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Costume e Società

L’onnipresente Aldo Moro


Edil Merici

Di Vincenzo Speziali

Ovviamente, di accadimenti da raccontare su Aldo Moro, ve ne sarebbero altri, ma come si può immaginare, in questa sede, non posso descrivere (solamente per brevità!) i fatti relativi al suo martirio, per mano dei fanatici, sovversivi, e infiltrati dalle potenze straniere nel nostro Paese, rappresentate con le fattezze delle canaglie brigatiste, che prima massacrarono la scorta e poi, dopo un’agonia morale di ben 55 giorni (dico, 55 giorni!) lo uccisero, rendendogli la morte uno strazio fisico, indicibile, causato proprio delle ferite (da arma da fuoco) inflittegli e che lo fecero sopravvivere ancora per quaranta minuti circa, tra immani sofferenze. Si ebbe, dopo quarant’anni, l’idea di colui che potesse essere una delle belve, certamente non quell’equivoco doppiogiochista di Mario Moretti, ma ne riparlerò in altra sede, certamente in maniera accurata, approfondita e reale, differentemente dalle scempiaggini messe in video da Marco Bellocchio, di cui è bene ricordare sia pure noto, quale estensore di quella colonna infame di false accuse che vennero mosse nei confronti di un altro uomo delle istituzioni, successivamente anche lui ucciso, cioè il commissario Luigi Calabresi.
Una cosa, però, è giusta farla emergere, in questo ritratto dedicato al presidente Moro (Moro, sempre Moro, solo Moro), ovvero la sua percezione realistica circa il pericolo che correva (e che correvano tutti!), oltre alle fosche ombre, pronte ad abbattersi su di lui, pur senza fermare la sua indomita e aamantina azione a favore della nostra Repubblica e di tutti i cittadini che la vivono ma, principalmente la compongono. Difatti, furono quasi un presagio, un triste presagio, le sue parole durante il dibattito sul (falsissimo, per la DC) scandalo Lockheed quando, il 7 Marzo del 1977, alle scempiaggini ma al contempo vere e proprie minacce di violenza e aggressione contro noi democristiani (da parte di molti facinorosi sinistrorsi extraparlamentari) un figuro meschino come Domenico Pinto (appartenente a Democrazia Proletaria), disse: «Nelle piazze, colleghi della DC, vi saranno processi diversi da quelli in quest’aula, con sentenze certamente più radicali.»
Venne, perciò, il momento della replica e la DC fu rappresentata dal suo capogruppo, quindi proprio lui, Moro, sempre Moro, solo Moro (assumendosi questo onere e relativo onore) prese la parola e, imposta la giusta difesa, proferendo coraggiose parole di legalità, onestà e superiorità morale (la nostra sì che lo fu!), con il seguente epilogo, noto a tutti: «Onorevoli colleghi che ci avete preannunciato il processo nelle piazze, vi diciamo che noi non ci faremo processare». Ecco, manifesta grandezza di una democristianità infinita, anche nel difendere lo Stato di Diritto, in modo consono e nelle sedi appropriate, non certo un satrapico rimbambito, che aizzava i suoi nominati parlamentari, in manifestazioni simili a pagliacciate, circondano il Tribunale milanese.
Quando noi democristiani ma pure gli alleati laici (socialisti, in particolare), venivamo falcidiati a suon di capziose indagini e speciose comunicazioni giudiziarie, i media del satrapo di cui prima, inscenavano caroselli e girotondi, dimenticando (coerentemente alla sua proverbiale ignoranza) l’anatema di un socialista perbene, cioè Pietro Nenni: «A fare a gara tra puri, trovi sempre uno più puro che ti epura»! Invece, per tornare al mio rapporto spirituale con il presidente, una riflessione finale e qualche episodio, lo devo raccontare, così, semplicemente, con sincerità e rinnovata devozione.
Lui c’era con me, nelle notti insonni, in cui il mio animo piagato, vagava nei corridoi di casa in Libano, a fronte di una barbaria ingiusta, frutto di un terroristico e sovversivo pseudo/neogiacobinismo (per di più d’accatto!) al quale mi sono ribellato (e si badi bene, continuerò a ribellarmi, sempre, comunque, benché, ovviamente, con gli strumenti dati e concessi, dalla legalità nazionale ed estera!). Sì, lui mi teneva, idealmente, per mano, asciugando qualche dignitosa e silenziosa lacrima, mentre dormivano Joumana e i miei figli (all’epoca piccoli, ma grandi nella compostezza e ancor di più nell’amore verso me tapino!), restando comunque assieme ed uniti, in tutti quei giorni, quelle settimane, quei mesi e quegli anni, in comunione di sofferenza. Già, con mia nonna e un altro martire, cioè il presidente Bettino Craxi, il presidente Moro era con me, a vegliare sul mio cammino e a sostenermi nella Fede, che mai ho abbandonato, ricordando le parole di San Paolo a Timoteo.
Passeggiando e riflettendo (anche grazie al fatto che a illuminarmi vi era, come vi è e sempre vi sarà, l’amore verso Dio Onnipotente con Gesù Santissimo) riprendendo i mille sospiri tra una sigaretta e un caffè, ripetevo, incessantemente, convintamente, seppur con dolore comprensibile: «Presidente mio, quanto sto ingiustamente passando è nulla rispetto al tuo martirio (e, anche, a quello di Craxi)». Lo ribadisco, Moro era con me e continua a esserci sempre, forse per un motivo banale, che però a me piace credere sia (pure esso!) il senso di questo nostro rapporto straordinario e cioè, nel dimostrare attraverso il sottoscritto (che è riuscito a farcela) che la luce da lui invocata (proprio nella sua ultima lettera!), esiste e al pari di quanto immaginava ed è bellissima! Sì, presidente, c’è questa luce e grazie ancora, anzi mi viene proprio da dirti: “e infine uscimmo a riveder le stelle”.

Foto: images.ctfassets.net


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