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Costume e SocietàLetteratura

La Leggenda del Cavaliere e dello Sparviero

Novelle Ioniche


Edil Merici

Di Luisa Totino

«Erano tempi oscuri, di magia e superstizione. Tempi in cui la fede e il potere erano mescolate a invidia e immoralità. Così inizia la storia più bella della nostra rinomata e storica cittadina, divenuta una grande leggenda, quella del Cavaliere solitario e del suo fedele sparviero.»
Nonna Tina, con le sue storie, intratteneva, quasi ogni sera, i bambini del rione che, puntualmente si radunavano intrepidi e rapiti dalle sue parole. La leggenda del Cavaliere li affascinava particolarmente. Laura, la nipote di Tina, era tornata da Milano, per le vacanze, nel suo luogo natio. Non amava molto ascoltare sua nonna narrare quelle storie, preferiva uscire con gli amici, ma quella sera pioveva e decise di unirsi alla piccola folla.
«Il Cavaliere appariva nella vallata, soprattutto in quelle mattine di nebbia sottile, come sagoma scura, con l’armatura, sulla spalla il suo sparviero e il peso di ciò che gli era accaduto.»
Laura interruppe sua nonna: «Dai, nonna, sembra una storia dell’orrore, non siamo mica ad Halloween!»
Uno dei bambini disse: «Noi la vogliamo sentire, perché quel cavaliere era un eroe, vero nonna Tina?»
E la nonna: «Sì, proprio così. A quel tempo, questa cittadina era in guerra con quella giù nella vallata. Non era una guerra solo di armi, ma anche di leggi e proibizioni. Governante contro governante, famiglia contro famiglia, persona contro persona. Un disprezzo antico, risalente a un vecchio tradimento da parte del Conte Roberto ai danni del Conte Ruggero. Ma anche in mezzo a tanto odio può spuntare l’amore. Proprio così, un amore capace di sfidare tutto e tutti, anche a caro prezzo. Il Conte Roberto, signore della cittadina della valle aveva un figlio, Tancredi, un bellissimo giovane, addestrato, fin da piccolo, al combattimento e alla difesa, nonché alla diplomazia e alla politica. Amante della caccia, vi si recava quasi ogni mattina con un drappello di fedelissimi e uno splendido sparviero, addestrato da lui stesso a localizzare la preda e a riportarla, dopo che l’aveva centrata con il suo arco. E fu in una di queste mattine che accadde lo straordinario incontro che cambiò la vita di Tancredi, per sempre. Mentre era nella foresta, intento a puntare una preda, sentì delle voci provenire da dietro un cespuglio. Si avvicinò per vedere di chi si trattasse e la vide.»
Una bambina interruppe la nonna: «Vide Matilde, vero?»
E la nonna: «Sì, proprio lei, Matilde, la figlia del Conte Ruggero. Splendida nei suoi capelli ramati, che rilucevano al sole. Tancredi ne fu rapito. Matilde, però, aveva un carattere fiero e ardimentoso, e non era nella foresta per raccogliere fiori, ma si stava allenando, con il suo fedele scudiero Pago, per il torneo che il padre aveva indetto in onore del suo compleanno. Tutti i Cavalieri, vicini e lontani, avrebbero potuto partecipare, per mettere alla prova la propria prestanza. Pago, però, era preoccupato per Matilde e cercava di dissuaderla dalle sue intenzioni: “Mia signora, lasciate i vostri propositi! Quello che volete fare è molto rischioso! Potreste perdere la vita e vostro padre non me lo perdonerebbe mai!” E Matilde: “E secondo te è giusto aprire un torneo per il mio compleanno, e al vincitore darmi in sposa?” E Pago: “Prima o poi dovrete pensare al matrimonio, per consolidare la Casata. E quale partito migliore di un eroico Cavaliere di nobile