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Costume e SocietàLetteratura

Un aiuto inaspettato

Il Cartomante di Torre Normanna XIX


Edil Merici

Di Bruno Siciliano

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Scorri in fondo all’articolo per ascoltare questo capitolo del romanzo letto dalla viva voce di Bruno Siciliano!

Di scatto Stracuzza si alzò dalla scrivania e seguì Salincelo nella Jeep d’ordinanza.
La pioggia violenta imperversava ancora e il piccolo fuoristrada avanzava a stento lungo la strada sterrata trasformata anch’essa in una fiumara in piena. Arrivati sul posto, i due militari scesero dal mezzo bardati come in pieno inverno.
Davanti a loro si palesava l’incredibile.
La casa praticamente non esisteva più. Un’enorme voragine l’aveva letteralmente inghiottita e l’intera abitazione si era accartocciata su se stessa. Di tutta la casa si vedeva ad almeno cinque metri di profondità solo parte di una parete esterna, probabilmente quella dov’era murata la cassaforte che emergeva in parte dall’acqua piovana che stava già riempiendo la voragine.
La pioggia torrenziale ancora si ostinava a cadere violentemente e non faceva altro che peggiorare le cose.
I militari, constatato il disastro, non poterono fare altro che tornare in caserma. Stracuzza aveva un umore terrificante. Si tolse la cerata, la buttò a terra in un angolo del suo ufficio e si sedette alla scrivania con la testa tra le mani. Non avrebbe mai creduto che potesse succedere una catastrofe simile: tutti i quadri e gli oggetti e le preziosissime statuette di terracotta erano state inghiottite dalla voragine. Sarebbe stata necessaria una campagna di scavi per recuperare almeno la cassaforte e aprirla una buona volta. Al diavolo la burocrazia che gli aveva impedito di aprire quel maledetto mostro blindato come una scatola di sardine!
Così Luciano Stracuzza ingoiò quest’ennesimo rospo e a fatica, perché stavolta era veramente grosso. Avverti il PM, che assicurò che al più presto sarebbe giunto sul luogo.
Il maresciallo passò la notte insonne e quando riusciva a prendere sonno per qualche attimo, erano incubi terribili, tanto che verso le sei non ne potè più, si alzò dal letto e uscì fuori, nel giardino che la tempesta aveva trasformato in una specie di pantano. Il vento aveva quasi completamente distrutto il gelsomino e la pianta di rose, per non parlare delle fragoline che sembrava fossero state sdradicate di proposito da una mano gigantesca. Guardò verso il mare, dove un timido sole rosso cupo si sforzava di sorgere. Le nuvole bianche avevano cacciato via i nuvoloni neri del giorno prima e, come se nulla fosse successo, tutto sembrava stesse ritornando alla normalità.
Tornò in cucina e accese la macchina del caffè, mise una cialda nel braccio metallico e spinse il bottone che avrebbe permesso l’erogazione nella tazzina del liquido nero e profumato.
Si sedette e si gustò il suo fragrante caffè bevendolo con lentezza.
Giulia, sorridente e beata, dormiva raggomitolata nel suo angolo di letto e lui, facendo in modo di non svegliarla, indossò la divisa e uscì in strada per andare in caserma. Il dottor Longo, il PM, dal canto suo, forse, era più preoccupato di Stracuzza e si era recato sul posto subito dopo l’accaduto per constatare il disastro. Perché di un vero e proprio disastro si trattava, considerato che prove importantissime sul conto del cartomante erano andate distrutte in un attimo. Il dottor Turturro, invece, aveva un diavolo per capello e sembrava gli avessero ammazzato una figlia in tenera età.
La mattinata, in ufficio, passò tra le proteste, le denunce per l’alluvione e le solite beghe paesane.
Poi, verso le dieci, qualcuno bussò alla porta del maresciallo:
«Avanti» disse Stracuzza con l’entusiasmo di un uomo che si pizzica i virili gioielli nella zip dei pantaloni.
«Permesso?» disse Giovannino entrando.
A Luciano gli si allargò il cuore: «Entra, accomodati» disse al nuovo venuto indicandogli la sedia di fronte alla scrivania.
«Non so se ti disturbo, ma volevo ricordarti che io ci sono e se hai bisogno di me ho un consistente gruzzolo di ferie e se vuoi, anche se ufficiosamente, ti posso dare una mano nell’inchiesta.»
