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Costume e SocietàLetteratura

Il crocefisso

Наталина - Solo due mesi d’amore


GRF

Di Bruno Siciliano

⚠️ ATTENZIONE!
Scorri in fondo all’articolo per ascoltare questo capitolo del romanzo letto dalla viva voce di Bruno Siciliano!

Avevo sempre voluto un’auto decappottabile, ma non degli anni ’90. Al contempo avevo urgente bisogno di un mezzo di locomozione, per cui accettai il quasi regalo, mi misi d’accordo con la Parretta, che da qualche minuto e per qualche ora era diventata perfino gentile, poi accesi il PC mentre Terenzio faceva il suo ingresso come una furia in ufficio.
«Sto venendo dalla polizia, c’è stata una rapina al Centro commerciale a Tremestieri e poi hanno trovato un cadavere al porto. Io vado a Tremestieri, tu andresti al porto?»
«Detta così come faccio a dirti di no?»
«La macchina fotografica ce l’hai?»
«Sempre con me. E poi c’è pure il telefonino, non ti preoccupare!»
Un cadavere al porto. Era da tanto che non succedeva. Poi pensai: “Vuoi vedere che si tratta di Claudio?”
Poi alla segretaria senza età aggiunsi: «Parretta, mi presti la tua macchina?»
«Vorrei tanto dirti di no, ma il dovere… E poi abbiamo fatto un accordo, no?»
«Grazie, Parretta. Sei unica!»
«Non me la sfasciare!»
«Caso mai ti resta sempre il Maggiolone!»
Non udii distintamente, mentre uscivo, il vaffanculo lanciatomi dalla Parretta, ma lo percepii incassandolo tutto intero.
Misi in moto la BMW X1 della Parretta il cui rombo mi entrò nell’anima. Quando me la potrò permettere una bestia così?
«Mai!» dissi ad alta voce mentre aprivo il finestrino per far uscire un po’ del vomitevole profumo che avvolgeva tutto l’abitacolo dell’auto. Il posto, in macchina, non è molto lontano da Via Cairoli ma, giunto alla cortina del porto, non riuscivo a vedere nulla di strano. Dunque chiesi a un vigile urbano indicazioni sul punto dell’omicidio e mi indicò lontano, verso la Madonnina.
«È là, alla Chiesetta di Santa Barbara e non è un bello spettacolo.»
Non ci misi troppo ad arrivare. C’era ancora la polizia e un numero considerevole di curiosi che mi impediva la vista del luogo del crimine.
«Stampa!» dissi a un agente che si trovava là per limitare l’afflusso dei curiosi.
«Passa – mi disse – Ma non fare troppe foto, non è una cosa edificante!»
Parcheggiai alla meglio, com’è mio costume, e continuai a piedi fino al sagrato della Chiesetta.
«Mario, che cosa è successo?» chiesi ad un agente mio amico.
«Mancavi proprio tu per completare il caravan serraglio! Va, vedi se anche gli altri ti fanno passare.»
Mi feci spazio tra la gente e lo vidi. Era stato pietosamente coperto da un telo bianco abbondantemente insanguinato, crocefisso a terra con quattro paletti che gli attraversano le mani ed i piedi.
«Chi era?» chiesi ad un altro agente.
«E tu chi sei?» mi chiese di rimando lui.
«Sono Bruno Greco, del Giornale» dissi con fare professionale facendo vedere il tesserino.
«È Claudio Mancuso, un omosessuale. L’hanno conciato proprio per le feste. È stato torturato a lungo, poi l’anno crocefisso là sul sagrato e infine l’anno strangolato.»
«Ma non ha attirato l’attenzione con le urla?»
«Gli hanno forzato in bocca uno straccio imbevuto di benzina.»
«Una vendetta?»
«Non ha mai dato fastidio a nessuno, non faceva uso di droga e non era neppure schedato. Forse un omicidio per motivi passionali.»
«Alla faccia dell’omicidio passionale! Ci sono volute almeno tre persone per realizzare tutta ‘sta bella impresa!» risposi.
«Allora stavolta veramente la polizia brancola nel buio – disse l’agente con amarezza, – perché nessuno di noi riesce a raccapezzarsi sul perché di una porcata così grossa. Non ho mai visto una cosa così, e sono trent’anni che lavoro in polizia.»
