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Costume e SocietàLetteratura

Quando mia madre indossò la maglietta di Franz Beckenbauer


Edil Merici

Di Luisa Ranieri

Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?
Brillano tra le foglie cupe le arance d’oro,
Una brezza lieve dal cielo azzurro spira,
Il mirto è immobile, alto è l’alloro!
Lo conosci tu?
Laggiù! Laggiù!

Se è vero che nel 2014 frau Edith Koerber, direttrice del Sett di Stoccarda, chiese a Francesco Pileggi di ideare e allestire uno spettacolo teatrale  sull’emigrazione che partisse, come ispirazione, dalla poesia di Johann Wolfgang von Goethe La terra dei limoni, è anche vero che la risposta che l’autore fornì prima col suo Als meine Mutter Beckenbauer’s Trikot trug ed oggi con il romanzo Quando mia madre indossò la maglietta di Franz Beckenbauer, non potrebbe essere stata (ed essere) più diversa.
Il paese dove fioriscono i limoni
, infatti, non è certamente quello stereotipato della poesia sopra menzionata ma quello interiore e spesso aspro di ognuno di noi.
Allo stesso modo, alto e profumato è l’albero da cui si mettono ad osservare e a cercare di comprendere la vita gli otto ragazzini protagonisti della vicenda, ma è anche pieno di spine e, se non viene rispettato, può seccare a tal punto da morire, posto com’è nel mezzo di quel campo minato che è la vita e che, nella finzione narrativa, viene metaforicamente rappresentato come un campo di calcio.
E ai ragazzini che vi si radunano sopra, in una libertà che sa di abbandono  in quanto figli di padri emigrati e di madri affaccendate a portare avanti la casa, il mondo parla solo attraverso la radiolina dell’amico Pepe che li mette in connessione con alcuni dei fatti terribili dei tempi a loro più o meno contemporanei come il crollo delle Torri Gemelle a New York, l’uccisione di Salvador Allende in Cile e la successiva, macabra magia di Augusto Pinochet, capace di far scomparire in men che non si dica ben quarantamila oppositori.
Ma imparano anche cos’è il vero coraggio, che è quello di inseguire il proprio sogno come il funambulo Philippe Petit che aveva teso, prima del loro crollo, il suo filo sopra le Torri Gemelle a “quattrocentodiciassette metri e mezzo da terra” e tra le nuvole lassù si era sentito leggero e felice.
O come il calciatore tedesco Franz Beckenbauer, che il 17 Giugno del 1970  aveva giocato in Messico “la partita di calcio più bella che mai sia stata giocata da quando una palla rotola su questa terra.”
L’aveva giocata con il braccio lussato legato stretto al busto e la mano  appoggiata all’altezza del cuore.
Era per non farlo scappare, il cuore… di sicuro.

Così non ti scappa il cuore, Franz, così tutti lo vedono che qui c’hai un cuore, che ce l’abbiamo tutti un cuore.

Il calciatore indossava la maglietta nº 4 e il piccolo Francesco, da allora Franz, farà di quella mano sul cuore il punto fermo intorno a cui organizzare la propria vita.
E la data dell’11 Settembre sembra voler unire, pur se in spazi temporali diversi, l’orrore delle Torri Gemelle con quello della morte di Allende e il cinquantesimo compleanno dell’eroe Beckenbauer.
E così, da soli, attraverso l’esperienza ascoltata e quella vissuta anche in prima persona, i ragazzini del romanzo che, come tutti i loro coetanei del mondo sono, secondo la definizione di Elsa Morante, “i soli che si interessano alle cose serie ed importanti”, scoprono e vivono anche sulla propria pelle gli effetti funesti dell’odio e della violenza.
E vi si ribellano, guidati non dall’eroe Ulisse che, approdato sul litorale tirrenico della Calabria ordina ai suoi marinai di trasferirsi, barca in spalla,  con lui, sul versante Jonico per poi proseguire verso Itaca, ma dai marinai stessi che, assaporata la dolcezza e l’ospitalità dei luoghi finalmente raggiunti, decidono di fermarsi per sempre in essi.

Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?
[…] Lo conosci tu?
Laggiù! Laggiù!

Quel laggiù, laggiù rappresenta, dunque, l’unico vero punto di incontro tra la poesia di Goethe e il romanzo di Pileggi in cui non solo i marinai di Ulisse ma anche l’ormai adulto, emigrato, Franz, prendono la decisione di fermarsi o di tornare, come risulta dalla tacita confessione di quest’ultimo al Kaiser-Franz Beckenbauer

Io devo tornare giù, Franz, piantare un albero di limoni. È ora di tornarsene giù, con una barca sulle spalle. Per arrampicarsi di nuovo.

L’ho letto tre volte, questo libro di Francesco Pileggi, che più che un romanzo mi si è presentato come un’appassionante opera teatrale, tutta incentrata su dialoghi fitti-fitti che fanno scaturire la verità delle cose. E lo leggerò ancora e ancora a tutti quei pazzi che nella vita inseguono i propri sogni, masticando bocconi amari tutte le volte che hanno visto o vedono inaridire, per la prepotenza e l’odio altrui, il campo dei limoni di cui si sono nutriti e in cui sono cresciuti, ma che non hanno mai voluto e non vorranno mai abbandonare.

Foto di copertina: oltreilbalcone.com


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