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Costume e Società

Le prime tre sindache d’Italia furono calabresi

Di Davide Codespoti

Oggigiorno si è abituati a pensare sempre con stereotipi negativi della Calabria; tuttavia anche questa terra ha avuto i suoi primati positivi, che hanno anche fatto da apripista all’intero Paese. Ne sono un esempio le elezioni amministrative del 1946, le prime alle quali poterono partecipare anche le donne, come previsto dal Decreto Luogotenenziale nº 1 del 1º gennaio 1946.
Fu notevole l’affermazione dell’elettorato femminile in quelle tornate amministrative, durante le quali le donne costituirono il 53% dell’elettorato, anche in Calabria; infatti a Reggio Calabria fu eletta consigliera comunale la democristiana Maria Mariotti, prima donna a sedere in un consiglio comunale calabrese, mentre due donne vennero addirittura elette alla carica di sindaco: Caterina Tufarelli Palumbo Pisani, anch’essa proveniente dalla Democrazia Cristiana, divenne sindaco di San Sosti, in provincia di Cosenza, il 24 marzo, divenendo la prima donna sindaco eletta in Italia, mentre Lydia Toraldo Serra fu eletta sindaco di Tropea il 7 aprile, all’epoca in provincia di Catanzaro e attualmente in quella di Vibo Valentia, con una lista civica vicina ai democristiani.

Caterina Tufarelli Palumbo

Nativa di Nocara, in provincia di Cosenza, Caterina Tufarelli Palumbo, detta Ketty, era figlia dell’avvocato Giuseppe e dalla gentildonna Maria Miceli: rimasta orfana ancora in tenera età, fu inviata a studiare in collegio a Roma sino al conseguimento della maturità classica, presso le suore del Sacro Cuore, a Trinità dei Monti, ottenendo il massimo dei voti e numerosi premi per il merito. Nel 1941 conobbe l’avvocato Baldo Pisani, originario di San Sosti (Cosenza), che sposerà poi due anni dopo, diventando madre di tre figli: Oscar, Giuseppe e Giorgio. Nel frattempo, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza a Roma, trasferendosi poi a Napoli, dove conseguì la laurea.
Iscritta alla Democrazia Cristiana, Palumbo Pisani è stata la prima donna sindaco in Italia, venendo eletta il 24 marzo del 1946, a soli 24 anni, nel comune di San Sosti, divenendo un vero e proprio simbolo di un’Italia che voleva lasciarsi alle spalle le tragedie della dittatura e della guerra e guardava al futuro con ottimismo. Le sue origini calabresi, inoltre, diedero un particolare messaggio di riscatto sociale per tutto il Meridione e per la Calabria in particolare. Nello stesso periodo divennero prime cittadine elette dal popolo anche altre due calabresi, Ines Nervi in Carratelli, a San Pietro in Amantea, nella tornata del 31 marzo, all’età di 42 anni, e Lydia Toraldo Serra, quarantenne, eletta in aprile a Tropea, anche loro democristiane.
Le elezioni amministrative del 24 marzo di quell’anno in alcuni comuni, tra i quali San Sosti, precedettero di poco più di due mesi il voto referendario del 2 giugno per scegliere tra la Monarchia e la Repubblica, al quale le donne risposero con una percentuale molto alta (89%).
Eletta all’unanimità sindaco di San Sosti, Caterina Tufarelli Palumbo Pisani si impegnò freneticamente per migliorare le sorti del paese, caratterizzato da povertà e da disagi di vario genere: all’epoca la razione del pane era di 250 grammi (tanto che nel 1947 gli Italiani risultatvano i cittadini peggio alimentati di tutta l’Europa occidentale), mentre le regioni meridionali erano territori disastrati nei quali mancavano lavoro, sanità e istruzione.
In questo contesto storico così delicato e drammatico si inserì la figura di questa donna straordinaria e determinata: avvalendosi anche dell’amicizia nata ai tempi del collegio romano e consolidatasi nel tempo con le figlie di Alcide De Gasperi, divenuto nel frattempo Presidente del Consiglio dei Ministri, ottenne i fondi per edificare il palazzo comunale di San Sosti con annesso cinema, costruire scuole, strade, l’acquedotto, il mercato coperto, istituendo una struttura specifica per sostenere le famiglie meno abbienti.
Terminata la consiliatura nel 1952, la sindaca lasciò un bilancio consuntivo con tutte le opere realizzate, scusandosi per quello che non era riuscita a fare. Sebbene il bilancio consuntivo sia un obbligo degli amministratori soltanto da pochi anni, per Caterina Tufarelli Palumbo era un obbligo morale nei confronti della comunità di appartenenza. In seguito, Tufarelli Palumbo fu una consigliera privilegiata e autorevole per la carriera politica del marito, il quale venne prima eletto consigliere provinciale e poi Presidente della Provincia di Cosenza per ben tre consiliature.
Nel frattempo pubblicò articoli e saggi per diverse testate giornalistiche, dandosi alle opere di carità: fu infatti per trent’anni presidente delle Dame di Carità, organismo legato alla Chiesa Cattolica. Infine si spense a Roma il 7 dicembre 1979, a soli 57 anni: le è stata intestata una via nel paese natale, mentre San Sosti le ha dedicato l’aula consiliare.

