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Costume e SocietàLetteratura

Il guardiano del Castello – 3ª parte

Novelle Ioniche


GRF

Di Luisa Totino

Per quanto mi sforzassi, non vedevo niente, ma sentivo lo stesso una presenza inquietante. Provammo a proseguire lo spettacolo, ma tra la paura e la pioggia, tante parti le saltammo, per cercare di finire in fretta. Al termine ringraziammo, con un lungo inchino, lo spettatore sconosciuto, che solo dopo un lungo silenzio ci disse, con voce sconsolata:
“E’ stato uno spettacolo accettabile. Tu e i tuoi amici ce l’avete messa tutta, lo ammetto, ma il mio cuore non è stato emotivamente scalfito. È tutto inutile, rimarrò così, per sempre. Credevo di aver trovato la persona che avrebbe spezzato la maledizione, ma anche quest’ultima possibilità è sfumata!”
Lo sentimmo piangere, e allora presi una torcia per avvicinarmi e vedere meglio, ma quando lo illuminai il terrore ci avvolse. Febo e Tara fuggirono via e io mi ritrovai davanti ad una creatura orribile, il corpo ricoperto da pelo di lupo, ali e coda di drago, il volto era semi umano, ma con le zanne. Le mani e i piedi erano zampe, con artigli potenti. Gridai:
“Per Belzebù! Non farmi del male, per favore. Farò finta di non aver visto niente, ma fammi andare via!”
E il mostro: “Piccolo essere umano, cosa sai di me, per provare orrore nei miei confronti? Va via! Avresti potuto liberarmi, ma sei come tutti gli altri, meschino e chiuso nelle tue paure, nelle tue normalità!”
Guardai e vidi che al collo portava la collana con la clessidra, compresi che l’uomo della sera prima e il mostro erano la stessa cosa. Non ebbi il coraggio di rimanere e scappai via. Mi rifugiai nel Convento, vicino alla Cattedrale, mi accolsero e mi accudirono, e lì feci luce in me stesso, convincendomi che Dio mi aveva tracciato il cammino. Dopo quella notte, dovevo seguire i suoi insegnamenti, nella preghiera e nella mortificazione. Così feci e divenni, quello che conoscete oggi, fra Galdino. Ma per me, non era ancora finita, Dio mi avrebbe messo di nuovo alla prova, non è fuggendo dai problemi che questi si risolvono, e io arrivai molto presto a comprenderlo. Le notti erano scandite da ululati, che provenivano dal Castello, ma i confratelli erano sempre pronti a dirmi che erano i lupi di montagna che si spingevano fino a lì per trovarvi riparo. Solo io conoscevo la verità, che mi martellava l’anima da anni, avrei potuto aiutarlo, ma ho preferito fuggire nel seno di Dio, che aiutare un’anima in pena. Che? Forse essere diversi non ci fa meritare la redenzione? È solo la rettitudine a renderci persone dignitose e ragguardevoli? Decisi, allora, di confessarmi dal Priore del Convento. Sulle prime rimase scioccato dal mio racconto, ma sapeva anche che ero stato sempre irreprensibile, dal giorno in cui ero entrato nella comunità. Alla fine della confessione mi disse:
“Figliolo, se quello che dici è vero, come possiamo affrontare tale mostro? Solo Dio lo può fare, possiamo solo sperare che trovi la pace dell’anima”
E io risposi: “Possiamo fare qualcosa, padre, avvicinando la sua parte umana. Di giorno è un uomo, solo di notte si trasforma. Mi lasci provare. Sono sicuro che ha bisogno di aiuto. Non è malvagio, altrimenti avrebbe fatto del male alla gente del Borgo”
E il Priore: “Ma se lo disturbiamo, ci potrebbero essere delle conseguenze sulle persone, e sarebbe stata colpa nostra!”
E io: “È nostro dovere aiutare chi è in difficoltà. Non è stato forse Cristo a dire che è venuto per i malati e non per i sani?”
Il Priore, allora, rispose: “E va bene, ti concederò una settimana, ma se non ci sarà soluzione, avvertirò l’autorità perché provvedano loro!”
Io annuì e mi recai al Castello, bussando al portone ripetutamente. Venne ad aprirmi la mia vecchia conoscenza, che sulle prime non mi riconobbe. Mi fece accomodare e mi offrì del liquore che produceva lui stesso. Mi disse che gli pareva strano che si era scomodata la Chiesa nei suoi riguardi e io, allora, gli spiegai come stavano le cose, rivelando la mia identità.
L’uomo si stupì di vedermi, dopo tanti anni e nei panni di un monaco, e mi disse: “Hai preferito Dio all’aiutare me. Ma dalla coscienza non si scappa, il senso di colpa ti ha portato qui. E ora, cosa vorresti fare?”
E io: “Poterti aiutare, ma devi dirmi cosa ti ha trasformato…”
Non riuscì a finire la frase, ma ci pensò l’uomo: “In un mostro? È stata una strega. Ero un castellano avido e vanaglorioso. In questo castello c’erano sempre feste e banchetti, e io non badavo a spese, per realizzarli. Una sera si presentò una gitana, che faceva dei numeri di magia. Al termine del suo numero, però, invece di ringraziarla e pagarla adeguatamente, la trattai male deridendola per i suoi abiti appariscenti…”

Continua…

Foto: wboy.com


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