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Attualità

25 aprile: “Ecco perché, oggi più che mai, dobbiamo dirci fieramente antifascisti”

Di Vincenzo Tavernese – vicesindaco di Marina di Gioiosa Ionica

Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete
(Matteo 7:15/16).

Credo che queste parole siano sufficienti a chiunque oggi festeggi la Liberazione e abbia a cuore la libertà e l’indipendenza nazionale per capire che il Fascismo, al di là e al di fuori dei proclami e delle intenzioni, abbia portato l’esatto opposto di quello che aveva promesso: umiliazione anziché riscatto, distruzione anziché prosperità, subalternità anziché libertà o, addirittura, potenza. Per non parlare dell’orrore delle leggi razziali, ampiamente annunciate e precedute da persecuzioni e vessazioni verso avversari politici. Noi abbiamo la fortuna di poter giudicare il fascismo ex post: non c’è alcun rischio di incorrere in quegli abbagli che la poca prospettiva spesso porta con sé e proprio per questo dobbiamo farci un sano esame di coscienza. Cosa avremmo fatto nel 1919, nel 1922, nel 1924, nel 1938, nel 1939, nel 1943, nel 1945, se fossimo stati in Italia, fedeli ai valori del Risorgimento e della rinascita nazionale e fermamente contrari alle forze di sinistra socialista e comunista? Saremmo stati fermi sui principi del dialogo e dello sviluppo della democrazia, prima, e fermi oppositori del regime nella sua evoluzione, in seguito, per unirci, infine, alla lotta partigiana? Sono domande a cui non si può avere risposta, ma che è bene farsi per esercitare la propria coscienza a non emettere facili giudizi e a non cedere alla facile comprensione: “larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione e molti sono quelli che entrano per essa” (Mt 7:13).
Inutile dire che chi oggi parla di guerra come di una partita di Risiko fa retorica, in buona o malafede: oggi quello che, da antifascisti, dobbiamo perseguire, è il fine di una pace giusta per noi, a livello sociale, e per tutti i popoli del mondo a livello politico. Ricordiamo l’Ucraina, ma faremmo bene a non dimenticare, ad esempio, lo Yemen e il Sudan. Ernst Jünger, durante la seconda metà della seconda guerra mondiale trovò la forza di uscire da ogni ambiguità e di scrivere un libello prezioso, intitolato La Pace (recentemente riedito e la cui lettura è utile a tutti), nel quale la pace viene indicata come l’opera titanica che attende l’umanità dopo il conflitto globale: rapporto con il territorio (inteso anche come ambiente), rispetto del diritto, ordine internazionale stabile. Ma la pace ha, deve avere, uno sfondo che viene prima di questi pilastri e ne prepara la creazione: una volontà ferrea e determinata alla cessazione delle ostilità, altrettanto inflessibile di quella che ha condotto al combattimento.
E questo è il punto: l’armistizio e la tregua vengono prima del ripristino dei confini, pur senza escluderlo e, anzi, preparandolo. La condanna dell’aggressione e la violenza necessaria per respingerla non ci devono accecare. Le guerre, anche quelle giuste, vanno combattute nella misura strettamente necessaria a riportare la pace, senza rivalse, senza cieco furore, senza crudeltà. Questo è l’insegnamento del migliore antifascismo storico: superare le divisioni per sconfiggere il nemico e, una volta sconfittolo, non umiliarlo, ma chiamarlo a rivedere completamente i propri valori. Proprio per questo, oggi come ieri, dobbiamo dirci fieramente antifascisti.


GRF

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