
Di Angelica Commisso
Il giudice penale deve giungere all’unica ricostruzione fattuale realmente ragionevole, poiché altrimenti permane lo spazio per una ragionevolezza contraria, ovvero il ragionevole dubbio, dovendosi invece pervenire a un accertamento qualificabile, appunto, “come l’unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio”. Quando il dato probatorio acquisito lascia fuori solo eventualità remote, formulabili e prospettabili, ma la cui realizzazione nella fattispecie concreta non trova il benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, il Giudice è legittimato a pronunciare condanna. Nessuna prova è in grado di eliminare il dubbio, ma se quel dubbio non appare ragionevole, allora si può provare quella colpevolezza. Il criterio in esame descrive un atteggiamento valutativo imprescindibile, che deve guidare il giudice nell’analisi degli indizi secondo un obiettivo di lettura finale e unitaria, vivificato proprio dalla soglia di convincimento richiesto. Per la sua immediata derivazione dal principio della presunzione di innocenza, esplica i suoi effetti conformativi non solo sull’applicazione delle regole di giudizio, ma anche, e più in generale, sui metodi di accertamento del fatto, imponendo protocolli logici del tutto diversi in tema di valutazione delle prove e delle contrapposte ipotesi ricostruttive in ordine alla fondatezza del tema d’accusa: la certezza della colpevolezza per la pronuncia di condanna, il dubbio originato dalla mera plausibilità processuale di una ricostruzione alternativa del fatto per l’assoluzione. Un criterio che non lascia spazio alla verosimiglianza e plausibilità, insufficienti all’affermazione di responsabilità. Una volta acquisite le prove il Giudice dovrà valutarle. L’accertamento del fatto acquisito con metodo scientifico attribuisce al Giudice un ruolo di controllore attivo del metodo seguito dall’esperto. Il Giudice, che riveste ruolo centrale del potere valutativo discrezionale, deve persuadersi che le prove raccolte col metodo scientifico (verificato e verificabile) siano idonee al convincimento circa la colpevolezza dell’imputato avendo il potere, comunque, di disattendere le conclusioni della prova tecnica stessa. L’assunzione della prova raccolta col metodo scientifico deve essere immune da vizi formali e sostanziali per l’utilizzabilità nel procedimento decisorio. Si pensi alla condanna all’ergastolo di Massimo Bossetti quale omicida di Yara Gambirasio, che poggia sull’attribuzione o esclusione del DNA della traccia all’imputato, il cui accertamento è avvenuto ad opera di esperti alle dipendenze di Pubblico Ministero in quanto ignoto era, al momento dell’accertamento, l’autore. In altri termini un controllo del dato scientifico affidato esclusivamente all’accusa e non consentito all’imputato. Ecco che la discrezionalità decisoria del Giudice poggia su una base di indeterminatezza valutativa arginata dalle opposte tesi dell’accusa e difesa e dalle ricostruzioni del fatto a opera delle parti avverse che deve avvenire (per come statuisce la Costituzione) con posizioni di parità. Le Sezioni Unite, in particolare e tra l’altro, hanno segnalato come la previsione dei diritti fondamentali dell’equo processo, così come delineati non solo dalla nostra Costituzione (artt. 25, 27 e 111), ma anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (artt. 47 e 48) e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (art. 6), si traduce nella creazione di una vasta area di garanzia dei diritti e delle facoltà della persona sottoposta a un procedimento penale. L’asimmetrica incidenza del principio del ragionevole dubbio, operante in favore del solo imputato, discende dalla scelta del nostro ordinamento costituzionale di delineare il processo penale come strumento di accertamento della colpevolezza e non dell’innocenza. Ecco che i metodi per l’accertamento del fatto assumono un ruolo fondamentale per la valutazione degli esiti ricostruttivi del fatto che si intende giudicare. Quindi la previsione normativa della regola di giudizio dello “al di là di ogni ragionevole dubbio”, trova fondamento nel principio costituzionale della presunzione di innocenza, codificando il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilità dell’imputato. Non si tratta, in buona sostanza, di un principio innovativo o rivoluzionario, ma della mera formalizzazione, con carattere ricognitivo, di una regola di giudizio già presente nell’esperienza giudiziaria del nostro Paese e, peraltro, già positivizzata. Solo il dubbio ragionevole può fondare una decisione che neghi la colpevolezza dell’imputato.
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Estratto da L’Eco Giuridico del Centro Studi Zaleuco Locri del 28/10/2022