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Costume e SocietàLetteratura

La storia di Asclepio

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri


Edil Merici

Di Giuseppe Pellegrino

Coronide, figlia del re dei Lapiti, era amante di Apollo. Dovendo il dio recarsi a Delfi, ne affidò la guardia a un corvo dalle penne bianche. Coronide, sebbene già incinta di Apollo, si era invaghita di Ischi (l’etimologia deriva da ixias-forza) e ne divenne l’amante. Apollo ne divinò l’infedeltà prima che il corvo gli portasse la notizia. Per questa sua disattenzione e perché non aveva provveduto ad accecare l’uomo, Apollo maledisse il corvo, le cui penne divennero perciò nere. La vendetta si estese pure a Coronide, che fu uccisa dalle frecce di Artemide, sua sorella. Poi, però, il dio si pentì del gesto e chiamò Ermete in aiuto. La pira ormai bruciava il corpo, si poteva solo salvare il feto. Ermete fece partorire la donna che generò Asclepio. Poiché la madre era morta, Asclepio come nutrice ebbe una cagna di nome Ecate o Ecabe. Il nome Asclepio, forse, significa colui che pende dalla quercia esculenta, ossia il vischio, che simboleggiava i genitali della quercia, e in conseguenza quelli dell’uomo, tanto che quando i Druidi, con il loro falcetto d’oro lo staccavano dal tronco, volevano simboleggiare una sorta di evirazione.
Asclepio fu affidato alle cure di Chirone, che gli insegnò l’arte medica, che imparò pure da Apollo.
Da Chirone e da Apollo, Asclepio imparò soprattutto a maneggiare i ferri chirurgici e a capire i segreti delle erbe. Viene considerato il padre della medicina. I suoi poteri erano enormi, non solo perché guariva gli ammalati, ma anche perché aveva ricevuto due fiale contenenti il sangue della Gorgone e di Medusa, uno estratto dal lato sinistro l’altro dal lato destro. Con la fiala del sangue del lato sinistro, Asclepio dava la vita, con quello estratto dal lato destro la morte. Ma in qualche mito si sostiene che Asclepio tenne solo il sangue estratto dal lato sinistro. E perciò egli era solo Dio della vita. Quello estratto dal lato destro fu dato a Minerva, che se ne serviva per scatenare le guerre.
Nel corso della sua vita, Asclepio fu accusato di essersi fatto corrompere con l’oro e fu ucciso dalla folgore di Zeus. Che se ne pentì; lo fece resuscitare  e gli diede poi la divinità.
Asclepio fu il padre di Polidario e Macaone (oggi simboleggiati dai Santi Cosma e Damiano), i medici che assistettero i Greci durante l’assedio di Troia. I Latini lo chiamavano Esculapio. Il simbolo di Asclepio fu il serpente, non solo in quando eroe oracolare, ma anche, e soprattutto, perché il serpente,  cambiando pelle ogni anno, era simbolo di rigenerazione. La cagna e la capra erano il suo segno distintivo. La prima perché lo aveva allattato e aveva nome Ecate o Ecabe. La seconda, cara anche a Persefone, rappresentava forse Atena, madre putativa di Asclepio. Vi era un’altra attinenza con Persefone: il salice, nella varietà del cosiddetto agnus cactus. Dalla scorza dell’albero veniva preparata una droga amara che curava i reumatismi. I rami dell’agnus cactus venivano sparsi sui letti delle donne maritate durante le Tesmoforie (la seconda festa di Persefone) e rappresentavano la festa della fertilità. Lo scopo dell’agnus era quello di tenere lontani i serpenti nella forma, nella sostanza per attirare gli spiriti dei defunti in forma di serpenti.
Il simbolo di Asclepio era il bastone a forma di serpente. Spesso viene indicato il caduceo, ma erroneamente. Il caduceo (significato: insegna dell’araldo) era simboleggiato da una verga con due serpenti simmetrica-mente intrecciati e terminante con due ali spiegate (5º secolo a.C.). In tempi più antichi, invece delle ali, vi erano due cerchi di cui uno chiuso ed uno aperto in alto. Era simbolo di prosperità e di pace, attributo degli araldi, ma era legato a Mercurio. Spesso lo si vede nelle farmacie, ma come simbolo è errato.
I sacerdoti di Asclepio erano tutti medici, soprattutto chirurghi. Ma il rito dell’agnus cactus porta a concludere che fossero specializzati nella cura della sterilità.
Non è il caso di fare paralleli approfonditi, ma solo accennare alla corrispondenza del culto di Asclepio con quello di San Rocco di Casignana e dei santi Cosimo e Damiano di Monestarace. San Rocco, nella statua venerata, ha accanto a sé un cane e una ferita alla gamba. Ecabe era la cagna dalla quale Asclepio aveva allattato.
La cagna simoleggia, come la Lupa per Romolo e Remo, la prostituta che lo ha allattato. Con il termine cagna si indicava presso i Greci in genere la donna che, come un cane, vive del pane del padrone ed è mantenuta. San Rocco ha sempre accanto a sé un cane e mostra una gamba (la sinistra, se non si va errati) con una ferita: simbolo, questo, di colui che guarisce le piaghe.
Polidario e Macaone sono i figli di Asclepio, medici chirurghi, fratelli, rappresentati oggi nelle vesti dei santi Cosma e Damiano.
Ma non è il solo richiamo. Alla festa di San Rocco, come quella di San Cosma e Damiano, tanti vanno a chiedere la grazia, che invocano con le preghiere e con le figuline. Ai piedi del Santo o dei Santi, vengono depositate figuline con braccia, gambe, cervello, cuore e via discorrendo a seconda della parte del corpo che è ammalata e si deve curare. Così per Asclepio, per come si vedrà nella parte romanzata.

Foto: wikimedia.org


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