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Costume e Società

Cristo si è fermato a Sant’Agata

Chiusi di Rodi è un lembo di campagna nel comune di Sant’Agata del Bianco. Siamo nell’Aspromonte orientale. Suddetta contrada, appollaiata dirimpetto all’attuale Samo, sopra un ciglio di pietre e argilla, offre una piacevole vista della fiumara La Verde che, serpeggiando attraverso gli screziati sentieri e le verdeggiami conche, scende a valle per il suo eterno connubio con il mare. Tuttavia questa è una realtà che poco ha a che fare con la storia che stiamo per affrontare; perché, a parte le caratteristiche di natura paesaggistica, Chiusi di Rodi nasconde un’altra verità.
Fu proprio in questa contrada che Antonio Mavrici, nel febbraio del 1949, rimase per tutta la notte nella sua casetta, seduto vicino al fuoco, al fianco di Nostro Signore. Naturalmente la cosa non si svolse con la stessa semplicità con la quale mi accingo a raccontarla; perché il povero Antonio ebbe modo di capire solo in un secondo momento che l’uomo che aveva avuto accanto era il Signore. Almeno questo è quanto lui sostenne – a spada tratta – per i restanti giorni della sua vita. E quando ne parlava un’incontenibile emozione gli solcava il viso. Da premettere che Mavrici era un uomo pio, di provata fede, con una saggezza che pochi posseggono; e non si sarebbe mai sognato di trastullarsi con argomenti di tale importanza.
In questo breve resoconto impareremo che quando si è alla presenza di entità superiori è il nostro sesto senso il solo ad avvedersene, salvo che non sia stato sottoposto anch’esso – cosa che avvenne con Mavrici – a ipnosi temporale. Mi auguro sarete d’accordo con me quando dico che il passato è costellato di eventi simili. Gli stessi apostoli, sulla via di Emmaus, non riconobbero il Cristo Risorto, eppure avevano trascorso con lui tanto di quel tempo. Figuriamoci se avrebbe potuto riconoscerlo il povero Antonio, che del Signore sapeva quello che sanno tutti: praticamente niente.
Ma entriamo nel vivo della vicenda.
«Quando il Signore bussò alla mia casa, – raccontava Mavrici – mi sentii invadere l’animo da un’emozione fortissima. Si trattò, per l’esattezza, di una sensazione di natura istintiva, che conoscevo già, ma che non riuscii comunque a identificare. Una volta apertogli, lo invitai a entrare e, offrendogli ristoro come a un qualsiasi viandante, lo feci accomodare vicino al fuoco. Ricordo che per consentirgli di scaldarsi il cuore gli offrii un bicchiere di anice che, naturalmente, rifiutò.
Notai, sin da subito che la sua figura non era simile a quella di nessun uomo che avessi conosciuto ma stranamente, al tempo stesso, rispecchiava ogni singolo individuo della Terra. Era un uomo alto e basso insieme; aveva gli occhi a tratti neri, a tratti azzurri, a tratti verdi. La barba, invece, era della stessa lunghezza, anche se cambiava (così come i capelli) continuamente colore: a momenti diveniva nera, a momenti rossa, a momenti bianca, a seconda del tono che assumevano i suoi occhi.
Gli offrii un piatto di cicerchie ma lui, con voce lieve e solenne, mi consigliò di serbarlo per i luoghi anni di carestia.


