Di Luisa Totino
Diomedes, impaurito, tacque, ma cercò di bisbigliare a Dafne qualcosa: «Mia cara, ora che hai incontrato il tuo Arethos, potremmo tornare indietro. Se non saliamo in superficie succederà una catastrofe per l’intera Locri!»
E Dafne: «Non posso andarmene. Ora che ho ritrovato il mio Arethos non voglio lasciarlo!»
E Diomedes, sempre sottovoce: «Non puoi rimanere! Hai una vita da vivere, vieni via! Non puoi toccarlo, ricordi?»
Cercò di trascinarla per un braccio ma Dafne, per un attimo, si liberò e disse ad Arethos: «Non passerà giorno che non pregherò Persefone, perché la tua anima sia felice!»
E con la mano gli inviò un bacio di addio. Arethos si spinse verso di lei il più possibile, per raccogliere quel bacio, come indissolubile legame tra la vita e la morte. Dafne lo guardò un ultima volta, chiuse gli occhi e si voltò per andarsene.
Il demone volante tornò a riprendere Arethos e Thànatos accompagnò i due al cancello per farli ritornare in superficie guidati da Cerbero, e disse loro: «Andate e non voltatevi indietro!»
Diomedes rispose: «È stato un piacere, porta i nostri saluti alla Regina. Speriamo di vederci molto tardi.»
Thànatos non rispose, si voltò e si dileguò nella foschia. Una volta al cospetto della Regina le disse: «Sono andati via con Cerbero, come avete ordinato»
Persefone rimase un attimo in silenzio, abbassò gli occhi, poi rispose: «Uno di loro tornerà» Thànatos rimase perplesso, ma non avendo simpatia per Diomedes, pensò che avrebbe combinato qualcosa durante il rientro. Niente di tutto questo. Tornarono in superficie, senza problemi e con stupore videro che era ancora notte, nel cantiere, dove era iniziata la loro avventura. Cerbero li salutò ululando e se ne tornò negli abissi. Con il favore della luna Diomedes, insieme a Dafne, si recò al pozzo, scese il secchio per riempirlo d’acqua e lo tirò su. L’odore era nauseabondo. Allora, prese il secchio e andò a casa di Akidès, bussò ripetutamente alla porta, fino a quando non venne ad aprire.
Diomedes, infuriato, gli disse: «Sei complice di Korus! Hai infettato l’acqua e poi hai chiesto i giorni di riposo per gli operai. Bel piano, complimenti! Ora tu sparirai, non ti voglio più vedere, penserò io ad avvisare gli altri! Da oggi li guiderò io nei lavori. Puoi dire al tuo amico che il Santuario si farà, in un modo o in un altro!»
Il resto della notte fu passato da Diomedes ad avvisare i lavoratori e spiegare loro l’accaduto. E così giunse l’alba sul cantiere, Diomedes e Dafne, assonnati e stanchi, videro giungere gli operai, ma videro anche, con grande stupore che, insieme a loro, c’erano i famigliari e tanti vicini di casa. Diomedes, commosso, riprese i lavori. Oramai la Primavera era iniziata, con tutti i suoi colori e la sua vitalità, il Santuario si ergeva maestoso, pronto per accogliere i pellegrini. Diomedes, di fronte alla scalinata d’ entrata, attendeva Dafne, per poter entrare nel Santuario per primi, e rendere onori a Persefone. Dafne non tardò. Era bellissima nel suo peplo e con i capelli raccolti. Salirono le scale e, nel mentre, Dafne impallidì improvvisamente e cadde senza forze. Diomedes, subito, cercò di rianimarla, ma inutilmente, Dafne era morta.
Scoppiò in lacrime e, guardando verso il Santuario, disse: «Signora dell’ oltretomba, non portarla via, ti prego! Mi è stata vicina come nessun altro in questi mesi. Ho capito, di nuovo, cosa è vivere veramente. Te ne prego, mia signora, solo tu puoi capirmi!» e continuò a piangere.
A un tratto, dal Santuario, uscì una donna con il viso semi coperto, che si avvicinò alla povera Dafne.
Sì chinò vicino a lei e mise la mano sulla spalla del piangente Diomedes, poi disse: «Stai sereno Diomedes, lei vivrà»
Diomedes alzò lo sguardo verso la donna, che mise la mano in una rientranza del peplo di Dafne e ne trasse una piccola pietra, poi disse: «Questa pietra le è stata messa da Arethos per legarla a lui e non farla andare via. Lei l’ha toccata e così ha infranto la promessa, fatta a Persefone, ed è morta.»
Alzandosi in piedi continuò: «La Primavera è giunta, Demetra è di nuovo felice, io sono di nuovo con mia madre, lasciare morire così tanta bellezza è un sacrilegio, anche per me. Siate felici per molto, molto tempo. Tu, Diomedes, prenditi cura di lei e di questo Santuario. Hai fatto un bel lavoro. Ogni qualvolta avrai bisogno di me io ci sarò. Questo Santuario resterà per tutte le generazioni a venire e niente verrà dimenticato.»
Poi si voltò e rientrò nel Santuario, scomparendo. Diomedes, allora, sussultò nel cuore, perché aveva riconosciuto Persefone e, improvvisamente, Dafne riprese i sensi e il colorito, sorrise a Diomedes e si abbracciarono felici, al cospetto del Santuario degli Inferi.
Fine
Foto: imagomuse.it