Di Francesco Cesare Strangio
«Scusatemi maestà! Avevo dimenticato l’acqua». Marco prese la ciotola di plastica, che teneva sotto il lavello, la riempì d’acqua e la portò ad Argo.
Com’era solito fare, lasciò tutto sul tavolo e partì per andare a preventivare il lavoro da fare alla cugina Elisabetta.
«Argo! Che fai? Vuoi venire anche tu da Elisabetta?»
Argo abbaiò e se ne andò nella cuccia.
«Hai ragione! Non possiamo lasciare il tesoro senza un guardiano.»
Sull’intelligenza di Argo, Marco non aveva avuto mai dubbi. Sin da quando era appena un cucciolo, aveva dimostrato attitudini che andavano ben oltre il normale.
Un minuto dopo, l’ape guadagnò la strada in direzione del centro. Durante il percorso, si prospettò alla mente di Marco una vecchia notizia che aveva letto sulla Gazzetta del Sud; si trattava di un tizio che aveva messo a segno una rapina alla banca dell’agricoltura. Il rapinatore, per riciclare il denaro, aveva tirato su un bar con rosticceria annessa. Non fece in tempo a inaugurare il locale che i carabinieri lo arrestarono per rapina a mano armata.
Marco si ripeteva, con metrica insistenza: «Se prima lavoravo in una certa maniera, adesso devo lavorare di più».
Arrivato all’ufficio postale, parcheggiò l’Ape davanti al Bar Primavera. Il solito gruppo dei professionisti era lì seduto a bere birra.
Nicoletta, per sua abitudine, si dava da fare per mantenere il locale pulito, nel farlo si piegava così che metteva in bella vista il fondo schiena. Il dottore, notando il comportamento della donna, storceva il muso.
Mario guardava compiaciuto e rideva sotto i baffetti.
«Marco! -Esclamò Mario. – Vieni a bere una birra con noi».«Grazie don Mario! Sarà per un’altra volta! Adesso ho da fare da mia cugina Elisabetta».«Vieni un momento che dobbiamo parlare di lavoro.»
Sentendo la parola lavoro, Marco chiuse la portiera dell’Ape e andò dai professionisti.
«Siediti… Che cosa gradisci?»«Prendo un caffè!»«Nicoletta! Porta un caffè a Marco e lascia stare i tavolini». Esclamò il dottore la cui gelosia, per il modo di fare di Nicoletta, stava per tracimare.
«Eccomi qua! Serve altro?»
Nicoletta era stizzita con il dottore.
Quella mattina non si era presentato all’ambulatorio a tempo dovuto, per una delle tre visite settimanali.
Mario, nel vedere la donna arrabbiata, gioì.
Marco prese a centellinare il caffè e nel frattempo chiese: «Don Mario di che cosa si tratta?.»«Abbiamo necessità di ristrutturare il cancello d’accesso al podere. È in ferro battuto, di vecchia manifattura, ed è un peccato lasciarlo andare in malora. E inoltre abbiamo pensato di ristrutturare il cascinale.»«Se non sbaglio ce ne sono due nel podere.»«Effettivamente è così! Per adesso ci interessa quello che si trova poco dopo l’ingresso.»«Va bene! Ditemi quando volete che andiamo a fare un sopralluogo.»«Se tu sei d’accordo, possiamo andare domani sera.»«Restiamo per domani sera alle 18.»Marco finì il caffè, salutò tutti e mosse verso il vicolo che portava alla dimora della cugina Elisabetta.
«Elisabetta! Elisabetta! Ci sei?»«Certo che ci sono». Rispose la cugina.
«Vado nell’Ape a prendere un metro così faccio le misure della porta.»
«Fai presto che devo andare a messa.»
Marco partì per andare dove aveva parcheggiato l’Ape per prendere il metro e il quaderno, mentre Elisabetta, rimasta vicino alla porta della cantina, valutava i lavori da fare.
Al suo ritorno Marco chiese a Elisabetta: «Che dici se gli facciamo mettere una lamiera da mezzo centimetro di spessore?.»«Fai quello che vuoi. L’importante è che non m’imbrogli da farmelo ricordare per il resto dei miei giorni.»«Stai tranquilla, prima il preventivo e poi decidiamo il da farsi. Per quanto riguarda la riparazione mettiamo mattoni nuovi?.»«Ma quali mattoni nuovi! Utilizza quelli che c’erano. Ci mancherebbe altro che andare a spendere altri soldi. Non lo vuoi capire che la pipa fa acqua?»«Se lo dici tu!»«E chi lo deve dire? Sono io che caccio i soldi e non quel farabutto del direttore della posta. Gentilmente, evita di farmi bestemmiare…»
Marco, dopo aver riportato le misure sulla prima pagina del quaderno a quadri, partì per andare dal fabbro.
Il canto del motore dell’Ape echeggiava tra la schiera di case che delimitavano la via che portava al capannone del fabbro. Mentre scendeva, lungo la strada, c’era il barbiere fermo sul marciapiedi; nel vedere arrivare l’Ape di Marco gli fece cenno di fermarsi. Bloccata l’Ape, Marco scese e si avvicinò al barbiere.
«Marco, come sei messo con il lavoro?»
«Discretamente! Perché?»
«Ieri sera, con mia moglie abbiamo pensato a te giacché abbiamo la necessità di sopraelevare il fabbricato»«Grazie del pensiero!»
«Quand’è che puoi venire a fare un sopralluogo?»
«Per domani è impossibile! Ho già fissato l’appuntamento con Mario Angelo.»
Curioso per natura, il barbiere chiese qual era lo scopo dell’appuntamento.
Marco gli disse che doveva restaurare la casa del podere e verniciare il cancello d’ingresso.
Il barbiere lo ascoltò con molto interesse, come se fosse una questione che lo riguardasse personalmente.
Continua…
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