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Costume e SocietàLetteratura

Nel Regno dei Celesti

Le cronache di Atlantidea XII

Di Luisa Totino

All’improvviso comparvero, dalle onde ribelli e scure, delle terribili e inquietanti creature marine che, con enormi e lunghi salti, cercavano di addentare i viaggiatori.
Talòs gridò: «Sono le temutissime Karkaròs, le murene-squalo! Il loro morso è letale, fanno a brandelli la vittima e se ne nutrono. Il solo tocco procura una scossa che porta alla pazzia il malcapitato. Voliamo più in alto, dobbiamo tenerle a distanza!»
Gli dei Acquatici risposero: «Ci pensiamo noi, Talòs! Voi, salite il più in alto possibile!»
Detto questo, si lanciarono, come saette, verso le Karkaròs, ci salirono in groppa cercando di domarle e trascinarle nelle profondità marine, ma quelle continuavano a dimenarsi, per scrollarsi di dosso gli intrusi. Le squame iridescenti proteggevano gli Acquatici dal loro infido tocco. La lotta fu furibonda. Dall’alto, il resto della compagnia poteva solo assistere inerme a un groviglio tumultuoso di onde che avvolgevano le Karkaròs ai corpi degli Acquatici, che cercavano di rimanere ben avvinghiati a quelle creature. Di colpo, l’imprevedibile prese il sopravvento: una delle Karkaròs riuscì a liberarsi dalla presa e con un poderoso salto raggiunse la coda di uno dei Dasculòs colpendolo. Subito il Dasculòs, alla forte scossa, cominciò a dimenarsi in preda alla pazzia. Purtroppo, i forti scossoni, fecero perdere l’equilibrio a coloro che lo cavalcavano, la povera Bea precipitò insieme al soldato, scomparendo nelle onde impetuose.
Solo le piccole creature volanti fecero in tempo ad allontanarsi verso Vera, che urlò disperata: «Bea! Bea! No!»
E Mattia: «Talòs, dobbiamo andare a riprenderla, non possiamo abbandonarla! Annegherà! Non sa nuotare!»
Allora Talòs, con autorità, rispose: «Non possiamo, andremmo incontro a morte certa, ragazzo! Dobbiamo confidare nella benevolenza degli Acquatici!»
E Mattia, con gli occhi ricolmi di lacrime disse: «Non è giusto! Non è giusto! Morirà di sicuro se non andiamo a recuperarla!»
Talòs, risoluto, disse: «Basta, ragazzo! Impara che la testa in battaglia deve prevalere sul cuore, altrimenti la battaglia si tramuta in strage!»
A quel punto gli Acquatici iniziarono ad agitare le loro lunghe lance nel mare e subito delle grandi masse d’acqua emersero sulla superficie e si plasmarono a formare gigantesche figure umane che, con le loro possenti braccia, subito, inglobarono le Karkaròs in grandi bolle, poi le agganciarono a robuste catene di alghe e le trascinarono nelle profondità marine. Poi, uno degli Acquatici, fece un cenno a Talòs e scese in profondità. Dopo qualche minuto tornò in superficie, tra le braccia aveva Bea, il viso pallido, attaccata a un filo di vita.
Mattia, contento di aver rivisto l’amica, seppur in condizioni molto malandate, gridò: «Bea! Bea! Siamo qui con te, non mollare!»
E Talòs: «Calma, ragazzo! È rimasta troppo tempo in acqua, sarà curata dai Sapienti degli Oceani, nel Regno degli Acquatici!»
Il dio Acquatico, allora, affidò Bea ad Afrione, l’ippocampo domestico di Talòs.
Quest’ultimo disse: «Mi raccomando Afrione, abbi cura di lei, portala a destinazione. Ci rivedremo presto, mio fidato amico!»
Afrione allungò la testa e il muso verso Talòs, quasi a volerlo salutare, e poi, con Bea, si tuffò in mare. La calma tornò tra le onde, lasciando i componenti della compagnia attoniti e smarriti. Era solo l’inizio del viaggio, ma da subito capirono che sarebbe stato irto di pericoli, si andava concretizzando il timore di poter perdere la vita e di non rivedere le loro case mai più. Ma c’era anche la certezza, nei loro cuori, che erano rimasti l’unica speranza di salvezza per i due mondi, per il tempo di ognuno.
Gli Acquatici tornarono a unirsi al resto del gruppo per proseguire, ma uno dei Celesti disse: «Sarebbe meglio fermarsi alla Pianura dei Cirri, a continuare ora saremmo un bersaglio facile per chiunque. Ci stanno tenendo d’occhio, non so come abbiano fatto a sapere del nostro viaggio, ma siamo controllati. C’è un modo, però, di superare la cosa, almeno per un certo tratto del viaggio. Nella Pianura dei Cirri c’è qualcosa che può aiutarci, riposeremo e ripartiremo domani all’alba.»
Talòs rispose: «Buona idea! Fateci strada, vi seguiremo!»
I Celesti li guidarono ben oltre le nuvole, dove si aprì davanti ai loro occhi uno spettacolo unico: isole verdeggianti sospese nell’aria, ognuna con le proprie abitazioni. Per Vera e Mattia lo stupore fu maggiore, non essendo abitanti di Atlantidea.
Andrònos si accorse della meraviglia di Vera e disse: «Non avete questi luoghi nel Metaverso? È comprensibile, del resto il tuo mondo è una brutta copia del nostro.»
E Vera: «Sarai anche un bravo soldato al comando di Talòs, ma sei solo uno zoticone!»
Indispettito da quelle parole Andronòs spronò il Dasculòs ad andare più veloce, superando gli altri. Oltre tutte le isole un’immensa e bianchissima distesa di nuvole.