Feci svogliatamente qualche foto da lontano. Chiesi ancora un po’ in giro poi mi avviai alla macchina. Avevo lo stomaco in subbuglio e mi fermai dopo qualche centinaio di metri sul ciglio della strada per vomitare.
Ma che persone sono, queste, per uccidere così un povero disgraziato che ha la sola colpa di volere bene alla persona sbagliata?
Tornai in ufficio, riaccesi il PC e cominciai a scrivere l’articolo.
Il cursore lampeggiò a lungo prima che io pigiassi qualche tasto per creare una frase in italiano. Del resto che cosa avrei dovuto scrivere? Che io avevo salvato e curato l’inconsapevole responsabile dell’omicidio di Santa Barbara? Che sapevo chi ne era il mandante? Che il nome di quest’ultimo mi era stato confidato da una piccola ragazza ucraina incinta che io avevo curato, accudito e nascosto a casa mia e che la stessa era a sua volta responsabile di una rapina in banca i cui soldi erano nell’armadio di casa e poi anche che amavo quella ragazza raccattata una notte in Via La Farina mentre era moribonda?
Nessuno mi avrebbe mai creduto e, forse, la verità a molti non sarebbe neanche piaciuta. Allora scrissi che l’efferato omicidio probabilmente era stato perpetrato a opera di qualche setta, che la polizia era già sulle tracce dei feroci omicidi e che quindi l’opinione pubblica poteva stare tranquilla, perché presto sarebbero stati assicurati alla giustizia. Consegnai il pezzo alla Parretta, spensi il PC e mi vergognai di essere uomo.
Uscii dal giornale che erano da poco passate le quattro e un tenero maggio inondava di sole la città. Ero stato quasi tentato di sedermi in un bar del corso e ordinare una granita ma, nonostante avessi scelto di fare a piedi il percorso fino a casa, volevo vedere come stavano Monica e Natalina. Oltretutto la piccola ucraina stava per finire il tempo per il parto e da un momento all’altro poteva arrivare il giorno di Lara.
«Buonasera, professore.»
«Buonasera, signora.»
Tra tutte le persone che potevo incontrare in tutto il globo terracqueo, compreso i Fedayin della Palestina e i Mau Mau del Kenya, questa era l’ultima persona che avrei voluto incontrare. La signora Cornelia Valguarnera di Bagheria. Impicciona, petulante, antipatica, e sempre con la puzza sotto al naso.
«La trovo in splendida forma, complimenti! Lei è sempre un bell’uomo!»
“Questa sicuramente vuole chiedermi qualcosa – pensai tra me e me. – Mi conviene comunque d’essere gentile.”
«Signora lei è sempre troppo cortese con me. Cosa la porta a Messina?» domandai.
«Ho scritto un libro e fra due settimane farò una presentazione nel ridotto del Vittorio Emanuele e vorrei tanto che lei mi facesse da co-relatore. Ci sarà pure il Professor Alliata dell’Università, ma io vorrei che fosse proprio lei, con la sua esperienza di giornalista, a illustrare al meglio il mio libro.»
«Di cosa si tratta?» chiesi con poco interesse.
«S’intitola Migranti in Sicilia e tratta del fenomeno della migrazione di questi sventurati che scelgono le coste della nostra regione per terminare il loro viaggio della speranza. Sono stata due mesi a Lampedusa e ho raccolto storie, vicende e dati in un volume che è uscito qualche settimana fa. Guardi, ne ho con me una copia e sarei profondamente lusingata se lei lo volesse leggere e mi desse la sua illuminata opinione.»
Trasse dalla sua capiente borsa un libro che mi porse.
Cinquecentosessanta pagine che io avrei dovuto leggere e recensire in quindici giorni.
Quanto avrei voluto incontrare invece un Fedayin!

Continua…

Foto: alta-fedelta.info

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Gedac

Redazione

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