Edil Merici

Non feci in tempo a domandargli come si faceva a conservare un piatto di cicerchie cucinate che lui mise le mani nella sua sacca e ne cavò un pane. Dopo averlo spezzato, additando il vino che conservavo sottochiave dentro la credenza, disse: “Questa notte, Antonio, sarò ospite tuo – sul momento non mi resi conto che non gli avevo ancora detto il mio nome – e resterò con te in onore dell’amore e della misericordia. E insieme a te spezzerò il pane della vita e berrò il vino dell’eternità”. E io, pervaso da un sentimento di sconforto e al tempo stesso di pace spirituale, non capii il significato di quelle parole né feci caso alle parole successive, perché fu di cose come queste che egli continuò a parlare. Poi, all’alba, si alzò dal suo cantuccio vicino al fuoco. Mi ringraziò e, pronto, si rimise in cammino. Appena mi riebbi, mi resi conto che quell’uomo che mi era rimasto accanto, e che mi aveva in precedenza privato dei sensi, era il Signore. Allora, senza pensare ad altro, mi precipitai per rincorrerlo. Perlustrai, palmo a palmo, l’intera contrada; chiesi ai vicini, ai parenti: nessuno seppe dirmi nulla. Quando compresi che ormai era troppo tardi, ritornai in casa . E lì restai, accanto al fuoco, a ricostruire, nel pianto, ogni istante, ogni singola parola di quanto avevo visto e udito.»
Mavrici, dopo una breve pausa emotiva, disse che in quella fredda alba di fine febbraio gli divenne, a poco a poco, tutto molto più chiaro, e ricordò che il Signore gli lasciò detto che negli anni a venire fiamme inimmaginabili si sarebbero elevate dal centro della Terra, mentre dal cielo sarebbero piombate tremende sfere di fuoco. E carestie, terremoti, alluvioni; inverni glaciali ed estati torride. E, prima ancora, il fratello avrebbe alzato la mano contro il proprio fratello, il figlio ucciso il padre, la madre annientato il figlio. E sulla Terra avrebbero regnato l’assassinio, l’abominio, l’infamia, l’adulterio. Il genere umano si sarebbe nutrito del nettare del peccato e tremendo e pesante sarebbe divenuto il suo fardello. Infine, il Male, accarezzando per l’ennesima volta il suo perfido disegno, avrebbe issato i propri stendardi su ogni angolo del pianeta. «Quando tutto ciò si sarà compiuto – spiegò Mavrici, – avrà inizio l’apocalisse.» Cosa che sembra stia già accadendo adesso. Non si sa per certo cos’altro si dissero. Tuttavia, il nostro narratore sembrò vivere il resto della sua esistenza con un enorme peso sul cuore. Perché – qualcuno disse – in quell’occasione venne a conoscenza di un’altra importante Verità. Una Verità che gli fu rivelata con l’obbligo di non doverla spartire con nessuno. Nella Verità, si sa, è rigorosamente custodito il senso della vita. E le Forze celesti esigono che le anime materiali non maturino il proprio essere terreno nella consapevolezza dei segreti dell’universo. Ciò è essenziale affinché quelle famose tre domande che – da che mondò è mondo – tormentano l’animo umano (“Chi siamo? Da dove veniamo? Dove siamo diretti?”) non abbiano risposta.
Il perché accada questo lo lascio immaginare voi.

Francesco Marrapodi

Francesco Marrapodi approda a Métis dopo aver ricoperto importanti ruoli in altre testate giornalistiche. 
È stato Redattore Capo per la provincia di Reggio Calabria de “L’Attualità”, collaborato con “Calabria Letteraria” e con “Alganews”, nonché con la testata giornalistica “In Aspromonte”. 
Ha studiato tecniche e metodi di scrittura del “Gotham Writers' Workshop”, è stato inserito nell’antologia “Ho conosciuto Gerico” in onore di Alda Merini con la poesia “La Nova” e fa parte dell’“Unione Poeti dialettali di Calabria”.
L’8 agosto del 2014 ha realizzato sulla spiaggia di Bianco una statua di sabbia raffigurante Papa Francesco, evento recensito da “Famiglia Cristiana” per il quale ha ricevuto il ringraziamento e la benedizione del Papa in persona. 
Si è reso inoltre promotore di una campagna contro l’inquinamento marino con “La morte di Poseidone”, statua di sabbia che ha suscitato grande interesse in tutto il mondo. 
Francesco è oggi un punto di riferimento redazionale su Bianco e dintorni, con un ruolo di primo piano nella Redazione Cultura.

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