famiglia?” E Matilde: “Tu non capisci, Pago! Non ho nessuna intenzione di sposarmi, per questo ho deciso di partecipare al Torneo, sotto mentite spoglie. Alla fine, quando scoprirò la mia identità, mio padre non mi potrà certo dare in sposa a me stessa!” Poi, fermandosi dal duellare con Pago, disse: “Un giorno, sono sicura, troverò la persona giusta, Pago, ma dovrò essere io a dire se andrà bene per me. A che serve sposarsi, per obblighi politici?” E Pago: “Vostro padre si infurierà, ne sono sicuro”. E Matilde: “E tu lascialo infuriare. È una vita che vive nell’odio verso la cittadina nella vallata. Un uomo che non sa portare pace può rendere felice sua figlia?” E poi, aggiunse: “Forza, riprendiamo, Pago, voglio essere più che pronta per il Torneo. Non posso permettermi di perdere. In guardia!” E ripresero a duellare. Tancredi venne così a sapere del Torneo e dentro di sé decise di partecipare. Avrebbe potuto, così, incontrare Matilde. Tornò subito dal padre per riferirgli la cosa, ma il Conte Roberto andò su tutte le furie: “Tancredi, ti proibisco di partecipare a quel Torneo!” E Tancredi: “Padre, sono stati invitati tutti i Cavalieri, perché non posso partecipare? Ho ottime possibilità di vincere. Forse non vuoi che io prenda in sposa la figlia del Conte Ruggero?” E il Conte Roberto: “Non vedrò mai quel giorno, te lo posso assicurare! E ora ritirati nelle tue stanze!” E Tancredi: “Non si può sempre vivere nell’odio, alla fine ci saranno solo sconfitti, soltanto solitudine e tristezza. Mia madre non avrebbe mai acconsentito a tutto questo!” E il Conte Roberto: “Tua madre è morta, non è più qui!” E Tancredi: “Già!” E se andò nelle sue stanze. Ripensò a quella mattina e a Matilde, oramai era nella sua mente e nel suo cuore. Mancava ancora del tempo al Torneo, voleva farle sapere quello che provava per lei, ma come poteva? Era sempre con il suo scudiero. Decise, allora, di rivolgersi alla Maga del Bosco di Pietra. Alcuni dicevano che era una storia inventata, ma Tancredi era disposto a tutto, perché il suo amore per Matilde trionfasse. Attese le tenebre e uscì di nascosto con due dei soldati più fedeli. Si inoltrarono per un sentiero che li avrebbe condotti dalla Maga, il cammino non fu privo di pericoli e animali notturni, ma con l’aiuto, anche, del suo fedele sparviero, giunsero a destinazione all’alba. La Maga abitava in un antro e al loro arrivo già li attendeva: “Tancredi, figlio prediletto di Roberto. Il tuo cuore ti ha portato a me. Non preoccuparti, lei aprirà il suo a te, i vostri destini sono incrociati, ma non vedo il vostro futuro. Qualcosa di oscuro si frappone a questa unione, dovete essere forti, l’amore trova molte strade per essere vissuto. Fidati di chi ti sta più vicino, sarà la tua salvezza”. Poi, con il suo lungo bastone afferrò lo sparviero, lo tenne stretto e recitò delle formule magiche. “Siamo noi gli artefici del nostro destino, Tancredi, ricordalo nel momento più buio”. Una volta rientrati da quell’incontro, Tancredi decise di inviare un messaggio a Matilde, affidandolo al suo sparviero: “Mi raccomando, va da lei, so che la troverai”. Lo sparviero volò verso la cittadina sulla roccia e puntò al Castello dove risiedeva Matilde, con suo padre Ruggero e il resto della corte. La ragazza era nella sua stanza, stava affilando, di nascosto, la sua spada, Non lasciava questo compito a Pago perché non si fidava. A un certo punto sentì il verso di un volatile, si affacciò dalla finestra e vide uno sparviero volare in cerchio sul Castello, e non