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Costume e SocietàLetteratura

L’opportunità

Наталина - Solo due mesi d’amore


GRF

Di Bruno Siciliano

⚠️ ATTENZIONE!
Scorri in fondo all’articolo per ascoltare questo capitolo del romanzo letto dalla viva voce di Bruno Siciliano!

Delicatamente Natalina le tagliò i jeans mettendo a nudo la ferita che cercai di medicare come meglio potevo. Avevo saccheggiato l’armadietto dei medicinali che conteneva ancora i residui dei farmaci che avevo, a suo tempo, somministrato alla piccola ucraina. Monica aveva perso tanto sangue e c’era ancora un flacone di glucosata intatto che appesi a un chiodo al posto di un quadro della sala accanto al divano. Le presi la vena e gliela infusi lentamente per farla rianimare, poi mi dedicai alla guancia che aveva un profondo taglio dall’orecchio quasi fino al mento, le applicai degli steri-strip che avrebbero dovuto sostituire i punti di sutura che io non sapevo né potevo applicarle. Fasciai e disinfettai, cercando di curare alla meglio quella povera malcapitata. Natalina le stese addosso un plaid, dunque si sedette accanto a lei.
«Non ho voglia di parlare, adesso» rispose Monica ai tentativi di dialogo che Natalina cercava di imbastire.
A non sapere che fosse un uomo era proprio bella, Monica, anche se a tratti, la spigolosità del volto tradiva la sua vera natura. Era una persona che aveva sofferto tanto e mi si stringeva il cuore a vederla soffrire così per le sue ferite. Andai in cucina e trovai Natalina con la testa tra le mani. «Cos’hai?» le chiesi sedendomi accanto a lei.
«Andrej, sempre lui. ’ il boss dell’organizzazione cui s’era rivolto Misha quando organizzò la rapina alla banca. È di quelli che non dimenticano e, vedrai, arriverà anche a noi, prima o poi.»
«Ma figurati!» le risposi cercando di incoraggiarla, anche se in quel momento ero proprio io ad aver bisogno di essere incoraggiato e sostenuto. «Prepara qualcosa per Monica, adesso. Chissà quando è stata l’ultima volta che ha mangiato un pasto pressoché normale!»
Uscii dalla cucina e mi affacciai alla finestra della sala e guardai lontano verso il mare infinito e il tratto a me più familiare, quello delimitato dalle strutture del porto e le navi che attraccavano lente. Era maledettamente vero quello che mi aveva detto Natalina in cucina. I delinquenti non si sarebbero fermati a un tentativo di rapina. Carla aveva anche ucciso uno dei loro e adesso erano sicuramente arrabbiati e non sapevo quale reazione avrebbero potuto avere e cosa mi sarei dovuto aspettare nei giorni successivi.
Ancora una volta io e Natalina cenammo in cucina senza scambiarci una sola parola, ognuno immerso nei propri pensieri mentre Monica dormiva in sala.
Era notte inoltrata quando Natalina riuscì a farle mangiare qualcosa. Le aveva preparato una minestrina calda che la donna gradì molto. Poi cominciò a raccontare la sua storia. Per tutti sarebbe stata la solita storia. Una storia già sentita che, per chi la vive, è la propria ineluttabile e dolorosa storia. Lei s’era trovato un compagno col quale avrebbe voluto mettere su casa e tirarsi fuori dal giro, ma aveva fatto i conti senza Andrej. Il boss, che per sua somma magnanimità non aveva voluto ucciderla. Gli era bastato sfregiarla e buttarla in un vicolo sperando in un dissanguamento.
«Potrai stare qua da noi qualche giorno fino a che non ti sarai ripresa» le disse Natalina.
«Ho paura per voi, a quest’ora sicuramente mi stanno cercando!»
Poi aggiunse: «Vorrei comunicare con Claudio, ma non ho più il mio cellulare.»
«Tieni il mio – le dissi, porgendo a Monica il mio telefonino – chiama con questo.»
Lei prese il cellulare e fece un numero.
Qualcuno rispose all’altro apparecchio e lei, senza attendere il solito “Pronto”, disse d’un fiato: «Amore, sono io! Non ti preoccupare, sto bene, mi hanno soccorsa e sono con amici.»
Una risata terribile rispose alle parole di Monica e qualcuno le disse: «Aspettavo la tua telefonata solo per dirti che Claudio è qui con noi e gli abbiamo appena fatto il culo a dovere. Pensavi che tutto sarebbe finito con un taglio sulla tua sporca guancia? Domani leggerai di lui sul giornale. Ciao, carina.»
Un urlo disumano rispose a quelle parole e Monica mi rese il cellulare abbracciandomi disperata. Le sue lacrime si mischiarono alle mie, che non mi seppi trattenere rispondendo al suo abbraccio disperato.
“Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto? Fino a quando, nell’anima mia, proverò affanni e tristezza nel cuore ogni momento? Fino a quando su di me trionferà il nemico?”
L’incipit di quel Salmo, letto qualche secolo prima in una Bibbia, mi venne in mente non so come mentre guardavo attraverso la finestra della camera la faccia della Madonnina del porto intenta a scrutare i naviganti con la sua bronzea espressione. Poi pensai che in inglese, gay, significa letteralmente allegro. Chissà perché gli anglofoni avevano voluto definire così gli omosessuali che soffrono esattamente come noi etero e si disperano e piangono proprio come faceva Monica tra le mie braccia in quel momento.
Poi, la notte distese piano il suo manto su tutti i dolori della Terra e, lentamente, troppo lentamente, arrivò anche quel giorno l’alba. Non avevo dormito quasi per niente e Natalina si era agitata nel sonno tutta la notte. Misi la solita cialda nella mia solita macchinetta, poi mi lavai velocemente e, senza attendere che Natalina si svegliasse, mi vestii ed uscii.
Se non avete mai visto Messina al mattino presto non chiedetemi perché mi sono innamorato di questa città che indossa come nessun altra il profumo di cornetti appena sfornati e sa dosare magistralmente quel gli afrori della brezza marina mentre le sue strade si vestono dei suoni e dei colori più belli, quasi a dare un benvenuto alla vita ogni santissima mattina.
Non c’era ancora nessuno in ufficio e fu la Parretta ad augurarmi per prima il buongiorno, quella mattina.
«Buon giorno Bruno. Sai di qualcuno che vuole comprare un’auto di seconda mano?»
«Io – risposi, – se non è troppo cara!»
«Non è cara per niente, solo che è un po’, diciamo… matura!»
«E che sarà… una Topolino?!»
«No, un Maggiolone a nafta del ’90. Ce l’ha mia zia in un garage del Gavitelli. È fermo da qualche anno, l’ha messo in moto ieri e va ancora che è una bellezza. Certo, ha bisogno di qualche accorgimento, gomme nuove, batteria e qualche altra piccola cosa, ma per il resto è una favola, è anche decappottabile! L’importante è che nel giro di una settimana gliela togli da torno perché vuole ristrutturare il garage.»

Continua…

Foto: autobelle.it

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Gedac

Redazione

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