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Costume e SocietàLetteratura

Il momento in cui mi sentii parte di Natalina

Наталина - Solo due mesi d’amore


Edil Merici

Di Bruno Siciliano

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Lei guardava fuori dal finestrino e tutto doveva sembrarle bello e nuovo. Mi diressi verso Ganzirri, costeggiando la Fiera. Avrei potuto accostare e portarla nel piccolo parco proprio lì accanto, ma la volli accontentare e la portai in direzione di Mortelle. La strada si restringeva un po’ mentre costeggiavamo punta Faro e lei continuava a meravigliarsi di tutto quello che vedeva, sembrava una scolaretta alla sua prima gita fuori porta. Percorrevamo la Statale 113. Sulla sinistra i muri a secco sembravano a stento arginare i terreni sovrastanti e, sulla destra, un filare di alberi e canne ci impediva a tratti la vista del mare che lei, invece, anelava vedere. Spinsi un pulsante sull’autoradio e la piccola utilitaria venne inondata da una musica moderna.
«No, spegni! Mi piace sentire il rumore del vento. Scusa». Eseguii e guardai ancora la sua felicità stampata sul suo volto di bambina. Costeggiammo negozi estivi ancora vuoti e grandi ville e case basse stagionali ancora disabitate e parcheggi ancora deserti. Arrivati a Casa Bianca, frazione di Messina, rallentai e mi immisi in un viottolo che ci avrebbe portato alla spiaggia. L’aiutai a scendere dall’auto. Indossava una mia camicia bianca e una gonnellino premaman di quelli che le avevo comprato il giorno prima, ai piedi un paio di sandalini, recente regalo di Zia Carla. Era uno splendore e la presi per mano conducendola verso la battigia. L’acciottolato le dava un po’ fastidio e si appoggiò alla mia spalla.
Un giovanottone in tuta da ginnastica he faceva jogging sulla spiaggia ci urtò.
«Vibachte, mis» disse il giovanotto.
«Tse nichogo» rispose lei sorridendo.
«Cos’ha detto?» chiesi a Natalina.
«Nulla – rispose lei. – Mi ha chiesto scusa e io ho risposto che non importava. È ucraino come me.»
Il ragazzone rallentò un poco e si voltò a guardarci, poi riprese la sua attività.
Natalina, intanto, si era tolta i sandali e, a piedi nudi, s’incamminò sicura verso le onde facendosi lambire i piedi dall’acqua del mare ancora fredda ma piacevole. Notai che la sua felicità aveva adesso un velo di tristezza.
«Cos’hai?» le chiesi.
«Nulla – rispose prontamente. – ;a è che io quel ragazzo lo conosco, l’ho già visto parlare con Misha, il padre di Lara. Parlarono a lungo qualche notte prima della rapina, quasi litigavano. Poi non lo vidi più.»
«Ma sei sicura? Forse lo confondi con qualche altro!»
«Ne sono sicurissima, non potrei mai dimenticare quella cicatrice sulla sua guancia sinistra.»
Per tutta la sera quel velo di tristezza non l’abbandonò mai e si stringeva spesso a me come in cerca di protezione, mentre i suoi occhi scrutavano il mare calmo che le lambiva i piedi.
«Non si vede, da qui, la madonnina del porto, peccato» disse con un accenno di delusione negli occhi. Poi il suo sguardo si spostò verso le colline alle nostre spalle che degradavano dolcemente fino al mare costellate di ulivi, aranci e fichi d’india.
«Starei qui tutta la vita. Ma quant’è lunga una vita?»
Poi poggiò di nuovo il suo capo sul mio petto, mentre un profumo di buono aleggiava nell’aria. Salsedine, certamente, ma anche la fragranza dei fiori che a tratti spuntavano nei campi che circondavano le villette basse e bianche ai margini della spiaggia.
Restammo così, a lungo abbracciati fino a che il sole non tinse di rosso il mare calmo e infinito. Poi fu lei a dirmi: «Andiamo? Ho un po’ di freddo e mi è venuta fame». Disse questo con un sorriso infantile, toccandosi il pancino come per dire che anche Lara avrebbe voluto qualcosa di buono da sgranocchiare.
Ci rimettemmo in macchina e lei, dal suo sedile, si avvicinò a me più che potè e appoggiò di nuovo la sua testa sulla mia spalla.
«Troviamo una pizzeria, offro io. Lo so che non hai più soldi perché hai speso tutto per me» e mi diede un altro bacio sulla guancia. Poi, per un po’, stette in silenzio guardando fuori dal finestrino dell’auto le vetrine che cominciavano ad accendere le loro luci e la gente che si accingeva a tornare a casa.
D’un tratto mi disse: «Fermati, ho bisogno di parlarti guardandoti negli occhi». Io rallentai, misi la freccia e accostai. Lei, non appena fermi, mi prese la testa tra le sue mani, mi guardò seria, dritta negli occhi, poi, con fare solenne mi disse: «Promettimi una cosa. È una cosa importante, è un impegno che ti chiedo.
Giurami che non ci abbandonerai mai. Giuralo su quello che di più sacro hai al mondo.»
«Non ho proprio niente di sacro su cui giurare – le risposi, quasi vergognandomi. – Ma, te lo giuro, io non vi abbandonerò mai.»
Tenendomi sempre la faccia tra le sue mani, lei avvicinò le labbra alle mie e mi diede un bacio lungo e appassionato. Non aveva nulla di sensuale, non c’era sesso, ma solo amore. Era come se attraverso quel bacio lei avesse voluto fondere le nostre due anime. Può un bacio fare tutto questo? A distanza di anni ne sono sicuro e posso affermare quanto questo possa essere possibile.
Da quell’istante io mi sentii parte di Natalina.
«Passeggiamo un poco fino a che aprono le pizzerie?»
La mia auto era ormai parcheggiata perfettamente in disordine per cui scesi dalla Panda e le aprii lo sportello per aiutarla a scendere.
Ci incamminammo verso un negozio che aveva da qualche istante illuminato la sua vetrina. Le piacque in particolare un abitino a fiori grandi quasi estivo molto semplice che un manichino dal vitino di vespa indossava. Poi continuò a guardare i vari accessori disseminati in basso nella vetrina, le borse, le scarpe, le cinture e i foulard coloratissimi ed eleganti.
La sera calava lenta e anche le auto nel traffico cittadino sembravano rallentare la loro corsa per far godere più a lungo la pace e la bellezza della sera che presto avrebbe lasciato il passo al manto della notte.
Una pizzeria proprio di fronte al negozio aveva, intanto, aperto le sue porte mentre un cameriere un pò tarchiato metteva fuori un coloratissimo cartellone col menù.
Io la presi per mano. «Entriamo?” le chiesi e ci incamminammo verso l’interno della pizzeria.
Ci venne incontro un cameriere tarchiato e calvo che aveva una vistosa macchia di pomodoro sul grembiule.
«Buona sera signori! Prego, accomodatevi». Ci disse scostando appena una sedia da un tavolo a caso.
«Porto intanto qualcosa da bere?» disse il cameriere mentre ci allungava due menù plastificati.

Continua…

Foto: lavocedeltrentino.it


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