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Costume e SocietàLetteratura

Un samurai tra i fiori di pesco

Samurai: La spada e l’onore


Edil Merici

Di Francesco Salerno

Naomasa fissò i fiori di pesco sbocciati sugli alberi e, per un attimo, si sentì in pace. La bellezza e la fragilità di quei fiori lo emozionava sempre. La sua anima era sempre stata particolarmente sensibile alle bellezze del mondo, nonostante la nomea di guerriero che si era creato.
Erano passati sei anni dall’assedio di Tanaka e lui non era più un samurai semisconosciuto. Dopo quella disfatta, Naomasa aveva combattuto ininterrottamente per il proprio signore passando da battaglia in battaglia, da vittoria in vittoria. Dopo Tanaka si era fatto costruire una nuova armatura, tutta completamente rossa, con un enorme paio di corna d’oro che sormontavano l’elmo. Il suo abbigliamento era poi completato da una lancia rosso fuoco e dalla maschera demoniaca del suo amico Hide, che Naomasa non lasciava mai. Alla fine, lo avevano soprannominato il Diavolo Rosso, un combattente temuto e famoso in tutto il Giappone. Grazie alle sue gesta si era anche guadagnato il grado di comandate di cavalleria. Aveva personalmente scelto i migliori cavallerizzi e guerrieri, poi li aveva fatti vestire tutti di rosso, proprio come lui. Erano noti come Akaoni: i Demoni Rossi.
Naomasa era fiero di ciò che aveva ottenuto, ma il futuro era più incerto che mai.
Due anni prima, infatti, il più grande signore del Paese, Oda Nobunaga, era stato assassinato. Nobunaga era l’artefice dell’idea dell’unificazione nazionale e aveva portato avanti questo suo obbiettivo con forza e violenza. Aveva combattuto infinite guerre, sottomettendo clan dopo clan, arrivando vicinissimo a divenire il primo signore assoluto del Giappone. Ma il destino aveva cospirato contro di lui. Tradito da un suo generale, Nobunaga era morto e, adesso, i suoi fedelissimi si combattevano l’un l’altro per la conquista del potere. Tra essi anche Ieyasu Tokugawa, il daymio a cui doveva tutto e a cui aveva giurato eterna fedeltà.
Dopo la morte di Nobunaga, il fronte interno si era spaccato in due. Da una parte il miglior generale dell’ex comandante in capo, Toyotomi Hideyoshi; dall’altra l’erede di Nobunaga, il figlio Nobukata alleato col clan Tokugawa. La pace era durata pochissimo e, in breve, le due fazioni si erano date battaglia per stabilire chi doveva succedere all’ex comandante supremo, se Toyotomi o Nobunaga.
Naomasa sapeva bene che presto avrebbe dovuto combattere una nuova guerra, ma per il momento si sarebbe goduto la pace di quel luogo. Si trovava a nord, nella regione di Kozuke, in un piccolo castello dismesso che era divenuto il quartier generale delle forze Tokugawa. Quest’ultimo non era ancora giunto al castello, pertanto era ancora libero di riflettere e meditare. Abbandonando ogni pensiero sul futuro e sulla guerra, Naomasa camminò tra gli alberi in fiore e la natura rigogliosa dei giardini del castello, apprezzando ogni colore, ogni aroma, ogni suono che la vita gli donava. Un samurai era pronto a morire in ogni istante e, proprio per questo, era ancora più sensibile alla bellezza della vita. Gli venne d’un tratto la voglia di comporre un haiku, le poesie brevi che tanto erano apprezzate dai guerrieri. Trovò un posto tra due rocce piene di muschio che si affacciavano su un piccolo rivolo d’acqua. Vi si sedette con calma, apprezzando la bellezza di quel momento. Estrasse un foglio di pergamena e lo pose sulla roccia, poi si concentrò sul testo.
Aveva appena chiuso gli occhi quando un rumore alle proprie spalle lo fece voltare. Gli anni di dura guerra avevano affinato sensi e riflessi, ma mai si sarebbe aspettato una tale visione. Era una donna. La sua bellezza lo colpì come una freccia trapassandogli il cuore. Il volto era delicato, gli occhi nocciola erano dolci e profondi. I cappelli corvini erano sciolti e smossi dal leggero vento primaverile. Naomasa non riuscì a dire una sola parola.
La donna rise dinnanzi a quella reazione e il suo sorriso fu il suono più bello che il samurai avesse mai udito.
«Perdonatemi, mio signore, ma il generale Honda vi stava cercando» disse la donna con voce melodiosa.
Naomasa si alzò imbarazzato, per poi biascicare dei ringraziamenti. Prima di andare, tuttavia, le chiese quale fosse il suo nome. La risposta lo lasciò di sasso.
«Mi chiamo Aki Honda, sono la figlia del generale.»

Foto: pinterest.it


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