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Costume e SocietàLetteratura

Il sistema dei controlli

La Repubblica dei Locresi di Epizephiri

Di Giuseppe Pellegrino

Sempre in linea generale, ma con riferimento specifico ad Atene e con l’avvertimento, i lineamenti descritti del controllo sono di tarda età (V/IV secolo avanti Cristo), e per questo motivo l’attività di controllo del magistrato era piuttosto molto severa se nella polis greca il controllo aveva almeno due  aspetti: un esame preventivo e uno successivo. L’esame preventivo di chi doveva assumere una carica, veniva qualificato con il termine dokimasia (prova, esame, rassegena,arruolamento) estava a significare che occorreva verificare i requisiti dell’uomo prima di sottoporlo al giuramento. L’aspetto più pregnante del controllo era, però, il potere del cittadino (efesis) di ricorrere avverso un qualsiasi provvedimento del magistrato, se ritenuto lesivo di un diritto. Sicuramente l’aspetto contabile (eutunai) aveva una rilevanza specifica, tanto che privava il magistrato anche del diritto di espatriare se prima non avesse reso il conto di fare testamento, di ricevere onorificenze.Se si pensa al termine greco eutunai, separando il suffisso eu (bene) e il verbo tunai (correre), si giunge alla conclusione che il magistrato deve dimostrare di aver corso bene durante la sua carica. Quindi, non resa contabile, ma controllo su una buona amministrazione. Tanto per l’attività giudicante, quanto per l’attività polico/amminsitrativa e per la semplice attività contabile.
Nella realtà locrese molto di questo avveniva, ma è bene ricordare che spesso ogni polis era un mondo a parte (Locri in particolare), per cui si debbono distinguere le magistrature necessarie all’esistenza e al funzionamento giuridico della polis da quelle che sono utili al benessere dei cittadini. E ciò non sempre secondo un direttiva unica.
In relazione alle varie esigenze (amministrative, politiche, giudiziarie) si spiega la presenza di tanti tipi di magistrati. Si capisce così che nell’ambito di un puro potere di coercizione (ammende, multe e simili) con provvedimenti resi inappellabili, si è nell’ambito di esercizio di potere amministrativo; esplica il potere giudiziario quando emette una sentenza che decide una controversia.
Il tutto con la cautela che tali poteri non si accumulino nella stessa persona.
Da qui, per ogni attività di potere, un magistrato specificatamente a ciò destinato.
Quasi tutti i magistrati (anche quelli minori) avevano un’attività complessa da gestire finalizzata alla decisione, ma non sempre la decisione era potere del magistrato (come accade nel prosieguo de Le Api di Aristofane). Spettava al magistrato regolare l’istruttoria (anakrisis), che era opera delle parti, conservare le prove, fare iscrivere la causa a giudizio (eisaghein), presiedere il dibattito e tenere la polizia dell’udienza (eghemonia tu dikasteriu). In genere, la decisione nel merito spettava ai cittadini che formavano i tribunali. Non vi era necessità di un giudizio, qualunque fosse la pena, per un reo confesso, o per uno straniero che non godeva di diritto. Il magistrato (archè) poteva mettere a morte senza processo il reo confesso, o chi non poteva ricorrere al potere giudiziario per difetto di efediscittadinanza (uno schiavo o un forestiero non protetto da convenzioni con la sua città). Veniva equiparato al reo confesso anche colui che riteneva giusta ed equa la pena preannunciata.
Non così a Locri Epizephiri, come si vedrà.
Ci è di aiuto, per il fine preposto, una particolare ricerca condotta dalla giurista inglese Lene Rubinstein, ripresa dal francese Julien Fournier, della cui opera si è fatto uso, sulle stele di Tashos, dove vi sono principi di controllo dei magistrati.
Il materiale pervenuto sino a noi non è molto, per cui il riferimento a Platone, ma soprattutto Aristotele è necessario, così come ripetere con la giurista inglese Rubinstein, per come tradotta in francese, che “la ricerca implica un ragionamento sottile sul non detto dei decreti, sulle inconcludenze possibili delle loro decisioni giuridiche, sul silenzio dei magistrati e sui sotterfugi taciti che potevano esserci all’interno del collegio, ma che non hanno lasciato tracce nella documentazione scritta.”Sommessamente riteniamo che non è cosa diversa dal metodo aristotelico, cosiddetto induttivo, applicato nel resto della nostra trattazione.
Il controllo e le sanzioni, per come studiate e descritte da Rubinstein, inglese, e da Fournier, francese, sono con riferimento al sistema penale (rectius: di iniziativa pubblica) e non a quello civilistico (rectius: di iniziativa privata). A Locri forse vi è qualcosa di più.
In concreto i due giuristi evidenziano che due sono i possibili reati che possono essere commessi dai magistrati nelle loro sentenze e che sono punti con delle ammende.
Sono i “reati di omissione, contenenti largamente mancanze dei magistrati al loro dovere, per negligenza o sotto una forma qualsiasi di pressione sociale.”“Il crimine di compromissione, che implicava una violazione voluta alle disposizioni di legge, poteva essere oggetto di una denuncia all’autorità giudiziaria.”È però la sola Rubinstein a distinguere le due categorie dal punto di vista della parte lesa. Nel primo caso vi è solo la lesione di diritti dei privati e, quindi, una vittima singola o un singolo soggetto, fermo restando che di contra vi è il favoreggiamento della controparte; nella seconda ipotesi vi è sicuramente la lesione di un diritto del singolo, ma la lesione va oltre perché lesa la comunità. In entrambi i casi è possibile la richiesta di risarcimento danni ai magistrati, ma nell’ipotesi di un collegio, posto che la pena è una sanzione pecuniaria, vi è non l’ammenda singola, ma l’ammenda collettiva. Forte il rischio nella prima ipotesi che il magistrato la facesse franca; forte il rischio che in una ammenda collettiva non si distinguesse tra colpevole o innocente, dato che in un collegio compromessa è la maggioranza ma non tutto il collegio.

Foto di virtualblognews.org


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