Genesi delle misure di prevenzione
Breve storia giuridica della confisca dei beni
Di Enzo Nobile e Francesco Donato Iacopino
Le misure di prevenzione o misure di sicurezza ante delictum, basate esclusivamente sul mero sospetto, per come già anticipato, non hanno trovato collocazione nel codice Rocco, né l’avevano trovata nel codice Zanardelli.
Le ragioni di tali esclusioni non sono certamente da ricercare nell’avversione dei giuristi e del legislatore dell’epoca verso tali misure, bensì, più semplicemente, sul presupposto che essendo antecedenti a un fatto reato e, quindi, basandosi esclusivamente sulla pericolosità soggettiva e non, anche, su quella oggettiva come le misure di sicurezza, sono incompatibili con il nuovo sistema penale.
Secondo costoro dette misure di sicurezza erano in contrasto con due corollari del principio di legalità, ossia quello di tassatività e quello di irretroattività della legge penale, secondo i quali si può essere condannati solamente per un fatto previsto dalla legge come reato e, solamente dopo l’entrata in vigore di tale legge, non certo per meri atteggiamenti interiori o per delle condotte di vita.
Però la scelta di espungere le misure di prevenzione dai summenzionati codici, anche se dettata dall’esigenza di dare una formale compiutezza e coerenza ai principi del liberismo, non è stata molto gradita ai poteri giudiziari maggiormente rappresentativi dello Stato, che erano assolutamente restii a rinunciare agli effetti sanzionatori derivanti dalle misure ante delictum, tant’è che lo stesso legislatore che promulgò il Codice Zanardelli ebbe a introdurre nel nostro ordinamento anche le misure di prevenzione, assegnando loro la qualifica di sanzioni amministrative e acconsentendo, in tal modo, a che le stesse venissero applicate senza alcuna garanzia giurisdizionale.
L’avversione a rinunciare a un si forte strumento di repressione politica e di controllo delle masse, infatti, si manifestò già all’indomani dell’unificazione d’Italia, con la cosiddetta Legge Pica del 1863 e, da quel momento in poi, rappresentò una costante di tutti i poteri succedutisi nel Governo del nostro Paese, compresi quelli del periodo post fascista.
E tale avversione alla rinuncia a tale strumento giuridico ha portato all’attuale sistema di misure di prevenzione, anche di tipo patrimoniale.
La prima di dette leggi regolanti le misure di prevenzione fu, per come anticipato, la legge 1.409/1863, ossia la legge meglio nota col nome del suo promotore, il deputato abruzzese Giuseppe Pica.
Tale legge, inaugurando la lunga e attuale stagione della legislazione d’emergenza, oltre a introdurre i reati di brigantaggio e camorrismo, punibili anche con la fucilazione e giudicabili dai Tribunali militari, introdusse anche, per la prima volta nel nostro ordinamento, la misura preventiva personale del domicilio coatto, individuando, al suo articolo 4, quattro diverse categorie di soggetti socialmente pericolosi cui tale misura era applicabile, ovvero:
- gli oziosi;
- i vagabondi;
- le persone sospette;
- i manutengoli (chi supportava l’azione delittuosa senza prenderne direttamente parte) e i camorristi.
La successiva L nº 2.248 del 20/03/1865 (Primo Testo Unico di Polizia di Stato post unitario) introdusse “l’ammonizione” per i vagabondi recidivi e per gli oziosi sospettati della commissione di alcuni reati.
Oltre all’ammonizione, il TU del 1865 introdusse il “confino” per i dissidenti politici, che consisteva nell’obbligo del lavoro in una colonia penale oppure in un comune diverso da quello di residenza, per un periodo che poteva andare da uno a cinque anni (art. 185).
Onde conferire una certa parvenza di legalità alla regola del sospetto, sottostante a tali misure, la cui applicazione rientrava tra i poteri degli organi di polizia o militari, nel 1871 venne promulgata la L nº 294 che, sottraendola ai precedenti titolari, attribuiva la competenza all’irrogazione delle misure di prevenzione al Ministero dell’Interno e, in minor misura, ai prefetti. Con tale legge, inoltre, il confino venne esteso anche agli ammoniti.
Dopo l’emanazione del successivo TU del 1889, che estendeva, ulteriormente, il confino ai diffamati, la L nº 316 del 1894 (cosiddetta Legge Crispi) al fine di reprimere le agitazioni contadine e operaie, appoggiate dai Socialisti e dal Partito dei lavoratori Italiani, particolarmente attivo in Sicilia, sempre con legge eccezionale, introdusse forti limitazioni alla libertà d’espressione e di associazione, introducendo, agli art. 3 e 4 di tale legge, l’arresto preventivo e il domicilio coatto per coloro che avessero manifestato la volontà di “commettere vie di fatto contro gli ordinamenti sociali”.
Con il successivo art. 5 della L nº 3.167/894, inoltre, venne introdotto il divieto di “associazioni e riunioni che abbiano per oggetto di sovvertire per vie di fatto gli ordinamenti sociali”, a mezzo del quale, ad esempio, il 22 ottobre del 1894, venne decretato lo scioglimento di tutte le organizzazioni socialiste.
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