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La terra del sole: Placanica

Locride… e dintorni in Mountain Bike XLI


Edil Merici

Di Rocco Lombardo

Le idee portano lontano, se esiste negli uomini il coraggio di difenderle e realizzarle…

Iniziamo così, con la citazione di un grande figlio di questa terra, tra i più illuminati che il nostro territorio abbia mai avuto, un pensiero di seicento anni fa circa ma attuale come non mai, che metaforicamente accompagnerà la nostra pedalata, così come accompagnava il cammino spirituale di Tommaso Campanella quando a piedi percorreva gli stessi sentieri.
Un pensiero illuminato che ci consente di festeggiare simbolicamente il nostro primo anno di collaborazione con Metis, a cui rivolgiamo il nostro più intimo ringraziamento per il risalto accordato ai nostri itinerari settimanali alla (ri)scoperta della magia della Locride, una terra che abbiamo imparato ad apprezzare e che non si esaurisce con il solo patrimonio naturale e ambientale, ma si allarga a quello storico e culturale, ancorandosi a tradizioni, miti e leggende che caratterizzano da sempre questo antico territorio posto ai confini orientali della penisola, tanto crudo quanto intriso di spiritualità; una terra costretta a districarsi da sempre tra contraddizioni, peculiarità e unicità, in cui la natura regna (ancora!) sovrana e incontrastata in un contesto paesaggistico in cui le imponenti e aspre alture si tuffano in un mare limpido e profondo.
Nelle nostre escursioni, spesso impervie e faticose, l’approccio con il territorio non è stato per nulla scontato, abbiamo imparato a vedere e non solo a guardare quanto, di volta in volta, ci circondava, percorrendo itinerari dimenticati e abbandonati tra verdi valli e brulli costoni arenari, che ci hanno permesso di osservare un mondo ancora antico, sincero e autentico, che vuole gelosamente rimanere fedele al proprio passato.
Riprendiamo il percorso in questa parte del territorio locrideo, denominata non a caso la terra del sole. Ci eravamo infatti lasciati alle spalle il borgo di Stignano, attraverso un suggestivo percorso posto a monte del Convento di Sant’Antonio immerso in un incontaminato tesoro paesaggistico, e avevamo ripercorso un antico cammino lungo la dorsale che congiungeva i cenobi greco-ortodossi che i monaci bizantini avevano tracciato molti secoli fa, e che proprio l’illustre filosofo domenicano risaliva a piedi da Stilo fino alle porte del borgo di Placanica.
Avevamo descritto Stignano e Placanica come due piccoli borghi medievali dirimpettai dal suggestivo impatto scenografico e dall’importante storia, dove lo scorrere del tempo sembra aver dato spazio alla pace e al ristoro, pervasi come sono da un’atmosfera di tranquillità e benessere, in cui l’ospitalità e la cordialità degli abitanti si coniuga perfettamente con le architteture dei palazzi nobiliari che si affacciano sulle strette stradine lastricate in pietra, in cui le millenarie tradizioni ci raccontano di popoli che si sono succeduti nei secoli, e in cui poter respirare ancora i profumi di una natura incontaminata  e scaldata dal sole per tutto l’anno.
Il primo caldo di stagione si fa sentire, la fatica già accumulata nelle gambe si ripercuote sulla pedalata non più fluida, anche per la pendenza della salita che, curva dopo curva, svela davanti a noi la caratteristica struttura medievale di Placanica. Un borgo aggrappato a uno costone roccioso a sud della fiumara Precariti, la cui storia è legata a quella degli altri paesi bizantini dell’area, avendone mantenuto l’impianto e le caratteristiche con le tipiche case costruite una sull’altra, collegate tra di loro da un reticolo di passaggi, viuzze e vicoletti che da queste parti si chiamano vinedi, che uniscono tra loro veri e propri gioielli architettonici dalle facciate decorate e dai portali imponenti.
Io nacqui a debellar tre mali estremi: tirannide, sofismi e ipocrisia”, così scriveva Tommaso Campanella nel 1500 o giù di lì, quando percorreva a piedi questo antico tracciato tardo-medievale, che da Stilo conduceva al Convento dei Domenicani di Placanica, un cammino ascetico e spirituale che ci avrebbe lasciato in eredità l’utopia della Città del Sole. Proviamo una suggestione particolare ripercorrendo le antiche strade del luogo, rievocando una pagina importante della nostra storia che si lega indissolubilmente alla figura del filosofo domenicano, che nell’oscurantismo di un periodo segnato dalle pestilenze e dalle dominazioni, cercò di illuminare la via del pensiero e dell’anima con la luce di una immaginifica città ideale, per riscattare una vita segnata da terribili torture, da 27 anni di carcere e cinque processi, elevata però dallo spirito e dalla mente. Son di una terra chiamata Stilo, in Calabria ultra, mio padre si domanda Geronimo Campanella e mia madre Caterina Basile”, così si presentava orgogliosamente, infatti, al cospetto del giudice inquisitore, prima di essere condannato a tanti anni di prigionia a Napoli.

