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Costume e SocietàLetteratura

L’angoscia di Malachia

Templari - Alla ricerca del Libro dei morti XIII


Edil Merici

Di Francesco Cesare Strangio

La strada che portava da Gerusalemme a Nazaret era stata realizzata in ciottoli e quando i piedi poggiavano tra una pietra e l’altra del selciato le stanche caviglie provavano un dolore lancinante. Il Sole, come risaputo, da quelle parti è poco clemente, tanto che le zone scoperte del corpo si ustionavano con facilità. Per alleviare le sofferenze delle bruciature, i pellegrini si spalmavano il volto e le braccia con un olio estratto dalle palme. L’olio era grasso, di colore tendente al rossiccio, e aveva la capacità di filtrare i raggi del Sole riducendo gli effetti tipici di quando guadagna lo Zenit.
La distanza tra Gerusalemme e Nazaret era di circa 150 miglia, il passo dei pellegrini non andava oltre le cinque miglia all’ora. Verso la ventesima ora del giorno, avevano percorso circa la metà del cammino. Il caldo e le 75 miglia percorsi si fecero sentire, tant’è che si accamparono per la notte nei pressi di Tul Karm, un piccolo villaggio ove di solito i pellegrini facevano la sosta notturna.
Tra tutti gli inconvenienti di questo mondo vi è quello della velocità con cui il tempo va via portando con sé ogni cosa, in quello specifico caso si trattava del riposo. Alla quinta ora il Barone di Altavilla, Malachia da Hildesheim, Cosimo da Firenze e Jean d’Anneau vennero svegliati dal canto del gallo. La carovana si mosse in direzione di Nazaret, dove contavano di passare la notte, sostando nel terzo dei sette punti del loro viaggio di ritorno. Verso l’ora del crepuscolo, videro in lontananza le prime case di Nazaret. Quel giorno, animati dal desiderio di mettere piede nel luogo della provenienza di Gesù, percorsero il tratto ad andatura più elevata, anticipando di quasi un’ora il tempo necessario per coprire la tratta.
I Cavalieri assaporarono quella notte intensamente. Sentivano la presenza del Messia ovunque. Quello stato mistico li fece precipitare in un sonno profondo e benefico al punto che la mattina successiva erano perfettamente rinfrancati. Si erano scrollati di dosso tutta la stanchezza accumulata durante il loro lungo viaggio.
Alla solita ora partirono verso Betlemme: luogo in cui venne alla luce Gesù. Betlemme dista da Nazeret, luogo in cui trascorse la fanciullezza e la gioventù il Cristo, 26 miglia, che colmarono in quattro ore e pochi minuti. La carovana si accampò presso il sito della grotta in cui nacque il Messia. La sacralità del luogo impose ai viaggiatori una sosta al di là dell’ordinario. Rimasero in preghiera tre giorni a simboleggiare la morte e la resurrezione. Trascorso tale tempo ripresero la marcia verso il Libano seguendo la strada che costeggiava il mare. Si preferiva viaggiare lungo la costa per una questione di sicurezza, in quanto vi era il rischio di cadere in qualche imboscata. Il mare garantiva una visibilità pressoché illimitata; l’unico rischio poteva venire dalla parte interna.
I Templari conoscevano bene la strada e inoltre erano bene addestrati per un eventuale attacco da parte dei musulmani. Durante il cammino ognuno raccontava le sensazioni del viaggio e della permanenza in Terra Santa. Per tutto il tempo di quel venerdì, Malachia non proferì parola: il suo viso era cupo, sembrava che qualcosa lo tormentasse.
Sul calar della sera, quando le tenebre non permettevano più alla carovana di proseguire il cammino, il capo della scorta ordinò di fermarsi per la notte. I Cavalieri, come sempre, si misero leggermente in disparte e parlarono del cammino che li aspettava il giorno seguente.
Il Barone, preoccupato per l’assoluto silenzio di Malachia, gli domandò cosa lo tormentasse. Egli rispose «È da questa mattina che ho un profondo senso di malinconia.»
Il Barone rispose che molto probabilmente erano gli effetti del viaggio compiuto lungo il Nilo, ancor più l’ultimo atto che aveva riprodotto i rumori di una terribile battaglia.
«No! – rispose Malachia Non si tratta di questo. Mi capita questo profondo stato d’angoscia ogni qual volta che sta per verificarsi qualcosa di spiacevole. Ormai mi conosco! C’è qualcosa nell’aria che percepisco e non riesco a capire né quando, né da dove arriverà. Una cosa è certa: si tratta di morte!»I compagni gli chiesero se fosse sicuro di quanto affermava. Malachia confermò quanto aveva detto. Scese il silenzio fra i Cavalieri, il compagno aveva trasmesso loro il suo stato d’angoscia. Era la quarta ora della notte, quando presero sonno. Più volte furono svegliati dai lamenti di Malachia; sembrava che quella notte fosse popolata dalle anime dannate che gli turbavano il sonno. Verso la metà della notte (per il viaggio di Seti I° era il momento più delicato e più difficile) Malachia si lamentava oltre misura, tanto che il Barone lo svegliò in modo energico. Il Templare delirante era in un lago di sudore e gli occhi spiritati. Voleva parlare… tanto era lo spavento che a stento riuscì a pronunciare poche frasi sconnesse. Tornato in sé, raccontò di aver sognato Apophis che tentava di stritolare i Cavalieri nelle sue spire. Avevano avuto la meglio grazie all’intervento del capo villaggio e dei suoi due figli.

Foto: aforismi.meglio.it


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