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Costume e SocietàLetteratura

Il giorno della festa

Наталина - Solo due mesi d’amore


GRF

Di Bruno Siciliano

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Scorri in fondo all’articolo per ascoltare questo capitolo del romanzo letto dalla viva voce di Bruno Siciliano!

Il rombo della mia auto non proprio nuova mi riempiva di piacere e di orgoglio. Un’auto decappottabile tutta per me. Non proprio tutta per me, ma anche per Natalina e Lara.
«Complimenti signor Greco, lei ha acquistato un bel ferrovecchio, vedrà che con il mio lavoro le sembrerà come appena uscita dalla fabbrica.»
Aveva detto Mastro Totò mentre mi riconsegnava le chiavi del Maggiolone.
Il motore andava che era una bellezza e solo qualche scricchiolio della carrozzeria rivelava, a tratti, la vera età della mia macchina. A volte la vista del mare alla mia destra mi era impedita dagli alberi e dalle canne che delimitavano la strada verso Ganzirri nel viaggio di prova della mia Volkswagen. Faceva caldo, erano gli ultimi giorni di maggio e il mese successivo che preludeva l’estate già faceva sentire la sua influenza con i raggi del sole che trafiggevano i vetri del maggiolone rimbalzando sulla carrozzeria per scaldarla piacevolmente. Ebbi l’istinto di abbassare la capote ma mi trattenni, avrei voluto riservare questo privilegio alle mie donne quando avrei loro fatto vedere il mio gioiellino. Natalina si stava rimettendo, nonostante i capricci di Lara, che ancora non aveva imparato che la notte era fatta per dormire e non per protestare.
La mia casa ospitava adesso una specie di famiglia allargata fuori da ogni regola. Monica aveva paura di mettere fuori il naso, per cui aveva deciso di trattenersi ancora, mentre Brook ci aveva confidato di non aver mai posseduto una casa vera, per cui non sapeva dove andare e le sarebbe piaciuto rimanere per un po’ a casa mia. Le due si beccavano in continuazione. La prima non sopportava i modi spesso inurbani della seconda e, pur nutrendo per lei inconsapevole affetto, la redarguiva continuamente. Natalina, da perfetta donna di casa, sovrintendeva a tutti i lavori, mentre Brook aveva scoperto la collezione di vini di Carla apprezzandola moltissimo.
Natalina mi aveva manifestato la sua intenzione di voler partecipare alle celebrazioni del 3 Giugno per la festa della Madonna della Lettera.
Parcheggiai sotto casa il mio maggiolone meravigliandomi di me stesso per il parcheggio preciso ed accurato. Erano anni che non mi capitava.
Lara dormiva nella sua carrozzina che profumava di talco, Natalina era bellissima e le stava attorno attenta ad ogni movimento della piccola. Monica era in cucina a sfaccendare e Brook ronfava nella, ormai, sua poltrona della sala. Aveva preso l’abitudine, come Lara, di dormire di giorno per stare sveglia di notte ma, mentre la piccola durante la notte frignava tenendoci tutti in allerta, Brook approfittava della notte per guardare fuori dalla finestra lontano, verso il mare e saccheggiare frigo e dispensa.
In quei pochi momenti di sonno che Lara mi concesse quella notte mi sembrò di trovarmi in salotto. C’era Brook seduta sulla sua poltrona, mi avvicinai. Ma non era più Brook, era Carla con un grande fazzoletto in mano macchiato di sangue perché le erano caduti dei denti che spiccavano bianchi tra le chiazze rosse del sangue. Carla piangeva calde lacrime, mi si avvicinò e mi abbracciò stretto, tanto stretto da togliermi il respiro. Non riuscivo a respirare, tanto che urlai nel sonno e, fortunatamente, mi svegliai. Ero madido di sudore e con il viso bagnato di lacrime. Quel sogno mi turbò moltissimo, ma l’alba del nuovo giorno mi rincuorò. Un raggio rosso di sole giocava con una goccia di cristallo del lampadario mossa appena dalla brezza marina che entrava dalla finestra appena accostata per poi rifrangersi in mille colori che si andavano a riflettere sull’armadio laccato di bianco.