Questo piccolo borgo dalla struttura medioevale ha anche registrato, nel tempo, il passaggio di molti artisti e viaggiatori stranieri. Era il 1847 quando l’inglese Edward Lear, nel suo Diario di un viaggio a piedi, cosi scriveva:

Questo posto non ha profondità, ma è come se fosse solo una superficie, essendo le case costruite l’una sopra l’altra sugli orli e in crepacci, sulla facciata di una grande roccia sollevata in una cima, il suo più alto pinnacolo adornato da un moderno palazzo […] sembra costruita per essere una meraviglia per il passante.

e da allora questo piccolo borgo conserva intatta tutta la sua bellezza e la sua atmosfera.
La memoria si intreccia con altra memoria, a comporre il quadro del tempo della nostra terra, un mosaico i cui tasselli sono le persone, le idee, le opere, e oggi sprigiona il suo fascino tra arte e natura per gustarne ogni angolo. Non per nulla Placanica è uno dei borghi più conosciuti dagli amanti della fotografia per la straordinaria bellezza del paesaggio circostante, in cui gli scorci del paese si armonizzano tra il verde delle montagne e l’azzurro del mare e del cielo.
Il borgo sorge in un’area molto frequentata sin dai tempi della Magna Grecia, sulle rovine di un antico monastero basiliano edificato da monaci in fuga dall’Oriente. Originariamente il suo nome fu Pagus (villaggio), poi denominato Placanika (ricca di plaka, cioè di pietre litiche), e quindi Motta Placanica, toponomo bizantino molto frequente nel medioevo per indicare una costruzione difensiva, fino al 1816, quando decadde definitivamente il sistema amministrativo feudale della zona.
Nonostante il susseguirsi di terremoti e di calamità naturali, da ultimo il disastroso sisma del 1908 che rase praticamente al suolo il paese, la ricostruzione e l’opera di recupero ne hanno riportato alla luce il patrimonio storico e artistico più autentico, evidenziando le caratteristiche urbanistiche medievali, con le viuzze strette e le casette color argilla ricoperte dalle caratteristiche ciaramidi.
Arrivati a monte del borgo, attraverso un’impegnativa e ripida salita, veniamo attratti dall’imponenza del Castello degli Arcadi, comunemente chiamato dagli abitanti il Castello, vero e proprio fortino e simbolo del borgo, che dal 1283 si erge a protezione del paese e dell’intera vallata sottostante. Un complesso fortificato che si presenta come un grande palazzo ingrandito e trasformato nei secoli, in fase di ristrutturazione, posto su tre livelli incorniciati da finestre e balconi con ringhiere in ferro battuto. Nella facciata principale vi è un ampio portale tufaceo e vi si accede attraverso una scalinata esterna in pietra sulla cui parete è posto lo stemma gentilizio, vi è alla base una pertinenza ristrutturata e molto ben curata di proprietà di una cara persona amica, a cui va un personale ricordo, venuta a mancare alcuni anni fa, che orgogliosamente rimarcava l’importanza del recupero quale legame storico e indissolubile della famiglia con il borgo.
Ridiscendendo adrenalicamente tra le stradine lastricate in pietra, ci imbattiamo nel Convento dei Padri Domenicani, fondato nella seconda metà del ‘400, uno dei più antichi della Calabria, ove prese i voti proprio un giovane Tommaso Campanella, con accanto la chiesetta di Santa Caterina, anch’essa pesantemente danneggiata dai terremoti, rimasta per lungo tempo un rudere e solo di recente valorizzata per la scoperta fortuita di uno splendido affresco nascosto dietro un muro di mattoni. Ancora più in basso sbuchiamo sul sagrato della Chiesa Matrice di San Basilio Magno, edificata nel XII secolo, di chiara origine basiliana (infatti la facciata è rivolta verso Bisanzio), in cui confluiscono un insieme di stili architettonici e testimoniano i diversi interventi di restauro e ricostruzione.
Percorriamo quindi l’appendice finale del borgo che si allunga sulla collina, un isola posta su un crinale che divide due costoni erosi dalle fiumare sottostanti Precariti e Castore, e continuiamo in veloce discesa lungo la Strada Provinciale 94 fino al crocevia con la SP 92, che riporta a Stignano, per completare il giro ad anello fino al mare, ricongiungendoci con la Strada Statale 106, che percorreremo a ritroso e in direzione sud fino a raggiungere nuovamente Locri, per concludere uno tra i percorsi più lunghi affrontati, con i suoi ottanta chilometri circa di percorrenza totale, in compagnia del sempre fedele compagno di avventura Giuseppe Piccolo, rimandandovi al prossimo appuntamento per completare il tour nella terra del sole, raggiungendo i borghi di Riace e Camini.


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