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Attualità

La macchina del fango e la negazione della verità

Pensieri, parole, opere… e opinioni


Edil Merici

Dei tanti temi trattati dall’appena conclusa edizione 2023 del Festival di Sanremo, quello più controverso (e, a mio parere, peggio dibattuto) è certamente stato quello emerso in seguito alla partecipazione alla terza serata della pallavolista Paola Egonu. Chiaro il messaggio che l’atleta ha voluto lanciare dal palco dell’Ariston (ed esplicitato ancora meglio in conferenza stampa): “L’Italia è un Paese razzista”. Meno limpido l’atteggiamento degli italiani nei confronti di Paola.
Il dibattito delle ore successive, infatti, è stato in linea di massima incentrato sulla negazione di quanto affermato da Egonu in forme e modi che, tuttavia, hanno finito con il dimostrare che la giovane abbia ragione da vendere.
L’argomentazione andata per la maggiore tra i detrattori di Paola è stata la più abusata in situazioni di questo genere: “Egonu deve all’Italia una carriera sportiva ai massimi livelli e, pertanto, dovrebbe evitare di denigrare un Paese che le ha offerto tanto.” Come se non avesse alle spalle un talento che le ha garantito di raggiungere quel livello e, soprattutto, come se rivestire un determinato ruolo obbligasse la chiusura di un’intera cartucciera di occhi dinanzi alle storture del Paese. Con i dovuti distinguo, sarebbe come affermare che un operaio (magari caucasico) non dovrebbe protestare contro il suo titolare d’azienda per non avergli concesso lo scatto di carriera che meritava perché, in fondo, gli paga comunque il minimo sindacale da vent’anni a questa parte. Inoltre, e qui arriva la prima conferma che Paola abbia ragione, il virgolettato che abbiamo riportato dimentica una cosa fondamentale: che Egonu è nata a Cittadella, comune italiano di 19.977 abitanti della provincia di Padova, in Veneto, e che quindi all’Italia non deve proprio nessuna offerta, considerato che si tratta di una cittadina italiana (ottenuta, peraltro nel 2014 e non alla nascita come avviene in qualunque altro Paese civile del mondo, ma questa è un’altra storia).
Ma siccome, anche se a parole siamo bravi ad affermare il contrario, il colore della pelle costituisce ancora una discriminante, andiamo in automatico sulla difensiva barricandoci dietro la logica dell’ospite indesiderato che pretende di dettare le regole a casa nostra. La massima espressione di questo atteggiamento ributtante è, come sempre, comparsa sui social, Twitter nello specifico, dove qualcuno si è permesso di fare dell’ironia meschina nei confronti dell’aspetto fisico della pallavolista (“proprio la classica bellezza italiana” ho letto in un intervento) o della sua presenza scenica solo perché non aveva davvero altri elementi ai quali attaccarsi.
Ma le considerazioni che ho trovato davvero ai confini della realtà sono state quelle espresse da un attore e regista (di cui non farò il nome in questa sede per evitare di fargli pubblicità, positiva o negativa che sia) che, in un video di un paio di minuti, barricandosi dietro la porta blindata dell’ironia, afferma, in sequenza, che Paola ci ha detto che siamo un Paese razzista “con un sorriso equino” e che (ma guarda un po’) “ce lo dice a casa nostra”. Per dimostrare, senza dirlo esplicitamente, che lui non è razzista, l’artista in questione proietta immediatamente in sovrimpressione una foto di lui con un gruppo di ragazzi di colore che ha incontrato a Zanzibar durante un progetto umanitario che (almeno questo) ha il merito di promuovere e che non ritengono che lui o gli italiani in generale siano razzisti. Ma allora, si domanda, perché Egonu la pensa diversamente? Perché non abbiamo senso di appartenenza. Abbiamo concesso a Paola la barca di soldi che le permette i trucchi e gli abiti costosi che ha sfoggiato a Sanremo per giocare a pallavolo (“palletta”, la chiama lui) e non abbiamo il fegato di opporci quando ci insulta. Se, prosegue il fenomeno, invitassimo a casa nostra qualcuno che, come varca la soglia, si mettesse ad affermare che abitiamo in una topaia e che nostro figlio è brutto, ci incazzeremmo. Non lo facciamo, invece, perché, in Italia, tendiamo ad attribuire le critiche a terzi, al cittadino italiano sporco e cattivo che, a differenza di Paola e dei giornalisti, non ha il pass per entrare all’Ariston. Ergo, prosegue il sedicente opinionista, il razzismo c’è, è vero, ma è esercitato proprio da Egonu (che prende un sacco di soldi per “giocare a palletta”) e dai giornalisti (che le battono le mani e sono pagati per scrivere fesserie) nei confronti dei poveri che sono obbligati ad assistere a tutto questo da oltre lo schermo della televisione.
Due minuti di populismo e luoghi comuni che hanno il merito di alimentare la pericolosissima macchina del fango che ha suo tempo già denunciava Roberto Saviano, studiata per fomentare la rabbia e l’odio per il diverso e giustificare quel razzismo che stiamo negando.
È vero, forse Paola avrebbe potuto (dovuto) uscire dal cliché delle differenze per non riaccendere la miccia della polemica, ma criticare le sue parole, il suo intervento (concordato con gli autori) e persino il suo stile di vita per dare credito alle ragioni di chi vuole privare di senso sua verità, non potrà cancellare il fatto che questa ragazza abbia alle spalle esperienze che l’hanno segnata e che oggi la fanno esprimere in termini che ci tocca accettare per fare in modo che al prossimo Festival si possa parlare finalmente di integrazione e non più di discriminazione.

Foto: open.online


GRF

Jacopo Giuca

Nato a Novara in una buia e tempestosa notte del giugno del 1989, ha trascorso la sua infanzia in Piemonte sentendo di dover fare ritorno al meridione dei suoi avi. Laureatosi in filosofia e comunicazione, ha trovato l’occasione di lasciarsi il nord alle spalle quando ha conosciuto la sua compagna, di Locri, alla volta del quale sono partiti in una altra notte buia e tempestosa, questa volta di novembre, nel 2014. Qui ha declinato la sua preparazione nella carriera giornalistica ed è sempre qui che sogna di trascorrere la vecchiaia scrivendo libri al cospetto del mare.

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