Era la mattina del 3 di giugno, un caldo sole ormai quasi estivo inondava la città in festa. Tutto si ferma, a Messina, in quella data. L’alba era stata salutata da fuochi d’artificio che avevano svegliato Lara proprio mentre stava per prendere sonno, mentre una banda di suonatori raccogliticci percorreva le vie più interne della Città suonando fuori tempo marcette allegre. Un profumo di zucchero filato e mostaccioli appena fatti aveva invaso anche la nostra stanza da letto lottando col profumo di talco per la sua supremazia sugli altri profumi della casa. Monica era già in cucina intenta alla preparazione di una pasta alla Norma da manuale. Il sonno di Brook, invece, non era stato infranto neanche dai colpi di mortaio e dormiva placidamente nella stanza degli ospiti.
Come una vera famiglia pranzammo tutti assieme. Brook aveva trovato una vecchia moka e preparò scrupolosamente del caffè che aveva trovato nella credenza di Carla. Alle mie rimostranze sul fatto io preferivo quello della mia macchinetta con le cialde lei mi rispose che la  vecchia moka faceva famiglia, mentre la mia macchinetta era per gente egoista. Il profumo del caffè si sparse, infatti, per tutta la casa, evocandomi momenti che avevo dimenticato. La mia famiglia raccolta attorno al tavolo da pranzo, mia madre che versava il caldo liquido fumante nelle tazzine, le rimostranze di mio padre che lo preferiva nel bicchiere mentre la Zia Maria declamava antichi detti e il fumo del sigaro di mio padre si mescolava al profumo del caffè. Basta un’immagine per evocare ricordi sepolti in fondo all’animo, il colore di un vestito, un profumo, quello del caffè. Così quel giorno mi sembrò di aver pranzato con mio padre e mia madre e la mia famiglia come tanti, troppi anni prima.
Più tardi, Natalina si sarebbe preparata per il suo pomeriggio di festa. Ci teneva moltissimo ad andare a salutare la madonnina della Lettera, voleva farle vedere la sua Lara, voleva ringraziarla, lei che, come me non era, cattolica ma si era così tanto affezionata a quell’immagine così silente e austera eppure al contempo così rassicurante e materna.
Piazza Duomo non è lontana da casa nostra e preferimmo andarci a piedi. Lara, nella sua carrozzina, sembrava una bambolina. Ero orgoglioso e felice come non lo ero mai stato, una mano sulla carrozzina che spingevo con facilità per Via Garibaldi e il braccio a Natalina raggiante nel suo vestitino nuovo. Nulla poteva intaccare quella felicità.
«Professore, professore, non mi ha più telefonato.»
Era la signora Cornelia che tentava di interrompere il nostro cammino verso Piazza Duomo.
«Non si preoccupi, ci sentiamo domattina, le prometto che le telefonerò.»
Riposi all’elegantissima signora senza fermarmi.
Eccola, Piazza Duomo, gremita di gente e bancarelle fino all’inverosimile. Preti frettolosi che si recavano a celebrare la funzione, componenti delle confraternite con fasce vermiglie e lunghi camici bianchi o mantelle gialle a secondo dell’ordine di appartenenza sciamavano verso il monumentale Duomo. Rumori, suoni, vociare e inni sacri si mescolavano piacevolmente con i pianti dei bimbi, le acclamazioni di “Viva Maria” e il rintocco a distesa delle campane. Un turbinio festante di ogni cosa che si amalgamava al sorriso splendido di Natalina.
Un urlo di donna, inumano, prolungato e terribile interruppe tutto, d’un tratto, come in un brutto sogno…

Continua…

Foto di Alessio Villari

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Gedac

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