Lydia Toraldo Serra

Lydia Toraldo Serra, invece, nacque a Cosenza il 1° agosto 1906, da Nicola Serra, avvocato, deputato del Regno d’Italia per due legislature e sottosegretario alla marina mercantile nei due governi di Luigi Facta, e da Maria La Costa dei baroni di Malvito. A soli 23 anni si laureò in giurisprudenza a Roma con Vittorio Emanuele Orlando, discutendo una tesi sulla questione del voto femminile. Fu la prima laureata in Calabria in giurisprudenza ed esercitò l’avvocatura nello studio legale del padre assieme a Gennaro Cassiani, futuro parlamentare della Democrazia Cristina, sottosegretario e ministro.
Nel 1933 sposò l’ingegnere Pasquale Toraldo dei marchesi di Tropea, conosciuto a Cosenza durante un incontro della Gioventù Cattolica, e si trasferì a Tropea. Dal matrimonio nacquero quattro figli: Nicola Maria, Carlo Felice, Pier Raffaele e Raffaella Maria.
È in questa cittadina dell’allora provincia di Catanzaro che Lydia iniziò la sua carriera politica, che durò poco più di vent’anni: amministrò la città dall’aprile del 1946 all’autunno del 1960 e sedette per ben due volte consecutive fra i banchi dell’opposizione consiliare a partire del novembre del 1960.
Nella prima tornata elettorale del secondo dopoguerra, la Democrazia Cristiana tropeana ottenne la vittoria alle amministrative con il 70% delle preferenze e conquistò la maggioranza consiliare (16 seggi su 20). Candidata in questa lista, Lydia guadagnò il secondo posto (1.358 consensi), distanziandosi di poco dal primo arrivato, il cognato Giuseppe Toraldo (1.365 voti).
La sua nomina all’unanimità arriva l’8 aprile, due settimane dopo l’apertura delle urne, a causa di dissidi nel partito locale riguardo la scelta del sindaco e della giunta, che verranno risolti grazie all’intervento del vescovo Felice Cribellati in favore della donna, che vanta conoscenze presso la Santa Sede (il cognato, monsignor Carlo Emanuele Toraldo, era Cameriere Segreto Partecipante di Pio XI e di Pio XII), all’interno della dirigenza democristiana calabrese e nel mondo imprenditoriale romano.
Le sue scelte amministrative del primo quinquennio sono in buona parte tese a risollevare le sorti delle fasce più povere della sua comunità, che le si rivolgono pubblicamente con l’appellativo di «a mammicea nostra». Al contempo, queste scelte scatenano nei suoi confronti l’ostilità della locale classe agiata di nobili, intellettuali e professionisti, e della piccola borghesia cittadina emergente. Dai suoi colleghi le veniva inoltre rimproverato di aver creato una sorta di “regime feudale”, tramite una gestione accentrata del potere, dato che la sindaca prendeva in prima persona tutte le decisioni, senza sottoporle al vaglio del consiglio comunale, raramente convocato.
Questo clima influenza lo svolgimento delle amministrative del 1952, che vedono la partecipazione di tre diversi competitor: la Democrazia Cristiana, la lista civica dal nome Madonna di Romania-Patrona di Tropea, che accoglieva democristiani, socialisti e rappresentanti di destra; la lista Stella e Corona, di matrice monarchica, capeggiata dal cognato Giuseppe Toraldo. La DC registrò un calo nei consensi (12,5% in meno), ma riuscì a mantenere il primo posto e i 16 seggi in consiglio comunale. La sindaca uscente rafforzò invece la sua posizione, passando da 1.358 preferenze ottenute nella tornata elettorale precedente a 1.929, con un incremento pari a 571 voti. Se ciò le garantisce un rinnovo del mandato, non la preserva però da ulteriori conflitti, sempre più accesi e più ampi.
All’origine della nuova crisi sta il disaccordo fra la sindaca e i consiglieri per la nomina di assessore delegato al controllo della polizia urbana e dell’annona. L’attività amministrativa si svolge in una condizione di evidente debolezza, soprattutto dopo la seduta consiliare del 19 novembre 1952, durante la quale 11 consiglieri su 19 chiedono le dimissioni della sindaca.
Con l’imminente svolgimento delle elezioni politiche del 1953 (dove la Toraldo presentò la sua candidatura, bocciata dalla commissione circoscrizionale democristiana di Vibo Valentia), si creò a Tropea un apparente equilibrio che salta definitivamente nel maggio del 1954 con la nomina di un commissario prefettizio in attesa delle elezioni.