accennava ad andarsene. Incuriosita si recò all’esterno, per capirci qualcosa. Pago si avvicinò a lei: “Mia signora, c’è un enorme sparviero che vola sul Castello, volete che gli arcieri lo colpiscano?” Ma appena terminò quelle parole, lo sparviero scese e andò a posarsi sul braccio di Matilde. Subito i soldati fecero per prendere il volatile, ma lei li fermò: “No! Non è pericoloso. Me ne prenderò cura io”. Lo portò nelle cantine e, guardandolo attentamente, vide un piccolo biglietto, legato alla zampa. Lo tolse delicatamente, lo aprì e lesse quelle incredibili parole: “Vorrei, solo per un attimo, essere quel privilegiato a cui rivolgeresti la parola. Se vorrai accontentarmi, mi troverai stanotte nella Foresta Brulla”. Come le lesse, Matilde provò come la sensazione che facessero parte, già, della sua vita. Come se appartenessero a lei, da sempre. Rispose al biglietto, accettando l’invito e lo affidò allo sparviero. Il Padre Ruggero, intanto, era colloquio con il Vescovo della Città, Armonio, una persona dalla dubbia moralità e fede, più preoccupato delle sue tasche che delle anime dei fedeli, che si diceva avesse un interesse morboso per Matilde. “Dopo il Torneo, dobbiamo subito preparare le nozze per mia figlia. Sarà una cerimonia da doversi ricordare in tutta la vallata”. E il Vescovo Armonio, stringendo un Rosario tra le mani: “Conte, lo considero un privilegio presenziare il matrimonio di Matilde con il vincitore del Torneo, del resto l’ho vista crescere. Sembra ieri quando, vestita di candida tunica, si è avvicinata a ricevere il Corpo di Nostro Signore”. E Ruggero: “Bene. So che posso sempre contare su di lei, eccellenza”. Ruggero tornò ai suoi affari, mentre Armonio scese nella cripta della Chiesa, attento a non essere visto. Aprì una cassetta segreta, dalla quale tirò fuori una pergamena: “Se non sarai mia non sarai mai di nessuno, Matilde. Con queste parole scritte con il sangue ho maledetto il tuo futuro. Semmai l’amore prenderà il tuo cuore, sarai condannata a non congiungerti mai al tua amato, per l’eternità”. Quella notte, Matilde uscì di nascosto, avvolgendosi in un ampio mantello. Prese il suo cavallo dalle scuderie e partì verso la Foresta Brulla. Cavalcò fra gli alberi, fino a un ruscello. Scese e fece abbeverare il cavallo. Sentì qualcosa dietro la schiena, era una punta di spada, sguainò la sua e incrociò l’altra, che apparteneva a Tancredi. Quando lo vide fu come riconoscerlo, il suo cuore iniziò a battere forte. Tutto intorno s’illuminò di immenso. Seguirono diverse notti e i due giovani si amavano sempre più. Sapevano di appartenere ai due famiglie ostili, ma pensarono che il loro amore avrebbe cambiato tutto. E decisero che quel cambiamento dovesse avvenire al Torneo. Il destino, però, era dietro l’angolo. Una sera che Matilde uscì dal Castello fu vista da Pago. Lo scudiero si disperò, ma doveva dirlo al Conte. Sarebbe stato per il bene di Matilde, sperava nella sua clemenza. Invece Ruggero andò su tutte le furie e mandò a chiamare il Vescovo Armonio: “Mia figlia mi ha tradito, e con un cane della cittadina della valle. Che posso fare, eccellenza? Cosa ho sbagliato?” E il Vescovo Armonio: “Non avete sbagliato nulla, Conte. Purtroppo il cuore di una giovane trova difficoltà ad accettare ciò che può far bene al suo rango. Non preoccupatevi, vostra figlia tornerà in sé. Isolatela per tutta la durata del Torneo, così ci potremo occupare del suo amato, come si deve”. All’alba, le guardie irruppero nella stanza di Matilde e la condussero nelle segrete: “Lasciatemi andare! Voglio parlare con mio padre!”