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Costume e SocietàLetteratura

L’archivio del Tempio di Zeus

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri LXXVII


Edil Merici

Di Giuseppe Pellegrino

Per parlare di Erario, a Locri (ma non solo a Locri), è obbligatorio partire dalle Tabelle del Tempio di Zeus. Molte deduzioni, ipotesi di studio e (perché no?) ipotesi azzardate vengono da una lettura delle Tabelle Bronzee del Tempio. Pochi gli studiosi al riguardo, ma una particolare predilezione va ad Alfonso De Franciscis che su tale tema ha dedicato più di uno studio. Il più importante e completo è rappresentato da Stato e Società in Locri Epizefiri, edito nel 1972 dalla Libreria Scientifica Editrice di Napoli. Opera, questa, che ormai si trova solo nelle biblioteche. Per dette Tabelle è bene fare una breve premessa.
Occorre fare una seconda premessa perché occorre distinguere tra il periodo che va dalla nascita della pòlis al 354 a.C., epoca alla quale cessa il divieto di emettere moneta per Locri. Si aggiunga, che è giocoforza per capire dell’Erario e del sistema del prelievo fiscale, la necessità di dare delucidazioni sulla forma di pagamento delle tasse, sul baratto e sul klèros come forma di sostentamento delle famiglie dei klèroi e di pagamento delle tasse. Si comincia, ovviamente, dal Tempio di Zeus.
Il 23 dicembre del 1958 o nel capodanno del 1959, Leonardo Calarco, contadino, mentre coltivava il suo terreno in contrada Cappella dell’Idria nel comune di Portigliola, trova una teca lapidea che custodiva delle tavolette di bronzo. La teca, di forma cilindrica e ricavata nella pietra calcarea locale, è alta 1,48 metri compreso il coperchio e ha un diametro di 1,57 metri. Originariamente, forse, era sotto il piano di calpestio.
Sembra certo che la scoperta non fu denunziata e la teca violentata e derubata, se è vero che assieme alle tabelle conteneva anche un tesoro di monete d’oro e d’argento. Del fatto si ebbe sentore solo il 19 gennaio del 1959 quanto l’Ufficio antichità, con a capo l’assistente Ugo Serafino, sequestrò quanto si trovava nella stalla di Calarco. Oggi le tabelle si trovano al Museo di Reggio Calabria e Locri non le ha mai rivendicate. Si ipotizza che il numero di tabelle sia di molto superiore a quelle trovate. E ciò è intuitivo. Ne è prova il fatto che nel giugno del 1961 una tavoletta venne sequestrata a Roma presso un privato. E un’altra anche nella casa di Calarco.
È bene non sottacere che questo Leonardo Calarco è la medesima persona implicata nel furto della Persefone di Berlino. La sua attività è consistita nel trasporto della Statua su un carro per portarla fino a Gioiosa Marina.
La Teca era in pietra calcarea di forma cilindrica, con un coperchio di identica materia. All’interno furono trovate 39 tabelle di bronzo. Nella Teca le tabelle erano sovrapposte l’una all’altra, senza un apparente criterio cronologico, cosa, questa, che ha impedito un eccesso di incrostazione. La cosa sorprendente è che fossero giustapposte, tanto che la facce dell’una aderissero alla faccia dell’altra (salvo una). Le tabelle sono risultate integre. Il che fa propendere per una collocazione diacronica.
È ipotizzabile, per come ci dice il Professore Ordinario di Diritto Romano nell’Università Mediterranea di Reggio Calabria Felice Costabile, che seppure non vi sia traccia di una costruzione circostante nella quale era inglobata la Teca, vi fosse un piccolo edificio ligneo innalzato per la riservatezza del sito e non per la tutela dalle intemperie. La presenza sul coperchio di anelli di bronzo del diametro di circa 14 centimetri depone per un sistema di sollevamento del coperchio in modo completo e tale da dare la possibilità di un’ispezione all’interno.

A partire dal V secolo a.C. sono note macchine girevoli per tenere in alto dei pesi (gèranoi). Costabile si spinge fino a ipotizzare e disegnare una gru mobile di legno.
La memoria storica non è il forte dei calabresi. Vendere per quattro soldi la propria storia non è meno infamante del comprarla per specularci. Difficile che chi abbia le tavolette ne capisca il senso. Sono scritte in un dialetto dorico a pochi noto (tra questi il De Franciscis e lo stesso Costabile) e soprattutto, in mancanza di una comparazione storica, difficile, anche se si riesce a tradurle, capirne il significato. Nel 1960 De Franciscis, che all’epoca dei fatti era Soprintendente alle antichità della Calabria, iniziò la pubblicazione dei testi sulla rivista Klearchos. Nel 1972, nell’edizione principale, pubblicò i risultati di tante ricerche consacrate in Stato e società in Locri Epizefiri, che per molti aspetti è opera base anche per il nostro lavoro. Il merito di De Franciscis è stato soprattutto, come dice Costabile, quello di far conoscere anche la oikonomia della città, ponendo i suoi lavori come presupposto per comparare Locri alla ‘Αθηναιων Πολιτεìα (Atenaion Politeìa).
L’importanza delle Tavolette è equiparata alla scoperta del ‘600 dei testi del Senatus consultum de Bacchanalibus, delle Tabulae Heraclenses e delle laminette orfiche (Preziose quelle di Ipponion – Vibo Valentia).
De Franciscis è sicuramente il maggiore studioso delle tabelle. In questo avvantaggiato dalla carica ricoperta di Sovrintendente alle Antichità della Calabria. Non sono le leggi di Zaleuco, come in un primo tempo si era ipotizzato. Si tratta, invero, di un archivio scritto su ogni singola tabella con regolarità ed equilibrio. Gli autori sono più di uno scriba e non avevano lo stesso grado di cultura, per cui più di una tabella presenta errori linguistici.
Occorre precisare che questi reperti non sono una rarità nel mondo greco, ma soprattutto non lo erano a Locri, dove tabelle simili furono trovate nel Tempio di Marafioti, conservate ovviamente non a Locri, ma alla Bibliothèque Nationale di Parigi. Scoperte analoghe sono la defixio di Melita (contenente gli epigrammi di Nosside) e le tabelle testamentarie di Crimisa, Caulonia, Petelia e Terina.
Una Tabella (la 9), ci informa dell’operazione finanziaria fatta per sostenere le spese per le porte bronzee del Tempio e lo scudo votivo. Da essa, come dalle altre, si ricavano dettagli importanti per capire il sistema finanziario di Locri. Nella traduzione di Costabile essa dice:

Del che hanno restituito questo: un peso di bronzo (di) 160 talenti e 17 litre per le porte bronzee, che (i Locresi) hanno consegnato a Zeus Olimpio, da collocare nel tempio su ambedue le coppie di cardini.

Maggiori particolari a noi utili si desumono dal prestito in oro per decorare lo scudo votivo (Tab. 21):

È stato restituito l’oro per lo scudo che si trova nell’Olympieion, pesato dinnanzi al Consiglio dagli episkeuasteres… Peso dell’oro restituito e disteso sullo scudo: otto mine euboiche. Una mina euboika (residua) del ritaglio è stata restituita ai proboloi […]. Questo oro è stato riposto nel tesoro.

In definitiva, si tratta delle trascrizioni delle operazioni finanziarie che vengono eseguite nel Tempio di Zeus che, in concreto, rappresentava l’Erario di Locri. I testi erano a cura dei hieromnamones addetti al Santuario, anche se bisogna ipotizzare due strutture complementari, come si specificherà più avanti.

Foto: spuntidiviaggio.it


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