Estromessa dalla lista della DC, la sindaca uscente presenta una lista autonoma, Giustizia, con l’appoggio di alte autorità ecclesiastiche e governative, ottenendo 1.484 preferenze, con uno scarto di 431 voti rispetto al primo degli eletti democristiani, Antonio Barone Adesi. La sua lista venne sostenuta dal 44,7% dell’elettorato, mentre la lista della DC si fermò al 32,4%: fu appoggiata anche dai missini e dai monarchici. Come si legge nel quotidiano Il Popolo, a Tropea si assiste dunque alla vittoria dei democristiani “in maggioranza e in minoranza”.
Comincia così il suo terzo mandato, tra le congratulazioni di Luigi Einaudi, allora Presidente della Repubblica, e di diversi esponenti della dirigenza di democristiana romana. Viene però denunciata al collegio provinciale dei probiviri locale e nazionale per la presentazione di una lista autonoma. Come conseguenza, lei e il suo gruppo di fedelissimi vengono espulsi dal partito. L’istituzione della locale scuola pubblica determinò per la sindaca la perdita del sostegno di una parte del notabilato locale, che aveva interessi diretti nel mantenimento di una scuola privata, fino a allora unica possibilità di accesso all’istruzione superiore per le classi più elevate; la successiva costruzione di un lido attrezzato compromise i suoi rapporti con il clero di Tropea, che vi vide una spinta all’edonismo e all’ostentazione del corpo. Riuscì tuttavia a mantenere le sue amicizie romane, in particolare con Gennaro Cassiani e Domenico Larussa, che le consentirono di drenare risorse economico-finanziarie dal centro verso la sua città calabrese, sebbene i fondi si riducessero gradualmente. Questi fattori determinano la conclusione anticipata della sua amministrazione, formalmente causata da un’ispezione finanziaria che rilevò delle irregolarità nella riscossione di alcune entrate e la mancanza del registro delle delibere del consiglio comunale.
Si tornò dunque al voto nel novembre del 1960: le liste presentate furono tre (Giustizia, i democristiani guidati dal deputato Fausto Bisantis e i socialisti, guidati da Francesco D’Agostino). Giustizia arrivò al secondo posto con il 41,1%, mentre la DC registrò il 48,2%. La perdita del suo consenso personale è limitata (115 voti in meno), ma sufficiente a far nominare primo cittadino Riccardo Toraldo di Francia, dopo la rinuncia da parte di Bisantis. La sindaca uscente e gli altri consiglieri di minoranza si rifiutano di avallare la decisione, evitando di partecipare alla prima seduta del nuovo consiglio comunale.
In seguito, Lydia Toraldo Serra si candidò alle elezioni politiche del 1963 nelle file del Partito Liberale Italiano per il collegio di Vibo, con il beneplacito di Giovanni Malagodi, e poi alle amministrative del 1964, che si risolsero in una pesante sconfitta. Ottiene 391 voti e la lista Giustizia il 34,3%, mentre la Democrazia Cristiana riconfermò il suo predominio cittadino. Furono gli ultimi impegni politici ai quali si dedicò: ritiratasi a vita privata, la politica calabrese si dedicò alla famiglia e alla gestione delle sue diverse proprietà terriere e immobiliari, situate tra Malito, Pianecrati e Cosenza.
Il suo interesse per la politica e il suo desiderio di giustizia sociale rimasero comunque intatti, tanto che per alcuni anni ricopre il ruolo di corrispondente per il quotidiano napoletano Roma, diretto all’epoca da Alberto Giovannini, e il giudice popolare presso il tribunale di Crotone.
Per il suo impegno politico-amministrativo, nel 1972 le fu conferita l’onorificenza dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana. Morì diciotto anni dopo, il 13 luglio 1980, nella città che aveva più volte amministrato.

Ines Nervi Carratelli

Ines Nervi Carratelli aveva 42 anni quando fu eletta sindaco di San Pietro in Amantea (che guidò dal 1946 al 1952), era sposata e madre di due figli e fu eletta come capolista nella democrazia cristiana. Morì a 83 anni nel suo paese, a testimonianza di un legame fortissimo con la sua gente e il suo territorio.

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