Di Massimo Pedullà
Quell’unico e solo rumore in quel silenzio,
il ticchettio della sveglia
uguale a quello di prima
e uguale a quello di sempre.
Un velo d’ombra mi ingombra la mente,
in quel catoio dove il tempo
sembra non essere mai passato,
il volto di mia madre sempre più scavato,
e quella misera carne sempre più cadente,
sulle sue povere ossa morenti.
Madre, che dentro alle tue mura
tanto patisti,
urla nel vuoto urlasti
e di pene e tormenti ti nutristi.
Di certo la sorte con te non si è donata tanto.
Sorrisi e battute di spirito allegro regalavi
in quelle strette viuzze del Borgo monacale,
non facevi pesare i tuoi mali ad altri
e in tua vita a nessuna modernità
ti attaccasti.
Un’ amara crescenza, la mia,
in quell’umile casa che tanto ci accomuna,
volta al tramonto, a quei tramonti sbiaditi
e per te privi di colori e tutti uguali.
Un camminare sempre con gli occhi miti
in basso, il mio,
ringraziando ogni volta che alzavo la testa
chi mi volgesse lo sguardo.
Forse meglio così, madre mia,
che altri modi, quelli invasivi e cattivi
di quegli altri con l’animo impadronito
dal male, i ladri rubanti
dell’altrui vita.
Foto: korian.it