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Costume e SocietàLetteratura

La condanna o il patteggiamento di pena per i reati indicati dall’articolo 240 bis

Breve storia giuridica della confisca dei beni


Edil Merici

Di Enzo Nobile e Francesco Donato Iacopino

Ancora, oltre che per i reati previsti dall’art. 51, comma 3 bis, del codice di procedura penale e per quelli direttamente elencati nel primo c. dell’articolo 240 bis del CP, la confisca allargata, per effetto delle modifiche apportate dall’art. 6 del D.Lgs 21/2018, si applica anche:

  1. per tutte le ipotesi di condanna o patteggiamento di pena per i delitti previsti dall’articolo 73 del DPR 309/1990 (T.U. sugli stupefacenti), a eccezione dell’ipotesi di cui al c. 5º, secondo quanto, espressamente, previsto dal nuovo art. 85 bis;
  2. in caso di condanna o patteggiamento per uno dei delitti previsti dall’art. 295, c. 2º, del DPR nº 43 del 1973 (T.U. in materia doganale), secondo quanto disposto al nuovo comma 5 bis dall’articolo 301 di tale DPR.

La defatigante elencazione di tutti i tipi di reato ai quali, in caso di condanna, consegue la confisca dei beni per sproporzione (cosiddetta confisca allargata) ampliata anche dalla previsione giurisprudenziale della configurabilità del tentativo in determinate ipotesi, anche se in un primo momento potrebbe apparire pleonastica, si rende invece necessaria perché solamente in tal modo si comprende appieno il reale ambito di operatività dell’istituto.
Solamente in tal modo, l’astratta locuzione “lotta alla criminalità del profitto” si percepisce nei suoi contorni reali, come soltanto in tal modo si comprendono meglio le perplessità espresse da diverse parti in dottrina in seguito all’irrazionale ampliamento delle fattispecie di reato al quale ha accennato anche il Presidente della Repubblica nella nota del 17/10/2017, contestuale alla promulgazione della legge 161/2017.
Le perplessità manifestate in merito all’ampliamento della platea dei reati presupposto (detti anche reati spia in quanto la loro commissione, una volta riscontrato il dato oggettivo della sproporzione, consente, sic et simpliciter, di presumere un illecito accumulo di ricchezze e, quindi, la reità pregressa non accertata giudizialmente, in evidente contrasto col principio di non colpevolezza) hanno indotto la Corte Costituzionale, con la sentenza nº 33, del 21/02/2018, oltre ad ammonire il legislatore sulla scelta dei reati presupposto, non tutti necessariamente denuncianti una “professionalità o dedizione all’illecito”, a prevedere la possibilità per il giudice di verificare, nel rispetto della ratio legis, se le circostanze del caso concreto e la personalità del reo consentano di qualificare la condotta come episodica oppure professionale o seriale, quindi idonea a fondare la presunzione di illecito accumulo di ricchezze.
L’enunciazione da parte della Consulta, con la citata sentenza, del concetto di accertamento in concreto dell’attitudine del reato presupposto a generare l’illecita accumulazione di ricchezza, da contrappore all’interpretazione attuale della norma che vede nel reato presupposto solamente l’occasione per accertare la sproporzione e quindi rendere operativa la presunzione di illecito accumulo, appare assolutamente singolare.
Detta singolarità è dovuta al fatto che il Giudice delle leggi, in vigenza del principio di riserva di legge (che segna la fine della creazione ermeneutica del diritto) e nel silenzio della norma, non può delegare una prerogativa del legislatore al giudice.
Giudice che, giustamente e nell’esercizio indipendente delle sue funzioni, è assolutamente legittimato a non raccogliere tale suggerimento e a continuare ad interpretare la norma secondo il suo tenore letterale, come, in realtà, si è già verificato all’indomani della pronuncia della Consulta allorquando la Corte di Cassazione, sezione 2ª, sentenza nº 17.700/18 ha assolutamente disatteso l’altro dei criteri indicati dal giudice delle leggi per l’interpretazione costituzionalmente orientata della norma, ovvero il criterio della ragionevolezza temporale.

Foto: consulenzalegaleitalia.it


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