. Il padre si decise ad andare a trovare la figlia: “Come hai potuto agire alle mie spalle? E con il figlio del mio acerrimo nemico. Starai qui fino alla fine del Torneo, e poi sposerai il vincitore. Così ho deciso!” E lasciò la cella. Matilde, disperata, gridò: “Non saranno queste sbarre ad impedirmi di amare Tancredi!” Non tardò, che ricevette la visita del Vescovo Armonio: “Mia cara Matilde, lo sai che ci tengo a te, ti ho vista crescere. Abbandona il tuo insano desiderio e tuo padre sarà clemente” E mentre parlava stringeva le mani di Matilde. “Voi, siete solo un ipocrita. Desiderate solo una cosa, me! Non so come mio padre non si sia accorto di niente!” E il Vescovo Armonio, accarezzando il viso di Matilde: “Sei una sciocca. Adorabile, ma sciocca. Il tuo Tancredi, domani, morirà e tu non potrai più unirti a lui!” Se ne andò da lei, che si sciolse in un pianto accorato. Una delegazione di soldati andò dal Conte Roberto, per riportare l’accaduto. Il Conte addolorato scacciò il figlio, lasciandolo in mano ai soldati. La mattina seguente ebbe inizio il Torneo, affluirono Cavalieri da ogni dove. Le regole, però, cambiarono per volere del Conte Ruggero. Si sarebbe aggiudicato il premio chi, per primo, avrebbe ucciso Tancredi, figlio del Conte Roberto. Uno dopo l’altro i Cavalieri affrontarono Tancredi, uscendone sconfitti. Matilde, dalla sua prigione, poteva udire i rumori, provenienti dal Torneo. Pago andò a trovarla, riferendole quello che stava accadendo. Matilde doveva andare a salvare il suo Tancredi, chiese a Pago di procurargli un’armatura e le chiavi della cella. Questa volta Pago aiutò la sua signora, aveva combinato troppi guai. Quando Matilde fu libera e con l’armatura addosso si recò al Torneo e si presentò come il Cavaliere Senza Storia. Fu ammessa a confrontarsi con Tancredi, il duello ebbe inizio. Il Conte Ruggero guardava incuriosito lo sconosciuto nelle sue movenze, che sembravano familiari. All’improvviso, a un movimento inconsulto, spuntò una ciocca di capelli ramati. Ruggero balzò in piedi gridando il tradimento di sua figlia Matilde. Tancredi rimase di stucco nel vederla di nuovo. Cercò di abbracciarla, ma la maledizione del Vescovo Armonio si attuò. Al tocco di Tancredi, Matilde iniziò a sentirsi strana. Lo sparviero tenuto dagli uomini del Conte, riuscì a liberarsi e volare verso il suo padrone. Dagli spalti venne scoccata una freccia che colpì lo sparviero e Matilde, che cadde tra le braccia di Tancredi. Il sole illumino un’ ultima volta il volto splendido di Matilde, fu un attimo e lei si mutò in un grande e fiero sparviero, che si andò a posare sulla spalla di Tancredi. Dopo quel giorno l’odio e gli attriti tra le due cittadine cessarono, ma di Tancredi e del suo sparviero non si seppe più nulla, restò solo un’effimera immagine, a custodia di questa città.»
Quando nonna Tina finì di narrare un bambino disse: «Nonna, è bellissima come sempre. Domani ce la racconti nuovo?»
E la nonna: «Sì, ma ora a casa, presto!»
Rimaste sole, Laura disse a sua nonna: «Bellissima storia, nonna, ma dove l’hai sentita?»
E la nonna: «Chi ha detto che l’ho sentita?»
E nonna Tina andò alla finestra, per chiuderla. Sul davanzale due penne di sparviero, che raccolse: «Grazie Tancredi! Grazie Matilde!»
Laura, vista la scena, uscì sulla strada. In cima al Castello una figura di Cavaliere con uno sparviero sulla spalla si allontana nella nebbia.


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