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Costume e Società

I nostri antenati fermarono l’avanzata dell’Islam

Chissà quante volte i nostri avi si son sentiti gelare il sangue all’arrivo dei Saraceni. E quante altre volte si son visti portare via i loro figli, sorelle e mogli. Si era nel medioevo – il rebus più complicato della nostra storia – e, caduto l’impero romano d’Occidente, i popoli di questa fascia territoriale, decimati dalle incursioni barbariche e dalla malaria, si videro costretti ad abbandonare le località costiere per erigere nuovi bastioni. E difatti, piccoli borghi, paesotti e grandi centri sorsero su tutta la costa. Si mostravano appollaiati su irti colli, su monti o cocuzzoli, difesi da possenti mura; a un tiro di schioppo dall’Aspromonte, protetti dalla natura e dagli innumerevoli vantaggi che offre.
Nelle lontane campagne, poi, si era invasi da pagliai o da piccoli rifugi costruiti con tetti di frasche e pareti di canne e argilla; e successivamente adibiti a ripari occasionali da contadini e pastori, e a vere e proprie dimore durante i mesi d’inverno, quando le forti mareggiate impedivano ai pirati saraceni di praticare i mari. Poi arrivava la primavera e, con essa, la devastazione. I nostri progenitori, già martoriati a sangue dalla sferza della miseria, erano dunque sottoposti anche a questa dura verità? Effettivamente è così, e, ancor quando di suddetta realtà non rimane un chiaro ricordo, essa abbracciò un lungo periodo della nostra storia.
Tuttavia i calabri seppero resistere in modo straordinariamente eroico, affrontando i mori con l’audacia del più impavido dei guerrieri. Insomma, essi non si piegarono alle angherie di questi feroci incursori che, a differenza di quanto avvenuto in Sicilia (dove avevano già solidificato le loro radici) non riuscirono ad assoggettare la Calabria all’islam, cosa che avevano tentato per più e più volte. Stando ai fatti, se togliamo la fase che va dal 901 al 909, (breve periodo di dominazione turca nella provincia reggina) i loro tentativi si rivelarono effettivamente un fiasco, dal momento che i nostri antenati, come detto poco fa, si batterono con molta più determinazione dei fratelli siciliani. Del resto, rovistando nel loro passato più diretto, non si sarebbero potuti sottrarre alla storia.
Una storia costellata di prodezze, di atti eroici, di cultura e di sapere; di leggende e di trionfi. Una storia che aveva varcato i confini del tempo, per vedere i nostri antenati erigere enormi città, costituire grandi armate, combattere e vincere le guerre più impossibili. Stiamo parlando del periodo della Magna Grecia e dell’impero romano. La storia più prossima per i nostri avi. Figuriamoci se potevano far loro impressione le scorrerie saracene. Ciò non di meno, il problema esisteva e tendeva a trasformarsi in un’enorme piaga sociale. Tuttavia, in questa piccola angusta fetta di terra (allora dominio bizantino) non mancarono gli eroi.

E le loro prodezze, seppur cadute nella dimenticanza, contribuirono in gran forma a frenare quella che potremmo benissimo chiamare: l’invasione culturale dei turchi.
Purtroppo i nostri non erano più guerrieri di professione, – competenze che avevanoperso con l’andar dei tempi e con l’avvento di una vita meno irruenta – si trattava, invece, di campagnoli, pastori, artigiani, bottegai; arditi combattenti alle dipendenze di se stessi, privi di cavallo e di armatura, che si battevano con forconi, bastoni e zappe; padri di modeste casate e figli del mondo agreste. E se i loro nomi sono caduti nell’oblio non è perché non si dimostrarono degni dei più valorosi guerrieri, ma perché erano costretti a combattere improvvise guerricciole di sobborgo. Questi prodi erano, infatti, impegnati a difendere la propria vita e quella dei loro cari, i pochi averi e la loro gretta po­vertà, ben lungi dagli scontri di­retti e di conseguenza dalla bramosia di vittorie e di succes­sive feste di trionfo. Comunque, che la storia voglia riconoscer­celo o no, questi arditi individui, che avevano sposato la fede di Cristo, si batterono anche in suo onore e con reale coraggio.
E se oggi (con tutto il rispetto per i mussulmani) a mezzogiorno non ci volgiamo in preghiera con il capo rivolto verso La Mecca, è anche per merito loro. Mentre in Romania ci pensava il temerario Conte Dracula a frenare l’invasione ottomana, a Reggio c’era Ruggieri de Risa (Ruggero di Reggio) che, dopo la conquista della città da parte dei turchi, con una piccola folla di ardimentosi e con l’appoggio dei pochi soldati bizantini, mise a ferro e fuoco l’insediamento mussulmano facendolo capitolare. Sfortunatamente, oggi, non abbiamo nessuna documentazione storica che ne attesti le prodezze, di certo sappiamo però che la leggenda narra di lui e della sua eroica cacciata dei morisco da Reggio.
Si provi a immaginare dunque quanto difficile poteva essere la realtà presso un territorio quale era allora il nostro; un territorio quasi privo di vie di comunicazione; dove a parte l’orrendo stato d’indigenza in cui riversava la popolazione – un tempo impiegata soprattutto nel commercio marittimo – la vita si svolgeva a periodi e dentro il più stretto riserbo delle roccaforti.
Sul nostro litorale, ad esempio, ne danno prova i resti di Panduri, piccolo centro nel comune di Careri; o di Precacore, a pochi passi dall’attuale Samo; o ancora di Brancaleone vecchio, di Bruzzano, di Staiti. E se solo provassimo ad ascoltare cosa hanno da dirci, nel silenzio del loro convulso sibilo, i ruderi di questi centri messi sotto scacco del tempo, allora capiremmo senza grandi sforzi che tipo di vita toccò ai nostri poveri avi.

Foto: kalabriaexperience.it


Edil Merici

Francesco Marrapodi

Francesco Marrapodi approda a Métis dopo aver ricoperto importanti ruoli in altre testate giornalistiche. 
È stato Redattore Capo per la provincia di Reggio Calabria de “L’Attualità”, collaborato con “Calabria Letteraria” e con “Alganews”, nonché con la testata giornalistica “In Aspromonte”. 
Ha studiato tecniche e metodi di scrittura del “Gotham Writers' Workshop”, è stato inserito nell’antologia “Ho conosciuto Gerico” in onore di Alda Merini con la poesia “La Nova” e fa parte dell’“Unione Poeti dialettali di Calabria”.
L’8 agosto del 2014 ha realizzato sulla spiaggia di Bianco una statua di sabbia raffigurante Papa Francesco, evento recensito da “Famiglia Cristiana” per il quale ha ricevuto il ringraziamento e la benedizione del Papa in persona. 
Si è reso inoltre promotore di una campagna contro l’inquinamento marino con “La morte di Poseidone”, statua di sabbia che ha suscitato grande interesse in tutto il mondo. 
Francesco è oggi un punto di riferimento redazionale su Bianco e dintorni, con un ruolo di primo piano nella Redazione Cultura.

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