
E Mattia rispose: «Quali persone? Io non vedo niente.»
E Bea: «Secondo me è la fame che ti fa stravedere.»
Talòs si mise a ridere e aiutò Vera a salire in groppa sistemandola davanti a sé, per farla stare più al sicuro durante il volo e così fecero altri due soldati con Bea e Mattia. Bea chiuse gli occhi, dentro di sé si ripromise di aprirli solo all’arrivo.
Quando furono pronti Talòs ordinò: «Egalòp Altinium!»
I Dasculòs si alzarono in volo verso Altinium. Non molto dopo entrarono in una fitta nebbia e non videro più nulla per un po’. Poi la nebbia cominciò a diradarsi e, sotto di loro, uno spettacolo incredibile: comparve la città roccaforte di Altinium in tutto il suo splendore.
Talòs con soddisfazione disse: «Benvenuti ad Altinium, l’ultima roccaforte della Fratellanza di Atlantidea!»
Sotto di loro una grande isola dai contorni ottagonali, costituiti da mura alte e metalliche. Da ogni lato partiva una lunga via, costruita sull’acqua che portava a un’isola satellite, nel cui centro spiccava una piccola cittadina. Sulla grande isola centrale una serie di tornanti portavano alla cittadella, dove era situata la Sala del Gran Consiglio. Uno strano luccichio colpì gli occhi di Vera e dei suoi amici, che intanto stavano atterrando con l’esercito di Talòs nel gran piazzale antistante la Sala. Una statua si ergeva al centro, di marmo bianchissimo. Era da essa che proveniva il luccichio. Vera si avvicinò, la statua raffigurava la Regina Altea…

Continua…

Foto: unoeditori.com

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