La Legge 1.423 e i fatti gravissimi del 1982
Breve storia giuridica della confisca dei beni

Di Enzo Nobile e Francesco Donato Iacopino
Una volta accertata la legittimità costituzionale delle misure di prevenzione personali e patrimoniali, per completezza argomentativa si procede rapidamente a ripercorre la loro evoluzione nell’era repubblicana, partendo dalla prima delle leggi emanate dopo l’entrata in vigore della Costituzione, al fine proprio di rendere dette misure compatibili con essa, ossia la Legge 1.423 del 1956.
Detta legge, emanata all’indomani della sentenza nº 2 del 1956 della Consulta, disciplina le misure di prevenzione personali da applicarsi a cinque categorie di soggetti pericolosi individuate dal suo primo articolo.
Tale normativa, nonostante sia nata per colmare il vuoto legislativo creatosi dopo la suindicata sentenza e per dare attuazione ai principi ivi indicati, non ha recepito appieno le indicazioni della consulta, tant’è che nel corso del tempo diversi articoli della stessa vennero dichiarati costituzionalmente illegittimi.
Le misure personali previste dalla L nº 1.423 erano tre, ossia:
- il rimpatrio con foglio di via obbligatorio;
- l’avviso orale del Questore, introdotto con la L 327/88 e sostitutivo della diffida;
- la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo o divieto di soggiorno.
Però, dinanzi al dilagare del fenomeno mafioso e all’evidente difficoltà a contrastarlo attraverso il processo penale e le sue regole, nel 1965 venne emanata la legge nº 575, che, al suo primo articolo, estendeva l’applicabilità delle misure personali previste dalla L nº 1.423 “alle persone indiziate di appartenere ad associazioni mafiose” e che introdusse nel panorama giuridico italiano la distinzione tra pericolosità comune (i soggetti indicati dall’art. 1 della L nº 1.423/1956) e pericolosità qualificata (quelli indicati dall’art. 1 della L nº 575 del 1965).
Successivamente, al fine di fronteggiare il terrorismo interno, nel 1975 venne promulgata la L nº 152 (cosiddetta Legge Reale) che, al suo art. 18, a distanza di appena trent’anni dall’abolizione delle misure di prevenzione miranti alla persecuzione politica, estendeva ulteriormente l’applicazione delle anzidette misure di prevenzione personali ai soggetti politicamente pericolosi, ossiacoloro che potrebbero porre in essere atti preparatori diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato.
La legge Reale, inoltre, con il successivo art. 19, estese l’applicabilità delle misure previste dalla L nº 575 del 1965 anche ai soggetti indicati dall’articolo 1 della L nº 1.423/1956, mentre col successivo art. 22 introdusse la misura patrimoniale della sospensione provvisoria dall’amministrazione dei beni personali per i soggetti indicati dall’art. 18 per un periodo massimo di 5 anni (rinnovabili), qualora risulti che la disponibilità di tali beni agevoli la condotta sovversiva.
Più tardi, in data 31 marzo del 1981, sotto la spinta emotiva del civil forfaittaire americano, venne presentata la proposta di L nº 1.581, il cui primo firmatario fu Pio La Torre.
Questo disegno di legge prevedeva l’introduzione di nuovi strumenti di lotta alla mafia e l’istituzione di una commissione parlamentare di vigilanza e controllo.
Ad appena un anno di distanza dal deposito in Parlamento di tale proposta di legge, l’Onorevole La Torre e il Prefetto di Palermo, Carlo Alberto Della Chiesa, caddero sotto i colpi dei killer di una mafia stragista.
Detti gravissimi fatti di cronaca diedero una maggiore spinta al percorso del progetto di L nº 1.581 che, in meno di un anno, grazie all’impegno dell’allora Ministro di Grazia e Giustizia Virginio Rognoni, venne riversato in due diversi provvedimenti legislativi, il Decreto Legge nº 629 del 06/09/1982, convertito con la L nº 726/82, che istituì l’Alto Commissariato per il coordinamento contro la delinquenza mafiosa, e la L nº 646/1982, meglio nota come Legge Rognoni/La Torre.
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