Luciano lo guardò come si guarda un vecchio amico e gli porse un sigaro dei suoi, sperando in cuor suo che declinasse l’offerta. Giovannino, invece, accettò molto volentieri e accese subito il lungo Antico Toscano.
Poi Luciano si alzò dalla sua sedia per prendere dal solito armadio blindato il J&B che ormai volgeva tristemente alla fine.
«Lo so che è ancora presto ma io ne ho proprio bisogno» disse il maresciallo come per scusarsi.
Giovannino accettò il bicchiere che il maresciallo gli porse e cominciò a sorseggiare il whisky liscio che scendeva per l’esofago con l’effetto di un disgorgante.
«Dove alloggi?» chiese il maresciallo a Giovannino.
«In un B&B poco fuori paese, con un amico di Brescia che era già qui da qualche giorno e, non trovando nulla in questo periodo mi ha proposto di dividere con lui la camera.»
«Chi è?» insisté Stracuzza.
«Elio Lorenzini, un vecchio amico impegnato nell’edilizia che ama il mare e ha scelto di passare le ferie nella tranquillità di questa cittadina.»
Stracuzza gli lanciò un’occhiataccia poi aggiunse: «Te la raccomando la tranquillità della cittadina!»
Poi prese la pipa e la riempì del tabacco che Memmo gli aveva consigliato.
«Non è da molto che fumi la pipa» osservò Giovannino, che continuò «Me ne ne sono accorto da come l’hai caricata.»
«È vero, imparerò. Ma mi piace molto di più del sigaro. La pipa è un’altra cosa.»
Poi, seduti l’uno difronte all’altro, cominciarono a fare il punto della situazione.
Fu così che, evitando ogni convenevole, Luciano Stracuzza aprì la cartella che raccoglieva tutte le carte e le notizie su Vito Mastrangelo e, leggendo da un foglio che aveva ordinatamente redatto solo la sera prima cominciò: «Allora, ricapitoliamo, la professione principale di Vito Mastrangelo era quella di usuraio.
Il mestiere l’aveva imparato a Detroit dove aveva da sempre manifestato il suo poco attaccamento al lavoro. Era affiliato a una piccola banda di italo-americani che spadroneggiavano nel quartiere. Estorsioni e prepotenze erano all’ordine del giorno. Il Mastrangelo all’epoca era conosciuto come il Cartomante di Torre Normanna. Il nome l’aveva scelto per indicare ai propri conterranei la propria provenienza da quel paese calabrese, mentre agli altri evocava terre lontane e atavici riti.
Il Mastrangelo aveva presto preso il comando dell’organizzazione e aveva esteso i propri interessi anche alla ricettazione e alla prostituzione.»
«Questo l’hai desunto dalla rogatoria?» chiese Giovannino soffiando verso il soffitto una consistente nuvola di fumo bianco.
«Sì – rispose Luciano, – ma tutta questa è roba vecchia. Che cosa può aver spinto l’omicida a venire in questo paese in piena estate e far fuori un vecchio?»
«A morire e pagare c’è sempre tempo, dicevano al mio paese, e poi un certo tipo di delinquenza non dimentica mai. Evidentemente s’è presentato il momento opportuno. Una molla che è scattata scatenando l’omicidio.»
«Mah, vorrei essere sicuro come te. Caffè?» chiese a Giovannino.
«Sì, grazie.»
«Caruso, ce li porti due caffè, per favore?» chiese a voce alta Luciano mentre si riaccendeva la pipa che, intanto, un po’ perché caricata male, un po’ perché Luciano l’aveva trascurata abbandonandola tra le carte della scrivania, s’era spenta.
Aspirando voluttuosamente una boccata di fumo dalla pipa appena accesa Stracuzza continuò:
«Con Cristina come va?»
«Così – rispose Giovannino, facendo spallucce, – lei non ne vuole sapere più niente di me, io ho fatto una grossa cazzata, ma l’amo come non credevo fosse possibile amare una persona. Ho fatto apposta questo viaggio ma lei, giustamente, mi ha respinto. Me lo sarei dovuto aspettare ma non me ne andrò prima di averla riconquistata». Aspirò, poi, un’altra lunga boccata dal toscano appena acceso e aggiunse: «Ma torniamo a noi. Stavi dicendo di Mastrangelo…»
«Successe qualcosa a Mastrangelo laggiù a Detroit perché scappò letteralmente dagli States per stabilirsi a Milano, dove evidentemente continuò le sue attività.»
«A questa si aggiunse anche quella di archeologo.» Precisò Giovannino.
«Infatti. Giovane, avido e senza scrupoli, continuò tutte le sue attività nel milanese.»
«Ma perché continuò a fare il pure cartomante?»

Foto: lemiesoftskills.com


Varacalli

Redazione

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