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Costume e Società

Nell’attesa che arrivi un soffio di vento…

Di Marianna Bellocco – Liceo Classico Ivo Oliveti di Locri

“La storia si ripete”. Impossibile non conoscere o non aver mai pronunciato questa frase, ormai entrata a far parte del linguaggio comune. Una frase che potrebbe risultare banale ma che, mai come in questo periodo, può essere considerata attuale.
La guerra in corso tra Russia e Ucraina è soltanto l’ennesima dimostrazione di come l’umanità sia destinata a ripetere sempre gli stessi errori.
Leggendo alcuni versi della canzone di Bob Dylan Blowin’ in the wind è impossibile non riconoscere immagini attuali, scene già viste, eventi già vissuti.
In sole tre strofe l’autore riesce a porre domande esistenziali che fanno riflettere su problemi sociali e sulla condizione umana.
Queste domande disperate rappresentano perfettamente uno degli stati d’animo più tipici di una persona che affronta una battaglia di questo genere: la confusione, l’impotenza, la disperata ricerca di risposte che spesso non arrivano, perché la guerra non dà risposte, ma instaura solo dubbi.
L’uomo occupa un posto centrale in questa canzone: il menestrello del rock si domanda quante volte si possa distogliere lo sguardo e fingere di non vedere, quante orecchie si debbano avere prima di sentire altri uomini che piangono. È questa una chiara denuncia all’omertà, all’accettazione passiva di ciò che avviene intorno a noi, ai tentativi di ignorare un problema che, ogni giorno, porta morte e distruzione nelle vite di moltissime persone. Dylan vuole criticare una condizione umana in cui gli individui non sono in grado di reagire, di ripudiare con coraggio e sicurezza ogni forma di violenza.
Questa critica fa riflettere: spesso si tende a pensare che una singola persona, dinanzi a un problema così grave e complesso, non possa fare nulla. Spesso, infatti, tende a voltarsi dall’altre parte, ma la verità è che già solo abbattere l’omertà, parlare, esporre la propria opinione, manifestare pacificamente, dimostrare solidarietà alle persone coinvolte in questi drammi significa fare qualcosa. La guerra in Ucraina, un Paese così vicino a noi, fa capire come non si debba immaginare un conflitto armato come qualcosa di lontano, che non ci riguarda, perché, nel momento in cui i diritti inalienabili di un solo essere umano sono calpestati, ogni persona dovrebbe considerarsi colpita.
L’ultima domanda presente nella canzone è probabilmente quella che ci offre l’immagine più cruda, quella che arriva al cuore del problema: quanta gente deve morire prima che l’uomo possa capire che in troppi sono morti? Gli uomini non sono numeri, anche una sola vita persa a causa della guerra è troppo e il solo fatto che ci si domandi quante morti siano necessarie per comprendere a pieno la follia di questo evento fa capire come esso rappresenti la morte dell’umanità.
È forse questo il più grande punto di forza di Blowin’ in the wind: Dylan parla della guerra, ma non parla delle armi o delle bombe. Lui non vuole parlare dei soldati, ma degli uomini, di come loro vivano questo evento, di quello che possono fare.
Nonostante l’argomento crudo, la canzone risulta essere delicata: più che un grido di protesta sembra quasi un dialogo tranquillo tra lo stesso autore e il suo pubblico.
Il poeta usa, negli ultimi due versi di ogni strofa, l’appellativo amico mio con il quale sembra volersi rivolgere non solo ai suoi ascoltatori, ma a tutta l’umanità, alla quale porta un dolce messaggio di speranza: la risposta a tutti quegli interrogativi c’è, basta aspettare un soffio di vento.

Foto: zonafrancanews.info


Edil Merici

Redazione

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