Edil Merici

Il dio Celeste disse: «Benvenuti nella Pianura dei Cirri! Qui possiamo prepararci ad affrontare buona parte del nostro viaggio.»
Aldàrin disse: «Certo che voi Celesti vi trattate bene!»
Poi, scendendo dal Dasculòs, riprese: «Sembra di camminare su mille cuscini, credo che mi rilasserò molto in questo posto.»
Talòs, però, interruppe l’amico: «Aspetta a rilassarti. Questa sosta è solo strategica, non di piacere.»
Andronòs, dal canto suo, continuò a provocare Vera: «Stai ancora pensando alla tua amichetta? Lo sapevo che non eri adatta ad affrontare tutto questo, e siamo solo all’inizio!»
Al sentir nominare la sua amica, Vera reagì dicendo: «Non ti permettere di alludere a Bea, e non rivolgermi più la parola! Per me non sei nessuno, è chiaro?»
E si allontanò da lui, insieme alle piccole creature, per starsene in disparte. Mattia le si avvicinò: «Bea starà bene, Vera. Dobbiamo essere forti per lei.»
Allora Vera disse: «Mattia, proprio non capisci? So che Bea starà bene, ma non so come ne uscirà emotivamente. Aveva intenzione di dirti che voleva lasciare Atlantidea e tornare a casa.»
E Mattia: «Cosa? Stai dicendo sul serio? Ma nel nostro mondo, ora, è tutto più rischioso, le persone cominciano a perdere il loro tempo, a malapena potrebbe essere riconosciuta dai suoi genitori. Perché tornare indietro?»
E aggiunse: «Comunque anche io volevo dire qualcosa. Quando sarà tutto finito, voglio rimanere qui ad Atlantidea ed entrare nell’esercito della Fratellanza. Talòs è già al corrente della mia decisione. Forse avrei dovuto dirlo prima, mi dispiace!»
Vera lo guardò sconsolata: «Alla fine ci siamo divisi. Questo posto, che doveva unirci ancora di più, ci ha divisi. Cosa ci è successo, Mattia?»
Mattia, rattristato: «Non lo so, non so se è stato questo posto oppure doveva solo accadere. Solo andando avanti capiremo.»
E mise una mano sulla spalla di Vera, per consolarla. Andronòs vide la scena e disse: «Scusate il disturbo, ma dovremmo unirci agli altri che stanno andando in quella direzione, se non ve ne siete accorti.»
Mattia e Vera videro il resto della compagnia procedere verso un’enorme quercia, fatta di nuvole. Alla base del tronco, tutt’attorno, dei curiosi fiori con, al posto della corolla, una bolla trasparente contenente un fumo azzurrognolo.
Giunti in prossimità della quercia uno dei Celesti disse: «Questo è un Albearolo, la cui linfa proviene dal purissimo spazio e alimenta i soffiabolla che vedete intorno. Cogliendoli e soffiando sulla bolla essa sprigionerà la polvere celante. Passandoci attraverso verrete protetti da un alone che farà scomparire ogni traccia al vostro passaggio, almeno fino alle porte del Regno dei Florian, i cui rappresentanti sono qui tra noi.»
Vera, con aria curiosa, prese uno dei piccoli esseri sulla sua spalla e disse: «Tu sei un Florian!»
E il piccolo Florian, sorridendo, cominciò a dire qualcosa, ma la sua voce sembrava quella di un disco che girava molto velocemente.
«Non capisco nulla, devi parlare più lentamente» disse, divertita, Vera.
Talòs, sospirando, si rivolse a Vera: «Rallenta il tempo nella tua mente, Vera. Te lo avevo già insegnato nella Terra della Fermezza, ricordi?»
Vera, allora, chiuse gli occhi, inspirò ed espirò molto lentamente, come per gettare fuori ogni impedimento, e si concentrò sulla voce del Florian.
All’improvviso sentì: «Vera, insomma, ora riesci a capirmi? Mi chiamo Leitàn, sono un ambasciatore del Regno dei Florian!»
Vera aprì gli occhi e sorridendo, disse: «Sì, ora ti comprendo. Ma, voi Florian, come fate a comprendere i linguaggi altrui?»
E il minuscolo Leitàn: «Riusciamo a seguire la velocità di ogni linguaggio, quando viene utilizzato.»
«Detto così sembra facile, ma sicuramente non lo è, approfondiremo il discorso in un altro momento» disse Vera.
Talòs, risoluto, disse ai presenti: «Bene, ora che abbiamo completato le presentazioni, ognuno prenda un soffiabolla e proceda.»
Così fecero e, allo sprigionarsi della polvere celante, ciascuno ci passò attraverso. Un alone sottile ed etereo avvolse ogni presente.
Aldàrin esclamò: «Adesso che ci siamo incipriati sarebbe cosa gradita un invito a cena. Che ne dite amici Celesti?»
«Andremo nella mia dimora, sull’Oasi Tranquilla. Lì vi rifocillerete e vi riposerete, e domani mattina presto riprenderemo il viaggio.»
Salirono di nuovo sui Dasculòs e si diressero verso una delle terre sospese, che avevano oltrepassato prima, e vi atterrarono. La dimora del dio Celeste era di pietra lunare, emanava una luminosità soffusa, ma chiara e limpida, quasi elettrica, che infondeva serenità. Un canto melodioso, che si sentiva tutt’attorno, affascinò e trafisse l’animo di tutti.
Il dio Celeste disse: «Le Vocanti, con il loro canto, toccano le corde del cuore, per acquietare le emozioni più forti. Vi sentirete molto più calmi. Prego, entriamo!»
Quando entrarono nella sala, dei servitori alati li accolsero e li fecero accomodare a una grande e lunga tavola imbandita…

Continua…

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