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Costume e SocietàLetteratura

L’arrivo in Kazakistan

La tela del ragno


Edil Merici

Di Francesco Cesare Strangio

Il pallore delle foglie degli olmi indicava l’avvicinarsi dell’inverno. Le foglie più vecchie, come natura vuole, iniziarono per prime a staccarsi dai rami per intraprendere l’ultimo viaggio prima di unirsi alla terra. A quella vista, la mente dell’italiano volò alta nell’intento di scrutare l’impenetrabile dimensione della vita e della morte, dell’essere e del tempo.
L’uomo porta con sé l’illusione di vivere gioendo di quella luce ammainante delle cose che appaino belle, per poi perdersi miseramente nella disperazione dell’esistenza. Il pensiero di quel processo dicotomo lo rattristò a tal punto da farlo ammutolire.
Era la domenica mattina e il traffico era praticamente inesistente. Quando mancavano poco meno di quindici minuti per raggiungere l’aeroporto, si prestò ai loro occhi una scena poco piacevole: sull’asfalto vi era un cervo riverso con la testa fracassata, poco distante un’auto capovolta nella roggia che costeggiava la strada. Fermarono l’auto per prestare i primi soccorsi, sempre se ve ne fosse stato ancora bisogno, a chi si trovasse nell’abitacolo del veicolo. Imprigionato fra le lamiere, il conducente lamentava dolore alle gambe, alla schiena e alla testa. Gli domandarono cosa fosse successo. La risposta che diede fece capire che il mal capitato versava in totale stato confusionale. Si trattava di un uomo sui quaranta che faceva ritorno in Ungheria.
I tre adagiarono l’uomo sul sedile posteriore dell’auto e lo accompagnarono al primo pronto soccorso che, per loro fortuna, si trovava nei pressi dell’aeroporto.
Il tempo, impietoso, veniva sempre più a mancare; attardarsi ulteriormente significava perdere l’aereo. Lasciarono l’uomo alla cura dei medici e dopo aver parcheggiato l’auto, si precipitarono a fare il check-in. Gli altoparlanti dell’aerostazione annunciavano, con voce rauca, l’ultima chiamata per Akmola.
Arrivarono di corsa al gate. Il battito del muscolo cardiaco si fece sentire con forza; sembrava come se il cuore avesse cambiato la sua naturale posizione, tanto da dargli la sensazione che se ne volesse uscire dal petto. La temperatura corporea salì notevolmente fino a raggiungere valori prossimi a quelli del cavallo. La reazione istintiva fu di togliersi il soprabito e poi la giacca. Il freddo sembrava essere svanito nello stesso modo di com’era arrivato.
All’arrivo c’erano i due addetti al gate che li attendevano… tempo un attimo e il gruppo guadagnò la porta che dava verso l’aereo.
Il percorso che portava all’aeroplano era condizionato da una doppia staccionata in metallo. Una volta entrati nell’aereo i tre si resero conto che non erano i soli a essere arrivati in ritardo giacché altre persone, ancora in piedi, si avvicendavano nel mettere le borse nelle cappelliere. L’hostess li sollecitò a fare in fretta poiché avevano accumulato un notevole ritardo. L’aereo sulla pista fece sentire la potenza dei motori, poco dopo decollò e Aquilino, mettendosi comodo sul sedile, cadde in un sonno profondo che lo accompagnò per tutto il resto del viaggio.
Dopo sei ore sospesi per aria alla quota di quasi quattordicimila metri, le ruote dell’aereo toccarono terra all’aeroporto civile di Akmola (Astana).
La città cambiò più volte nome dalla sua fondazione nel XVIII secolo: prima Akmolinsk, poi Tselinograd dal 1962 al 1992, dal 1992 Akmola fino quando il decreto presidenziale del 6 maggio del 1998 ne cambiò il nome in Astana.
L’hostess, dall’oblò del portellone, guardava per vedere se gli addetti avessero messo la scala. Dopo pochi minuti attivò la leva di apertura del portellone e, una volta aperto, entrò un leggero soffio di aria gelida: era il respiro della Siberia che accarezzò il volto dei passeggeri.
Prima di uscire dall’aereo, si avvolsero attorno al collo una spessa e lunga sciarpa di lana; Aquilino, nella fretta non portò con sé né sciarpa, né cappello, cosa che invece fecero i soci sloveni. Entrambi gli sloveni dimostrarono preveggenza portandosi dietro quanto necessario a affrontare la differenza di temperatura tra Slovenia e Kazakistan.
Nel tratto che andava dall’aereo all’autobus, Aquilino sentì congelarsi la fronte e la cervicale si fece sentire con delle fitte che gli provocarono capogiri: quei segnali erano un evidente sintomo che lasciava presagire guai seri.
Al controllo dei documenti c’era una fila interminabile, ma in compenso il riscaldamento andava a regime.
La temperatura esterna era poco al dì sopra dei dieci gradi sotto lo zero, i pochi alberi che si vedevano attraverso l’ampia vetrata erano imbiancati e piegavano i loro rami sotto il peso della prima neve. Era appena iniziata, anche per loro, la fatica di un lungo inverno.
Le lunghe passeggiate sul lungomare di Salerno si fecero strada nella mente di Aquilino: solo due giorni prima il clima mediterraneo gli aveva permesso di indossare la maglietta a maniche corte.
Fuori dall’aeroporto, ad attenderli, c’erano un uomo e una donna, perfettamente intabarrati con abiti che da noi erano fuori moda da almeno un decennio. L’uomo aveva all’incirca cinquant’anni, la donna, a occhio, non andava oltre i ventisei: i due portavano in volto i tipici lineamenti dei mongoli.

Continua…

Foto: viaggi.it


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